Taccuino liberale #31

venerdì 14 marzo 2025


Il taccuino odierno prende spunto da una imminente scadenza che incombe questo weekend sulle aziende italiane. “Le società di capitali e gli altri enti assimilati devono provvedere entro il 17 marzo (il 16 marzo cade di domenica) al versamento in misura forfetaria della tassa annuale di concessione governativa (dovuta all’Agenzia delle Entrate) per la vidimazione e la numerazione dei libri sociali (articoli 2421 e 2478 del codice civile), nonché su ogni altro libro o registro per cui l’obbligo di bollatura sia previsto da norme speciali” (dal sito della Camera di commercio di Padova). Sono 307 euro dovuti da tutte le aziende di capitali (costo riferito per le srl), una gabella che non aggiunge alcun valore all’attività aziendale, ma è la mera tassa che serve ad alimentare apparati, burocrazie mal percepite all’estero che ostacolano l’arrivo di soggetti imprenditoriali d’oltralpe nel Paese, e che non ci avvicinano alla modernità.

Nell’era della digitalizzazione, tali incombenze dovrebbero sparire, o essere neutre per le aziende e non un costo che non crea produttività, non genera valore e fa solo ridurre la disponibilità di cassa per spese o investimenti migliori. La digitalizzazione per le aziende non dovrebbe rappresentare solo la fine degli archivi cartacei, dovrebbe essere invece uno snellimento effettivo di procedure, di costi e incombenze. Una volta per la vidimazione si portavano i libri dai notai, si pagava in contanti o andando in banca a fare il pagamento tramite bonifico disposto allo sportello, oggi si può fare sostanzialmente tutto online da una scrivania, magari da una persona addetta al settore amministrativo in smart working comodamente dal pc di casa, ma questa non è digitalizzazione, questa è mera dematerializzazione cartacea.

La digitalizzazione dovrebbe essere finalizzata, e dunque anche percepita, come un sostegno alla riduzione degli orpelli burocratici che incidono pesantemente nella vita quotidiana delle aziende, distraggono fatturato dall’impiego e l’investimento, obbligano all’utilizzo non profittevole delle risorse applicate. Fin quando non risolveremo questo modo di pensare il sistema produttivo, ossia come una vacca da mungere per tenere in piedi burocrazie che altrimenti non avrebbero più senso di esistere non entreremo mai appieno nella modernità, rifugiandoci nel mondo della formalità, che non sempre, purtroppo è sostanza.

Qual è il servizio reso all’azienda a seguito del pagamento di questa tassa? Qual è il beneficio, che non possa essere fornito e garantito digitalmente? Sembra un pò come quelle norme che chiedono l’autentica delle firme da parte dei notai, che dinanzi all’apposizione della firma digitale (ad esempio sulle cauzioni da parte degli assicuratori, o dei rappresentanti legali delle società nelle procure, per fare due casi concreti) fanno firmare una copia con la firmafisica” che tengono agli atti e certificano che la medesima persona ha apposto digitalmente la firma quando l’atto deve nascere e vivere solo digitalmente. Una soluzione abbastanza all’italiana, per non avere il coraggio di dire che tale attività non serve più e che se ne può anche decretare la fine, perché la digitalizzazione, ha abbondantemente soverchiato e superato il lavoro del notaio. Ma poi gli studi notarili perderebbero mercato, e così si va avanti con questi artifici che ci tengono lontani dalla contemporaneità e ci mantengono legati alle formule da azzeccagarbugli che questo Paese sembra non riesca proprio ad abbandonare.

E così, la libertà liberale, quell’assenza di coercizione tanto auspicata si allontana anche in questa occasione, e da martedì un nuovo stuolo di migliori, di animals more equal than others, potrà nuovamente ripetere il mantra della caccia all’evasore, che chi non paga affama i bambini poveri e toglie risorse a scuola e sanità, e una pletora di burocrati, anche di basso lignaggio, potrà “guadagnarsi” lo stipendio controllando i versamenti della gabella dovuta per la vidimazione dei libri sociali, ed emettendo le relative sanzioni e dando pane per i denti di quelli che si riempiono la bocca per l’evasione fiscale in Italia, che spesso riguarda gabelle come queste che, come dicevamo prima, non hanno nulla a che vedere con la produzione e con la creazione del valore e del lavoro.

Le aziende italiane per diventare più produttive e competitive devono essere liberate da questi lacciuli, e questo Paese per diventare attrattivo deve ridurre questo carico fiscale e di adempimenti che da troppo tempo affliggono il sistema imprenditoriale. È una questione di sopravvivenza del sistema economico, che da molto tempo è malato e sembra non trovare nessuno disposto a somministrare la medicina giusta. Ma fino a quando potremo andare avanti così?

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di Elvira Cerritelli