L’importanza dell’arte nell’educazione

Nel 1943 Herbert Read, in Education Through Art, proponeva una pratica educativa fondata sull’esperienza artistica intesa come esperienza integrale, in grado di sviluppare le quattro grandi funzioni dei processi mentali - sensazione, intuizione, sentimento e riflessione - attraverso il costante esercizio del disegno, della scultura, della musica, della danza, della poesia e del teatro.

Oggi come allora, quello dell’educazione estetica, ovvero dell’educazione con l’arte e attraverso l’arte, è un tema quanto mai dibattuto. Il lavoro artistico, infatti, finalizzato alla creazione di cose e capace di determinare un’esperienza unitaria di senso, diventa una via privilegiata per “l’alfabetizzazione emotiva” e lo sviluppo delle soft skills.

A tal riguardo, non è azzardato affermare che, nell’agenda degli organismi internazionali, l’educazione estetica occupi una posizione di primaria importanza. Due conferenze mondiali organizzate dall’Unesco (Lisbona 2006 e Seoul 2010) hanno prodotto una vera e propria “Road Map per l’educazione artistica”. In essa si legge che l’educazione artistica “è un diritto umano universale”, che gioca un ruolo chiave in una formazione completa “che permetta il pieno e armonioso sviluppo dell’individuo”. Inoltre, considerato che le arti sono contemporaneamente “la manifestazione della cultura e i mezzi di comunicazione delle conoscenze culturali”, l’educazione estetica viene definita lo strumento imprescindibile sia per “favorire la sensibilità culturale e promuoverne le pratiche”, sia “per trasmettere la conoscenza e l’apprezzamento delle arti e della cultura da una generazione alla successiva”.

Aldilà degli altisonanti proclami, domandiamoci se la scuola sia realmente in grado di provvedere a questi essenziali bisogni educativi. Evidentemente la risposta è negativa. L’educazione artistica, infatti, continua a essere, nei casi più fortunati, la cenerentola dei sistemi scolastici, un piacevole divertissement del tutto accessorio. Tra promesse disattese e tagli governativi, la scuola rimane un’istituzione anti-arte, impossibile da riformare e bisognosa di un cambiamento radicale. Uno studio del 2009, commissionato dal Consiglio d’Europa, conclude che, mentre le dichiarazioni di politica nazionale sull’educazione pongono sistematicamente in rilievo la necessità di promuovere le attitudine artistiche e creative, l’offerta dell’insegnamento artistico, nella pratica, è del tutto insufficiente. L’educazione estetica, per incidere positivamente, deve essere di qualità e le ricerche in materia evidenziano un livello medio ancora di molto sotto lo standard. Le eccezioni, tuttavia, esistono. Anche in Italia.

Le scuole dell’infanzia di Reggio Emilia, ad esempio, incarnano un preciso approccio educativo conosciuto e studiato in tutto il mondo. Nel 1991 Newsweek ha addirittura identificato nella Scuola comunale Diana, in rappresentanza della rete dei servizi reggiani, l’istituto più all’avanguardia nel mondo. L’essenza del Reggio Emilia Approach poggia sulla presenza, all’interno di ogni scuola, di un atelier.

L’atelier, luogo simbolo della creatività, mira a restituire ai bambini i novantanove linguaggi, quelli dell’arte, di cui l’insegnamento normalmente li priva. Posti come parte integrante del curriculum, essi, contribuiscono alla creazione di una cultura più ricca e completa, capace di scongiurare il dilagante approccio riduzionista che taglia a fette il sapere e l’individuo. Nel linguaggio artistico sensibilità e ragione sono contemporaneamente attive, non vi è separazione tra immaginazione e cognizione, tra emozione e razionalità, tra empatia e analisi approfondita. Questa ricchezza semantica si contrappone all’assoluto dominio di un linguaggio unico che - come ci ricorda Gregory Bateson - toglie alle cose “il pulsare della vita”, spegnendo quella relazione viva con l’intorno che è la base di ogni pensiero critico e originale. Come scrive in una poesia Loris Malaguzzi - ispiratore del Reggio Emilia Approach - “il bambino ha cento lingue (e poi cento cento cento) ma gliene rubano novantanove”. Una sentenza inoppugnabile sui nostri tempi, che dovrebbe fare di questo approccio né un’eccezione, né una metodologia confinata alla sola scuola dell’infanzia.

(*) Projectland

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:34