Il musical “Cinecittà” al Teatro Brancaccio

Al Teatro Brancaccio di Roma (fino al prossimo 13 Aprile) va in scena il musical “Cinecittà” di Christian De Sica, per la regia di Giampiero Solari e le coreografie di Franco Miseria. Secondo il modulo e i canoni usuali, gli autori propongono uno scenario multimediale, con un’orchestra vera, sistemata dietro una sorta di gigantesco tendone a strisce sottili, che vela - senza nascondere nulla - le dinamiche del backstage. La ricostruzione del famoso Teatro Cinque di Cinecittà è affidato, invece, a gigantesche diapositive, che danno il senso spaziale della profondità e della grandezza del luogo, mentre su uno schermo verticale minore scorrono, progressivamente, in funzione del cambiamento di scena, foto d’epoca e vengono costruiti “cancelli” spazio temporali, per la ricongiunzione degli esterni con gli interni. Dall’alto, una voce che imita assai malamente il “dominus” di Teatro Cinque, Federico Fellini, fa da severo giudice e censore alle battute un po’ scurrili e alle volute imprecisioni del De Sica narrante.

Lo spettacolo, nel suo complesso, è certamente godibile (il corpo di ballo appare energico, vitale e armonioso, in tutti i suoi inserti, con una bella fisicità, soprattutto, della componente femminile), anche se le prove alla Liza Minelli di Christian e dei suoi compagni di scena (gli attori-cantanti Daniela Terreri, Daniele Antonini e Alessio Schiavo) lasciano - volutamente? - molto a desiderare, rispetto ad analoghe performance delle stratosferiche, irraggiungibili compagnie teatrali di Las Vegas e New York! Non sarebbe male, a mio giudizio, operare un’ulteriore compressione degli spazi musicali, per ampliare, invece, l’argomento teatrale vero e proprio, che soffre di inserti eccessivamente macchiettistici, come quelli di un De Sica che recita la parte autobiografica di sé, seduto sulla sedia del regista, intento ad audizioni praticamente folli, esagerate nella scompostezza degli aspiranti, le cui espressioni rimbalzano e vengono magnificate (secondo la più consumata prassi da stadio) nello schermo posizionato sul fondale della scena.

La vera novità, in tal senso, è rappresentata dalla prestazione di una Daniela Terrieri, che si applica in tutta la portata virale di parossismo e virtuosità, interpretando una assai improbabile doppiatrice di film pornografici che si esercita sull’autobus di linea (sempre lo stesso) mentre fa la navetta tra il suo domicilio e la casa per anziani, dove una madre impenitente pratica ininterrotti tornei di burraco con i propri coetanei. Forse, per certi versi, visto il patrimonio incommensurabile di Christian (cognato del mitico Carlo Verdone e assistente del più famoso padre, il sempre rimpianto Vittorio), che è stato, fin da piccino, sulle “ginocchia” dei più famosi attori e registi italiani, sarebbe valsa la pena di riportare, con forza e creatività, lo spirito del film (auto)biografico di Scola su Fellini. Partendo proprio dalla contaminazione infantile che il protagonista ebbe avvicinando sul set Rossellini, per giungere a Sordi e allo stesso Verdone. Forse, far apparire sulla scena ottimi imitatori, alla Noschese, di volta in volta nei panni dei personaggi famosi del cinema italiano, avrebbe avuto una presa maggiore sul pubblico meno giovane presente in sala.

Dell’intera prestazione di Christian mi ha colpito in modo particolare la sua bellissima rievocazione di un episodio, riguardante Vittorio De Sica, che risale alla Roma occupata dai nazisti, e che ricorda, anche se molto alla lontana, elementi di drammaticità, evocati dal film “Schindler’s List” (e, ancora di più dallo spettacolo di Carlo Giuffré, che va attualmente in scena al Piccolo Eliseo di Roma). All’epoca, in pratica, Vittorio e la moglie si trovarono, in contemporanea, su due set differenti: “lui” come regista di una pellicola neorealista, “lei” in un ruolo mistico, di un film religioso sovvenzionato dallo Stato del Vaticano, in merito al quale la moglie aveva richiesto al marito di Vittorio di occuparsi della regia. Ovviamente, De Sica disdegnò inizialmente quell’invito, tutto preso dalla sua opera di qualità. Sennonché, al momento in cui fu addirittura convocato da Goebbels, il responsabile della propaganda nazista del Führer, per essere spedito a Salò, al fine di rivitalizzare la propaganda fascista, Vittorio si rifugiò nelle braccia del Papa, citando l’impegno preso (?) di girare un film a carattere religioso. Questo gli permise, tra l’altro, di reclutare molti attori di strada, soprattutto ebrei e perseguitati, sottraendoli al triste destino della deportazione, fino alla liberazione di Roma da parte degli angloamericani.

Ciò detto, non si tratta di certo di un cinepanettone, formato ridotto. Ma da Christian, come attore di teatro, mi sarei aspettato molto di più in “vis” comica.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:28