Elogio di una Regìa

Non avrebbe senso scrivere una review dell’allestimento di uno spettacolo al proprio secondo anno di vita, ma per chi scrive per professione e passione è difficile rimanere silenzioso quando si vede una regìa come quella di Elio De Capitani per “Morte di un commesso viaggiatore”, in scena ancora per pochi giorni all’Elfo Puccini di Milano ed in seguito in tournée fino al prossimo aprile 2016. C’è un motivo per cui il testo di Arthur Miller che esibisce con cruda lucidità quello che accade nella testa, nella vita, nella famiglia di un uomo qualunque, molto, molto qualunque è ancora attuale malgrado sia stato scritto 66 anni fa. L’incapacità di Willy Loman di scegliere i propri sogni diventa tragedia, e attraverso il racconto di questa tragedia è la storia di una nazione, dei suoi valori; quella che va in scena e che prende forma è una delle più efficaci critiche al “sogno americano” nella drammaturgia teatrale contemporanea.

Ma non è per elogiare un testo che è un capolavoro riconosciuto o il livello della recitazione (impeccabile, emozionante. La scelta di avere nei ruoli chiave giovani promesse della prosa italiana al fianco di “grandi vecchi” - il termine va inteso come complimento - è vincente. Piccole imprecisioni di contorno scompaiono dalla memoria senza lasciare traccia), che mi è difficile non alzare anche la mia voce nel coro degli apprezzamenti che seguono questo spettacolo dalla sua “prima” ufficiale. No: il vero motivo è il senso di gratitudine verso Elio De Capitani per aver preso il dramma di Miller e avermene restituito un senso nuovo, diverso, non voglio dire più profondo rispetto a ciò che mi ricordavo di aver visto in passato (Paolo Stoppa, in primis), ma che sicuramente mi ha arricchito. Artisti come lui sono una risorsa. Della cultura, del teatro e di chi ha la fortuna di vedere il loro lavoro.

Ecco, un regista oggi è spesso apprezzato o criticato per le scelte in fatto di cast, per le indicazioni sulla recitazione, per la visione artistica, per il gusto in fatto di scene, costumi, luci... Andando ancor più nello specifico si può analizzare ed approfondire il discorso trattando di quale sia il ritmo dell’azione scenica, gli espedienti che impiega, la cura nel dettaglio e le controscene. Ma capita molto frequentemente di dimenticare che questi sono tutti strumenti, solo e semplici strumenti e che quello che dovrebbe restare non è una scena o una battuta, ma una componente elusiva e sottile, difficilmente definibile, una specie di imprinting che è l’umanità di un professionista nel fare suo qualcosa che il più delle volte ha scritto qualcun altro. La scoperta dell’acqua calda? Sì. Ma quando si hanno le mani fredde ditemi che metterle sotto il rubinetto non vi fa venire voglia di scriverlo un elogio dell’acqua calda. Compresi i boiler.

Può fare un lavoro migliore di questo De Capitani? Se rispondessi di no non gli farei certo un buon servizio. Lui, come ogni artista, deve costantemente superarsi e quindi sì: certo, può fare meglio. Chiarire il senso di scene difficili da interpretare senza le note di regia, pulire sbavature di chi eventualmente non ha gli stessi suoi chilometri di palcoscenico (cit. Lella Costa), alleggerire qualche sapore per i palati seduti in sala meno usi alla raffinata eleganza di alcune scelte stilistiche, ma come dicevo prima questa non è una recensione e già oggi, a distanza di 12 ore dallo spettacolo, faccio fatica a ritrovarle nella memoria queste sbavature. No: questo vuole essere l’elogio al concetto stesso di Regìa e di quello che dopo la visione di questa Morte e di questo Commesso Viaggiatore (sic) mi è rimasto.

Aspettando si aprisse il sipario ieri ho fotografato e postato su Facebook la copertina del programma di sala, scrivendo poi “Buon Teatro”.

Buon Teatro, appunto.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 15:29