“Il confine orientale dell’Europa passa attraverso il Mar Caspio per percorrere poi la Transcaucasia. Qui la scienza non ha ancora detto l’ultima parola. Mentre alcuni studiosi ritengono che il territorio a sud della catena montuosa del Caucaso appartenga all’Asia altri credono, tenendo soprattutto conto dello sviluppo culturale della Transcaucasia di dover considerare anche questa come parte dell’Europa. Dipende dunque, in un certo senso, da voi ragazzi miei, se la nostra città debba appartenere all’Europa progressista o all’Asia arretrata”.
L’incipit di Ali e Nino. Una storia d’amore, uno dei romanzi più letti in Europa fra le due guerre mondiali, rende il senso dell’appartenenza identitaria, mobile molteplice e “negoziata”, della città di Baku e di tutto il Caucaso meridionale; territori che si trovano all’intersezione geografica , etnica e culturale tra Europa e Asia, e che di entrambe assorbono e ricostruiscono elementi identitari in una continua negoziazione collettiva. Non è un caso che è proprio con la riduzione cinematografica di Ali e Nino si apre, la sera di venerdì 22 giugno 2017, il primo Festival del cinema azerbaigiano in Italia che si tiene fino al 24 giugno presso la Casa del Cinema di Villa Borghese. È sempre emozionante assistere a una cinematografia nazionale che nasce. Gli anni Ottanta e Novanta ci hanno consegnato il nuovo cinema cinese, russo, iraniano; linguaggi cinematografici che hanno raccontato società in trasformazione e in conflitto. Il nuovo cinema azerbaigiano punta sulla grande produzione di Ali e Nino (un ruolo anche a Riccardo Scamarcio) che è stato definito un Romeo e Giulietta del XX secolo.
L’autore Essad Bey (anche egli, un ebreo nato a Baku, celato dietro molteplici identità e morto nel 1942 a Positano) ebbe l’intuizione di raccontare l’amore impossibile di due giovani non attraverso un “normale” conflitto familiare, ma attorno alla divisione tra musulmani (lui) e cristiani (lei). Nella storia d’amore, accanto alla lacerazione identitaria, giungono i grandi conflitti della “globalizzazione fratturata” dell’inizio del secolo breve. Il romanzo e il film si ambientano nel Caucaso sconvolto dalla prima guerra mondiale tra Russia e Impero Ottomano e nel caos rivoluzionario che seguì la dissoluzione dell’impero russo, con la formazione dei primi stati nazionali, le migrazioni forzate e l’esilio, e infine la sanguinosa riconquista militare della Russia bolscevica, che incorporò le repubbliche indipendenti nell’Urss fino al 1991. Identità, conflitti, transizioni tra spazi geografico-culturali, processi collettivi e percorsi privati: il cinema azerbaigiano in proiezione a Roma è estremamente politico, perché riflette sul percorso di autodeterminazione nazionale di un Paese di frontiera, in cui il dialogo delle culture è l’unica forma di composizione dei conflitti. La costruzione dell’identità nazionale passa attraverso l’esilio e l’estraniamento.
È il caso del documentario Eternal Mission di Aliyeva, che sarà presentato il 23 mattina. L’opera racconta la “missione eterna” della delegazione azerbaigiana alla conferenza di pace di Parigi. Eterna perché i diplomatici azerbaigiani, esponenti del riformismo liberale e socialista dell’epoca, furono “bloccati” a Parigi dall’invasione bolscevica del loro Paese. Da diplomatici a esiliati, rimasero a Parigi per tutta la loro vita portando avanti il sogno del primo Stato dell’oriente musulmano laico, democratico e multiculturale. La politica e l’identità sono il filo di una selezione cinematografica che riflette sulla solitudine del potere e ripercorre la tragica storia della divisione dei kanati dell'Azebaigian tra i due imperi russo e iraniano (Il destino del sovrano di Rustamov), sui conflitti familiari e generazionali attorno al tradizionale tema del matrimonio combinato (La tenda di Guliev) e alle ferite del conflitto in Nagorno-Karabakh che portò a un milione di rifugiati e profughi a seguito dell’occupazione del territorio azerbaigiano tra il 1993 e il 1994 (Ricordi interrotti di Jafarov, La città interna di Safat).
La mobilità, l’interculturalità, l’accettazione dell’altro sono i temi che accompagnano anche le opere più “lievi” come Troppe coincidenze di Konul e Sotto un unico sole di Tavakkul, quest’ultimo è un interessante documentario che prova a fare il punto sulla convivenza interculturale in Azerbaigian. Un appuntamento, quello del festival del cinema azerbaigiano, da non perdere: per gli appassionati di cinema e per chi vuole indagare un contesto sfaccettato e complesso come quello del giovane Paese caucasico.
Aggiornato il 17 giugno 2017 alle ore 10:31