Che San Gennaro fosse santo democratico e popolare era noto da tempo, ma che fosse all’avanguardia in questioni di genere non tutti lo sanno.
I doni che gli vengono offerti sono ben accetti, a prescindere se provengano da mani maschili o femminili. E a non fare discriminazioni di genere è anche la Deputazione che sovrintende e cura l’immenso patrimonio artistico, frutto della devozione al santo patrono di Napoli, custodito da secoli nella Cappella a lui dedicata all’interno del Duomo cittadino. Tra le 21.610 opere d’arte conservate nei forzieri del “Tesoro”, alcune appartengono ad artiste donne che dal Seicento in poi si sono cimentate nella rappresentazione del sacro. Nessuna di loro, però, è appartenuta alle ultime generazioni di talenti creativi. Almeno fino a oggi.
Già, perché proprio questa mattina verrà presentata alla stampa e alla città la creazione artistica di una giovanissima orafa napoletana che dona al Tesoro una nuova mitra (nella foto). Sara Lubrano è l’artigiana che ha realizzato l’opera utilizzando l’antica tecnica della microscultura a cera persa. Un piccolo capolavoro d’arte orafa che riprende gli stilemi dell’iconografia classica: le ampolle che contengono il sangue del santo, tralci d’uva, rose, la chiave del tesoro e lo stemma della città di Napoli. Motivi allegorici scolpiti in una teoria di coralli, rubini e smeraldi che incorniciano la preziosità del manufatto. E poi la frase srotolata da un filo di cera che è chiave di volta e senso della fusione tra momento creativo dell’artista, definito nel tempo e nello spazio, e rappresentazione metastorica, atemporale, del legame intimo, di sangue e di viscere, che unisce il santo al suo popolo: “jesce e facci grazia”.
Di là dall’evento pubblico che quest’oggi si compie con la consegna alla memoria cittadina del gioiello, colpisce ancor più il piccolo miracolo laico, nient’affatto minore, che si compie all’ombra dell’effigie del santo che è quello di un segno concreto della volontà di stare in campo delle donne imprenditrici in una città tenuta dalla mano pubblica in coma farmacologico dal punto di vista produttivo e della crescita economica. In una realtà nella quale s’intraprende solo se arrivano i finanziamenti statali o i fondi europei, Sara Lubrano combatte la sua battaglia quotidiana per restare in piedi sul mercato con le proprie forze. Lo fa insieme ad altri imprenditrici, libere professioniste e donne del Terzo Settore, tutte raccolte nell’associazione “EnterprisinGirls” che taglia trasversalmente generazioni e settori economici e il cui scopo è di costruire reti tra donne d’impresa in Italia. La presentazione di quest’oggi si inserisce in un processo operativo avviato da “EnterprisinGirls” al fianco della direzione del Museo del Tesoro di San Gennaro per l’implementazione di una sinergia positiva tra l’immensa ricchezza della storia della città e l’alta qualità e l’attitudine motivazionale del suo segmento produttivo declinato al femminile.
È proprio così: s’invoca il santo per provocare un risveglio, una resurrezione di un corpo imprenditoriale piagato, di un tessuto produttivo lacerato come il ventre di Napoli. Forse non c’è niente di freddamente razionale in tutto ciò. Ma di sicuro c’è un amalgama di pessimismo della ragione e di ottimismo della volontà che si fonde in una dimensione che non è più fisica, materiale, ma totalmente spirituale e devozionale. Qualcuno probabilmente non capirà, ma è così che succede che una giovane donna artigiana senta il bisogno di donare la sua arte al santo senza alcun’altra motivazione diversa dalla sua devozione, senza che ci sia uno sponsor alle spalle a trarne guadagno e ritorni d’immagine.
Anche questo è l’oro di Napoli di cui scrisse Giuseppe Marotta. Ed è un bene che ci sia una realtà viva e presente come “EnterprisinGirls” a raccoglierlo per impedire che venga disperso nella parole vuote della cattiva politica.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:25