Street Art a Rebibbia: coinvolgere con l’arte

Ci sono iniziative che nascono in silenzio, portate avanti dall’entusiasmo, dal coraggio e dalla volontà di persone capaci che credono che il miglioramento parta dall’impegno dei singoli. A Rebibbia è in corso un progetto di street art. Ne abbiamo parlato con i promotori: Solo, noto pittore della scena capitolina e Martina D’Andrea, psicologa volontaria a Rebibbia.

Come e quando è nata questa idea?

Circa un anno fa Martina, psicologa volontaria che lavora a supporto dei ragazzi della terza casa circondariale di Rebibbia – si tratta di un “istituto di custodia attenuato” che ospita fino a 40 soggetti con problemi di tossicodipendenza, prevalentemente giovani, considerati a bassa pericolosità sociale – ha deciso di organizzare per loro un cineforum, proponendo la visione del documentario dell’artista Banksy, “Exit Through the Gift Shop”, cui ha fatto seguire la proiezione di un video, da lei stessa realizzato, che mostrava come alcuni quartieri periferici (Primavalle, Tor Marancia, il Trullo) avessero cambiato volto grazie alla street art. Martina mi ha invitato a partecipare; alla fine della proiezione i ragazzi ci hanno chiesto “e noi quando iniziamo a dipingere?”. Siamo stati colti di sorpresa ma volevamo portare avanti questa idea.

Come vi siete organizzati? Il progetto ha ricevuto finanziamenti?

Il progetto non ha trovato sostenitori, così Martina ha promosso una campagna di crowdfunding su Internet, raccogliendo in un mese circa 1.200 euro. È stato un segnale importante riscontrare partecipazione del “mondo esterno” per un progetto “chiuso”, com’è quello in un carcere. Il dipinto nasce come evoluzione di un laboratorio che aveva come obiettivo quello di stimolare i detenuti a prendersi cura del loro ambiente ed a migliorarlo attraverso l’arte, quella di strada, perché proprio dalla strada viene la maggior parte di loro. La realizzazione di un dipinto era importante come coinvolgimento attivo, oltre a rappresentare un momento di socializzazione. Abbiamo quindi individuato il muro dell’area verde (lo spazio esterno dove i detenuti trascorrono il pomeriggio, che si affaccia sulla zona dove si svolgono i colloqui con i familiari), riscontrando da subito il plauso della direttrice, supportiva in tutte le fasi.

E quali sono state le fasi?

Io ho fatto solo da supervisore, a disegnare sono stati i ragazzi. Dapprima ho fatto prendere confidenza con gli “strumenti” (pennelli, bombolette…), poi ci siamo divisi in squadre, abbiamo rasato e imbiancato il muro, che misura circa 5 metri per 30. Quindi abbiamo scelto il soggetto, la fenice, un simbolo di rinascita e per realizzarlo abbiamo usato la tecnica del reticolato.

Facevate incontri settimanali, come avete portato avanti l’opera?

Abbiamo organizzato incontri 2/3 volte a settimana durante l’anno e 10 giorni intensivi ad agosto. Il numero dei partecipanti è ogni volta diverso. La cosa bella è il loro entusiasmo (alcuni peraltro hanno una dote innata nel dipingere), del resto scelgono liberamente se aderire, quindi sono molto motivati. Questa settimana finiamo di colorare lo sfondo, poi si inizia con la fenice.

Al di fuori del carcere questi progetti sono ormai presenti in diversi quartieri periferici capitolini. Chi supporta queste iniziative?

Ogni quartiere ha una sua storia ed un suo festival. Quello di Tor Marancia è stato finanziato attraverso un bando pubblico del Comune di Roma che ha scelto una galleria. Ma è stato un percorso più “istituzionale”. A Primavalle e al Trullo si è trattato di iniziative di quartiere autoprodotte. Il Comune (o l’Ater, laddove si tratta di edilizia popolare) danno il permesso , ma lì finisce. È con il quartiere che ci si organizza.

A quanto ammontano le spese “vive” per i progetti del Trullo o di Primavalle?

Al Trullo, insieme ai “Poeti der Trullo”, pittori anonimi poesie e pop corn, abbiamo ospitato il secondo festival internazionale di poesia di strada, associando alle poesie il lavoro di alcuni street artist. Il progetto è stato totalmente finanziato dal quartiere e da alcuni concerti che abbiamo organizzato dove l’incasso è stato devoluto totalmente per il festival. Stessa dinamica per “Muracci Nostri a Primavalle”, dove le risorse necessarie vengono tutti trovati all’interno del quartiere con la partecipazione attiva degli abitanti. Le spese cambiano da festival a festival in base a molte variabili: numero di artisti coinvolti, presenza di sponsor. Va ricordato che con un festival autoprodotto che prevede la partecipazione gratuita degli artisti si riesce a cambiare volto ad un quartiere con cifre sicuramente più basse di quelle messe in campo da un’operazione istituzionale, che peraltro non è partecipata come quelle nate dal basso.

L’impegno a volte conta più delle risorse.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:27