“Lo and Behold”: in memoria di Internet

Werner Herzog, regista, sceneggiatore, produttore cinematografico, scrittore e attore tedesco torna a stupire con un nuovo progetto dedicato alla rivoluzione Internet. Sono lontani i tempi di Aguirre – Furore di Dio (1972) e di Fitzcarraldo (1982), anche se la grandezza del maestro non accenna a declinare.

“Lo and Behold: reveries of the connected world” in sintesi il web secondo Herzog, in sala dal 22 settembre. Un documentario d’inchiesta, dedicato ai posteri, sulla nascita, il presente e il futuro di Internet e del mondo connesso, esplorato nelle sue varie e variegate forme, dagli scenari futuribili ai lati oscuri. La narrazione – è quella dello stesso regista la voce che ci accompagna per i 95 minuti di durata del documentario – è articolata in 10 capitoli alla scoperta del web, una realtà invisibile, inodore, incolore eppure tanto pervasiva.

Con questo lavoro Herzog è come se intendesse lasciare una memoria di noi, la civiltà 2.0. A testimoniarlo sono proprio quelle “reveries” del titolo. Del resto anche le civiltà più arcaiche hanno lasciato segni del proprio passaggio. Dai dipinti rupestri alle piramidi. Basterebbe solo un bagliore del sole per spazzare via tutto e un domani cosa rimarrebbe delle nostre esistenze sempre più interconnesse?

Il primo capitolo si apre con la stanza 3420 dello Stanford Research Institute dove ancora troneggia una macchina gigante, il primo proto-computer ad aver trasmesso un segnale creando un contatto tra l’Istituto e Ucla nel lontano 1969. Si susseguono incontri con pionieri del web, visionari, hacker e neuropsichiatri.

Mentre degli esperti di robotica preconizzano una nazionale di robot in grado di vincere i Mondiali di calcio nel 2050 (battendo una squadra in carne ed ossa), un gruppo di persone sensibili alle radiazioni elettromagnetiche vive una vita di solitudine confinata in una sorta di eremo della Virginia, lontano dalla famiglia e dalla “civiltà tecnologica”.

Esistono però anche i lati oscuri della Rete. In Paesi come la Corea del Sud o la Cina la diffusione capillare di Internet ha portato con sé fenomeni patologici di ludopatia – numerosi i giovani che trascorrono più di 20 ore consecutive incollati a videogame on-line che per non perdere record e punteggi indossano pannoloni così da non doversi recare neppure in bagno. Una coppia ha addirittura lasciato morire di fame il proprio figlio, incapace di staccarsi dallo schermo e avere un contatto con il mondo reale circostante. In America una donna, dopo la morte suicida della figlia in un incidente stradale, ha ricevuto via mail le foto dello schianto, con il cadavere quasi decapitato dall’impatto, e ha dichiarato convinta che Internet sia una manifestazione dell’Anti-Cristo.

Di fronte a tutto questo la posizione di Herzog è quella dell’agnostico, di colui che sa di non sapere ma che ha dalla sua la provocatorietà delle proprie domande, arrivando a porre ai suoi interlocutori il quesito se “Internet non possa sognare se stesso”.

Siamo lontani dall’autocoscienza del web – e forse questo è un bene – anche se la tecnologia avanza inarrestabile e quel che è presente oggi rischia di diventare passato già domani. Una riflessione acuta e pungente sulla rivoluzione in atto, e forse anche una preoccupazione – più dello spettatore che del regista – della sempre più vicina e concreta sostituzione delle macchine all’uomo.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:31