Il professor Paolo Bonetti ha pubblicato una "Breve storia del liberalismo di sinistra. Da Gobetti a Bobbio" (Macerata, Liberilibri, 2014). Bonetti, nato a Fano nel 1939, scrive di cose che ha attentamente studiato e di cui, in parte, ha fatto diretta esperienza. Tra i suoi libri pubblicati in precedenza vanno ricordati: "Il Mondo 1949/1966. Ragione e illusione borghese" (1975), "L'etica di Croce" (1991), "Intervista sulla democrazia laica. A Giovanni Spadolini" (1987). Per quanto riguarda la diretta esperienza, Bonetti ha fatto parte del Consiglio nazionale del Partito repubblicano (PRI).
Durante il 35° Congresso Nazionale del PRI, tenutosi a Milano dal 27 al 30 aprile 1984, fu proprio il riconfermato Segretario Spadolini a proporre al Congresso l'allargamento del Consiglio Nazionale a trenta personalità del mondo della cultura italiana, quasi tutte di provenienza accademica, tra le quali appunto Bonetti. Nella sua ricostruzione storica, lo stesso Autore coglie due distinti filoni. Il primo è quello che sembra avere più fascino intellettuale, per la notorietà dei pensatori richiamati: Piero Gobetti, Carlo Rosselli, Guido Calogero, Norberto Bobbio. In tutti questi casi si tende, comunque, ad oltrepassare il liberalismo. Per tentare nuove sintesi teoriche (Socialismo liberale, Liberalsocialismo).
Il punto di vista di Gobetti, come vedremo meglio in seguito, fa storia a sé. Il secondo filone è quello che a noi appare più solido dal punto di vista della coerenza logica interna. Bonetti lo sintetizza in questo modo: «la linea Amendola - La Malfa con la destra azionista prima e col Partito repubblicano poi - "Il Mondo" (Nota nostra: ossia il settimanale diretto da Mario Pannunzio)», che è «una classica linea di democrazia liberale riformatrice, che si muove sostanzialmente all'interno del capitalismo liberale, per il quale chiede riforme anche profonde ma non tali da incepparne i meccanismi di sviluppo» (cfr. pp. 180-181). Anche nel caso del secondo filone si parte, dunque, da un testimone esemplare dell'antifascismo liberale, Giovanni Amendola e dal tentativo che egli fece di costituire un'organizzazione politica di orientamento liberale democratico e di dimensione nazionale: l'Unione nazionale. Il Manifesto dell'Unione nazionale fu pubblicato dal quotidiano amendoliano "Il Mondo" il 18 novembre 1924.
Il fine dichiarato era quello di «riunire, con un vincolo di operosa solidarietà, in vista del presente e dell'avvenire, elementi e forze politiche che appartennero alle varie gradazioni del liberalismo democratico e della democrazia organizzata, oppure che non intervennero nella lotta politica finché non vi sono stati chiamati da un alto dovere civile». Quell'iniziativa cercò spazio dopo che il fascismo aveva conquistato la maggioranza parlamentare nelle elezioni dell'aprile 1924 grazie alla legge maggioritaria Acerbo ed in un clima di diffusa violenza contro i candidati nelle liste di opposizione; soprattutto dopo che il 10 giugno 1924 il deputato Giacomo Matteotti, segretario del Partito socialista unitario (PSU), era stato rapito ed ucciso da agenti fascisti. Con l'Unione Nazionale Amendola cercò di dotarsi di uno strumento operativo per andare alla battaglia finale. A dispetto di tutto, l'Unione Nazionale riuscì a celebrare il proprio primo ed ultimo Congresso nazionale a Roma, a partire dal 14 giugno 1925. Esattamente un mese dopo, il 20 luglio 1925, Giovanni Amendola fu selvaggiamente bastonato a Montecatini e stavolta, a differenza di quanto avvenuto in occasione del precedente pestaggio patito a Roma nel dicembre 1923, non gli restò altro che aspettare la morte.
Non fu dimenticato da quanti gli furono accanto nella battaglia disperata dell'Unione nazionale. Meuccio Ruini volle che il cartello elettorale con cui liberali, democratici del lavoro e seguaci di Francesco Saverio Nitti si presentarono insieme nelle elezioni del 2 giugno 1946 per l'Assemblea Costituente, si chiamasse "Unione democratica nazionale", proprio per richiamare il precedente movimento di Amendola. Guido De Ruggiero, Luigi Salvatorelli, Ugo La Malfa, furono tra gli animatori della componente liberal-democratica del Partito d'Azione, la cosiddetta "destra" azionista. Nel capitolo sesto, titolato "L'area liberaldemocratica del Partito d'Azione", Bonetti mette bene in luce il contributo di pensiero fornito da Adolfo Omodeo (1889 - 1946), con la sua efficace formula della «libertà liberatrice», derivata da Giuseppe Mazzini. Il saggio di Bonetti riunisce e parzialmente rielabora una serie di articoli pubblicati in precedenza nella rivista "Critica liberale", diretta da Enzo Marzo. Il taglio giornalistico accentua la virtù della sintesi; il rovescio della medaglia, però, sta in un eccesso di semplificazione, laddove, a nostro avviso, alcuni passaggi problematici avrebbero richiesto maggiore approfondimento.
E' possibile considerare Autori molto diversi fra loro come appartenenti ad un'unica tradizione politico-culturale soltanto se si adotta la concezione "metapolitica" del liberalismo, quale la definì Benedetto Croce: «in essa si rispecchia tutta la filosofia e la religione dell'età moderna, incentrata nell'idea della dialettica ossia dello svolgimento, che, mercé la diversità e l'opposizione delle forze spirituali, accresce e nobilita di continuo la vita e le conferisce il suo unico e intero significato. Su questo fondamento teoretico nasce la disposizione pratica liberale di fiducia e favore verso la varietà delle tendenze, alle quali si vuole piuttosto offrire un campo aperto perché gareggino e si provino tra loro e cooperino in concorde discordia, che non porre limiti e freni, e sottoporle a restringimenti e compressioni» (si legga "La concezione liberale come concezione della vita", in "Etica e politica", Milano, Adelphi, 1994, p. 332). Infatti Bonetti, per sostenere la natura profondamente liberale del pensiero di Piero Gobetti (tesi che coincide con la nostra interpretazione di Gobetti), deve precisare che il liberalismo non si esaurisce nella sua concezione cosiddetta "classica", «quella di Locke e della tradizione giusnaturalista».
In altre parole, il liberalismo non si risolve in una serie di princìpi di diritto costituzionale, nel sistema parlamentare rappresentativo, nella tutela delle libertà fondamentali dei singoli individui, eccetera. Il pensiero «storicistico-dialettico» — puntualizza opportunamente Bonetti — «può benissimo essere un valido terreno di coltura di un pensiero liberale capace, con duttilità, di adeguarsi ai rapidi cambiamenti economici e sociali delle società avanzate» (cfr. p. 27). Riflessioni che valgono egualmente per le questioni più strettamente attinenti alla politica economica. Anche qui non è vero che il liberalismo coincida con il liberismo economico: l'economia non inizia e non finisce con Frédéric Bastiat, Francesco Ferrara, Vilfredo Pareto, Ludwig von Mises, Friedrich von Hayek, Milton Friedman e la Scuola di Chicago, per restare alle espressioni più rispettabili; perché, invece, le estremizzazioni degli anarco capitalisti rispettabili non sono. John Maynard Keynes (1883 - 1946) dimostra come sia possibile seguire anche altre strade.
Per concludere il discorso su Gobetti, il giovane intellettuale torinese era convinto che il liberalismo fosse, nella sua essenza, rivoluzionario: in quanto attribuisce valore positivo alla dialettica (delle idee), alla concorrenza (nelle attività economiche), al conflitto regolato (tra i partiti politici e nei rapporti di lavoro). In altre parole, la posizione di Gobetti sviluppava, con modalità originali, sia la concezione metapolitica del liberalismo propria di Croce, sia il punto di vista di Luigi Einaudi, che aveva celebrato la bellezza del contrasto. L'amicizia con Gramsci ed i rapporti con il gruppo comunista torinese dell'Ordine Nuovo hanno ovviamente il loro peso politico, ma vanno inquadrati nel loro momento storico. Fa bene Paolo Bonetti a non accettare la tesi di quanti, a proposito di Gobetti, hanno frettolosamente parlato di liberalcomunismo: «questo termine mi appare come un vero e proprio ossimoro politico, poiché non si vede come sia possibile conciliare il monismo comunista con il pluralismo liberale» (cfr. p. 180). Il taglio sintetico del saggio non giustifica alcune omissioni che appaiono imperdonabili in un libro intitolato al "liberalismo di sinistra". Si tace del tutto, ad esempio, di Gabriele Pepe (1899 - 1971), che animava quel settore di opinione pubblica liberale convinto che la nuova Italia nata dal crollo del regime fascista dovesse darsi una forma istituzionale repubblicana.
Non perché non siano possibili in astratto monarchie costituzionali pienamente compatibili con lo spirito liberale, come tanti Paesi europei dimostrano, ma proprio per realizzare un'esigenza di discontinuità, posto che la Casa regnante dei Savoia andava punita per le tante responsabilità che portava nell'affermazione del fascismo. Nell'aprile del 1946, Pepe, Franco Antonicelli, Antonio Calvi, ed altri militanti liberali che si erano fatti conoscere attraverso il periodico romano "Civiltà Liberale", si dimisero dal Partito liberale italiano (PLI). Fondarono il "Movimento liberale Progressista" (MLP). Questo, poco tempo dopo, confluì nella lista della "Concentrazione democratica repubblicana", che ottenne due eletti nell'Assemblea Costituente: Ferruccio Parri ed Ugo La Malfa. Paolo Bonetti pensa sé stesso come un liberalsocialista ed in questo, come modesto lettore di Croce, Omodeo, De Ruggiero, non posso seguirlo. Il suo libro rievoca personalità di grande spessore, intellettuale e morale; gli stessi leader politici come Giuseppe Saragat, Giovanni Malagodi, Oronzo Reale (1902 - 1988), Ugo La Malfa, erano nutriti di cultura politica.
Dopo la crisi del 1992, scrive Bonetti: «la democrazia laica e liberale si dissolveva in Italia in un pulviscolo di gruppi e sottogruppi vaganti in cerca di un qualche posizionamento che consentisse loro di sopravvivere, magari in condizioni di soggettiva subordinazione» (cfr. p. 154). Vero e ben detto; ma resta un sapore amaro ed un sentimento di tristezza.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:27