La “Anfora Edizioni”   ripubblica “Anna Édes”

Ci ha pensato la piccola Anfora Edizioni a ripubblicare un’attenta e molto ben curata edizione di ‘Anna Edes’, l’impenetrabile e tuttavia evidente (per forza di denuncia) romanzo dello scrittore ungherese Deszo Kosztolanyi. Anfora Edizioni è una casa editrice per la quale vale la pena spendere due parole di presentazione data la raffinata peculiarità che contraddistingue la scelta dei libri editati, una produzione che attinge esclusivamente, con selezione storica culturale precisa, tra testi appartenenti alla bagaglio letterario di quelle nazioni che composero l’Europa centrale sotto il dominio asburgico.

Come, dunque, non scegliere un punto di partenza indiscutibile in quell’Ungheria sotto il cui regno, prima del trattato di Trianon del 1920, si trovavano la Slovacchia, la Transilvania, una vasta area di Serbia, dell'Ucraina odierna e dell'Austria e, prima del 1868, quando venne stipulato il Compromesso croato-ungherese, anche della Croazia divenne Regno di Croazia? Anfora Edizioni è quindi un minuto ma preziosissimo cammeo incastonato nel mondo editoriale italiano, vincitrice, tra l’altro, nel 2006 del premio Acerbi con “ Le campane di Einstein” di Lajos Grendel, l’unica oltre l'Einaudi ad aver pubblicato romanzi di Magda Szabó tra cui , "Per Elisa", uno dei maggiori successi tra i lettori ungheresi e "La notte dell'uccisione del maiale”. Ed ecco l’approdo ad Anna Edes, che viene considerato la migliore opera di Kosztolanyi, sospesa tra il romanzo psicologico e la denuncia sociale, un libro così enigmatico nella distaccata rappresentazione del personaggio principale, la giovane e docile cameriera Anna che appare quasi un essere inanimato e vitreo fino alla violenta e tragica resa dei conti finale, l’ assassinio dei padroni di casa.

In tutto il romanzo si sviluppa la relazione di osmosi tra l’imperscrutabile ed oscura condizione psicologica di Anna e l’impietoso e minuzioso ritratto delle meschinità ottuse, degli stereotipi, delle prevaricazioni e dei vizi della società borghese ungherese dell’epoca. La storia di Anna, che è anche il racconto di come gli individui si misurino e prendano vita all’interno della rete di relazioni e nel riconoscimento da parte dei propri simili, è ambientata a Budapest dal 31 luglio 1919 all’autunno del 1921, in un’epoca storica travagliata per l’Ungheria del primo dopoguerra, all’indomani della rivoluzione comunista dei Soviet e della ‘controrivoluzione bianca’ e soprattutto subito dopo la pace che privò l’Ungheria di due terzi del suo territorio.

Per questo oltre le letture psicologiche che ne sono state fatte questo testo si svela anche come metafora della Rivoluzione sociale e della ribellione del proletariato alla borghesia prevaricatrice di cui pare giustificare blandamente i tratti sanguinosi e forse lascia affiorare anche un parallelismo tra la privazione territoriale che l’Ungheria fu costretta a subire e quella della condizione di umanità riservata alla cameriera Anna. L’autore sceglie di muovere i fili del suo personaggio, di non conferirle vita propria, come se gli servisse, ed in effetti gli serve, tenerla ingabbiata in una costante atonicità psico-emotiva e negarle un'interiorità per poter poi rendere più chiara ed esplosiva quell’ azione estrema di violenza individuale con cui Kosztolany sembra voler risarcisce l'umanità vilipesa umiliata. E’ proprio il tratto di impermeabilità apparente di questa giovane donna a rendere più istantaneo ed emblematico quel gesto estremo che conclude un percorso esistenziale plasmato progressivamente e in modo silente dal rapporto di interdipendenza con i suoi padroni e con la cerchia dei loro meschini conoscenti.

Sotto il segno della meschinità si consumka anche quell’avventura seduttiva, da manuale, con il signorino nipote dei padroni di casa, che contribuirà a far saltare la demarcazione netta e passivamente accettata da Anna tra l’interno familiare che la ospita ed in cui si tenta di negarle ogni prospettiva individuale e la sua condizione di essere estraneo allo ‘spazio’ degli altri esseri umani. Anna viene così catapultata nel mondo senziente, sebbene resti imprigionata nell’incoscienza e il suo comportamento finale appare quasi un’eruzione spontanea, come quegli sfoghi psicosomatici cui spesso non si prova nemmeno a dare una spiegazione. Nel suo indossare le vesti di domestica ideale c’è tutta la denuncia delle miopi goffaggini della borghesia in cerca di rivincita. E di quei panni, anche se senza consapevolezza, Anna si spoglierà proprio attraverso la sua scelta efferata di uccidere i padroni di casa presso cui lavora.

Sarà il medico di famiglia, considerato tanto inadeguato dalla tirannica ed isterica padrona di casa a farsi messaggero di quel che e non a caso Kosztolany definisce 'messaggio cristiano primitivo' insito nel romanzo, sarà lui a compiere l’unico atto di pietas nei confronti della dolce Anna ormai diventata un ‘mostro’ deponendo a suo favore nel processo che la vede imputata per omicidio. A lui Kosztolany affida dunque il messaggio della richiesta di perdono per l’errore umano.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:34