“Macbeth” al Quirino, intervista a due voci

Il “Macbeth” di William Shakespeare torna in scena al Teatro Quirino di Roma a partire da oggi (fino al 4 dicembre). Una tragedia incentrata sulla brama di potere portata alle sue estreme conseguenze. Ne abbiamo parlato, in un’intervista a due voci, con il regista, Luca De Fusco – dal 2011 direttore del Teatro Mercadante, Teatro Stabile di Napoli e direttore artistico del “Napoli Teatro Festival Italia” – e con il protagonista Macbeth, Luca Lazzareschi, sul palco da oltre trent’anni e con all’attivo più di 50 spettacoli prodotti dai maggiori teatri pubblici e privati italiani.

Come mai ha deciso di portare in scena proprio il Macbeth?

De Fusco: Lo abbiamo fatto come prosieguo di Antonio e Cleopatra, messo in scena con gli stessi attori, Luca Lazzareschi e Gaia Aprea. Anche in questo caso ho utilizzato una tecnica registica che crea una sorta di commistione tra teatro e cinema. Il Macbeth non è stato affrontato tanto dal punto di vista del potere quanto da quello dell’onirico (apparizioni e predizioni delle streghe, sonnambulismo), elemento di prim’ordine in quest’opera. Al centro della regia permane l’interrogarsi sull’origine del Male. Ci si chiede come mai un prode guerriero come Macbeth possa rendersi autore di simili nefandezze. Coprotagonista essenziale è Lady Macbeth, che gioca un ruolo fondamentale nell’esortare il marito all’omicidio del re: “Tu non osi perché non hai coraggio. Io so bene quanto l’allattare sia dolce, ma strapperei il bambino dal seno se servisse al nostro disegno”, una frase perlomeno curiosa considerando che i coniugi Macbeth non avessero figli. L’assenza dell’infanzia attraversa tutto il testo. Molto dolore potrebbe essere all’origine del Male, magari quello di un figlio defunto. La discesa di Macbeth “agli inferi” può essere letto come un cammino religioso all’incontrario, in cui l’incontro con il Male conduce alla totale perdizione. La scena è pressoché fissa, anche se il movimento è creato da cambi di luci e trasparenze che rendono efficacemente il senso del sogno, dell’onirico.

Com’è stato interpretare Macbeth?

Lazzareschi: Affrontare Shakespeare implica inevitabilmente un viaggio faticoso nelle profondità dell’animo umano, e quindi anche nel proprio. Già in passato avevo interpretato Amleto e, per quanto diverso da Macbeth, si ritrovano dei punti di contatto tra i due grandi. Se Amleto è la tragedia dell’essere “to be or not to be”, Macbeth è la tragedia del fare “to do or not to do”. La dimensione del dubbio e, successivamente, della paura di essere scoperto, sono molto profonde e ricorrenti. Inoltre tanto Amleto quanto Macbeth sono toccati dal soprannaturale (lo spirito del padre, nel primo caso, le streghe nel secondo). Lavorare con De Fusco e con Gaia Aprea è stato ancora una volta un’esperienza molto positiva. Macbeth resta un personaggio inarrivabile e in ogni interpretazione si esplora una nuova dimensione dell’animo umano.

Che cosa pensa più in generale della politica culturale italiana e, più nello specifico, del rapporto con il teatro?

De Fusco: Nel 2011 lo Stabile di Napoli contava su 2300 abbonamenti, quest’anno siamo a 6900. Aver trovato il giusto mix tra tradizione ed innovazione ha creato un rapporto fiduciario con il pubblico, in continua crescita. Del resto il teatro è l’unica forma di spettacolo che esiste e si modifica grazie al pubblico. Con piacere posso dire che nel nostro pubblico contiamo anche molti giovani, che sono poi il pubblico del futuro. Il problema italiano forse è più concentrato sulla generazione di mezzo, troppo impegnata e in corsa per dedicarsi al teatro. Più in generale, nel 2017 ci sarà un aumento delle risorse al Fus prosa di 12 milioni di euro, certamente positivo, anche se la spesa italiana in cultura rispetto a quella di altri contesti rimane scandalosa. La riforma Franceschini va certamente migliorata, tuttavia la volontà di modificare uno scenario fermo da cinquant’anni va comunque salutata con favore.

Come è essere un attore oggi?

Lazzareschi: Faccio teatro da 32 anni – il mio esordio è stato proprio con il Macbeth di Gassman al Quirino. Credo tuttavia che molte cose siano cambiate, la maggior parte in peggio. Oggi credo sia molto più difficile vivere con il teatro, riuscire ad inserirsi. Ci sono meno occasioni. È vero che molti giovani attori si riuniscono in gruppi e creano degli spettacoli, ma è difficile che poi trovino mercato. In Italia tra l’altro il teatro viene ancora considerato una cosa superflua, un divertimento. Non è qualcosa di radicato, come in Francia o Inghilterra dove viene percepito come parte del patrimonio culturale.

Per info e biglietti: Teatro Quirino

(*) Foto di Fabio Donato

 

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:35