II
POLITICA
II
In difesa del Capo dello stato,
attaccato damagistrati-star
di
CARLO PRIOLO
a notorietà fa bene, rende lo
spirito giovane, tonifica, subli-
ma il disagio dell’anonimato. Un
training autogeno di eccellenza.
Ma per restare in auge bisogna es-
sere bravi, massimamente compe-
tenti. Il pressappoco porta alla ca-
duta verticale e travolge anche quel
minimo di notorietà conquistato
in una notte di mezza estate. La
procura di Palermo ha affidato a
tre saggi la propria difesa nel con-
flitto di attribuzione fra poteri del-
lo stato sollevato dal Quirinale da-
vanti alla Corte Costituzionale.
Nella memoria di costituzione
Alessandro Pace, Giovanni Serges
e Mario Serio si sono fatti prende-
re la mano. Forse anche loro con-
quistati dall’importanza del man-
dato, non hanno svolto solo
argomentazioni giuridiche, ma si
sono avventurati in giudizi estranei
al compito difensivo. È vero che il
Capo dello stato non deve essere
ritenuto un monarca, secondo il
brocardo
legibus solutus
, “
non
soggetto alla legge”. Il presidente
Napolitano lo sa bene e tale non
si sente. Lo provano la sua storia
personale, i suoi comportamenti
lungo gli anni che vanno dalla se-
conda guerra mondiale fino a
quando è stato eletto, appunto,
presidente della Repubblica Italia-
na. Lo dimostra il suo limpido, su-
perbo agire nell’esplicazione del
ruolo e della funzione alla quale è
stato chiamato. Certo, Napolitano
non ha bisogno della mia povera
difesa. E non mi permetto di difen-
derlo, sarebbe presunzione. Inten-
do solo segnalare ai cittadini ita-
liani, sia a quelli che hanno un
colore politico sia a quelli che non
si rifanno ad alcun colore, dalle pa-
gine di questo giornale che mi
ospita, l’arroganza imperiale di cer-
ti magistrati, più rivolti all’impegno
politico che a quello giudiziario,
che prediligono i passaggi in tv, i
convegni e congressi di partito che
non restare chini sui libri di diritto.
Voglio dire ai cittadini italiani che
una piccola percentuale di magi-
strati intende usare la propria po-
sizione per svolgere attività politica
a tutto campo, partecipando diret-
tamente al dibattito politico nazio-
nale, senza rischiare il giudizio de-
gli elettori e strumentalizzando
l’enorme potere coercitivo che gli
deriva dal ruolo rivestito. Tanti sin-
goli autocrati che sotto il falso ri-
L
pubblici fu quella di sostenere che
le istruttorie per l’assegnazione de-
gli appalti sarebbero risultate tutte
conformi alla legge, nonostante che
il designato appaltatore fosse
l’amico dell’amico. I luoghi di ele-
zione dei nostri eroi con la pistola
ad acqua sono sempre gli stessi: la
procura di Palermo, quella di Mi-
lano e sovente anche quella di Na-
poli. È molto grave che qualche
baroncino dell’università si per-
metta in un atto difensivo giudi-
ziale di esprimere giudizi e opinioni
sulla parte avversa, invece di ri-
spettare i confini delle argomenta-
zioni giuridiche. Sfugge a questi
professorini che l’attribuzione di
una competenza politico-istituzio-
nale consiste in una attività ben
più ampia e diversa da quella del
rispetto di una procedura ammi-
nistrativa o giudiziaria, secondo la
norma di riferimento. Non è diffi-
cile capire che il compito e le fun-
zioni di un presidente della Repub-
blica, di un presidente del
Consiglio dei ministri, di un mini-
stro non possono limitarsi a segui-
re semplicemente i dettati di pro-
tocolli, pur necessari, ma l’agire va
verificato nell’ambito del perimetro
costituzionale e delle norme gene-
rali riguardanti gli atti politici, ca-
ratterizzati dalla estrema libertà
del fine. Infatti, per quanto ampia
possa presentarsi la discrezionalità
amministrativa della pubblica am-
ministrazione, quest’ultima sarà
sempre vincolata dal necessario
perseguimento delle finalità pub-
bliche, nonché nell’impossibilità di
utilizzare un atto per fini diversi
da quelli per i quali il potere stesso
è stato concesso. Gli atti politici (a
differenza di quelli amministrativi)
sono caratterizzati dal fatto di pro-
venire da autorità di governo e di
essere concreta realizzazione del
potere politico. Il board di difesa
della procura palermitana sostiene
la irresponsabilità del presidente
per gli atti funzionali, ma non per
quelli extrafunzionali. La norma
generale fissa un principio generale
nell’ambito del quale l’agire si pre-
senta variegato e molteplice e non
può essere ontologicamente rap-
portato ad una precisa condotta
specifica. L’agire del presidente
della Repubblica è sempre di ca-
rattere istituzionale anche quando
interloquisce direttamente con sog-
getti che si rivolgono a lui per ogni
problema, per ogni questione. I
confini non possono non essere
borderline. È come se un qualsiasi
denunciante/querelante di un reato
chiedesse la condanna del magi-
strato per aver violato il principio
costituzionale dell’obbligatorietà
dell’azione penale. Migliaia di de-
nunce/querele finiscono nel dimen-
ticatoio, quando non si perdono
in qualche porto delle nebbie. Pa-
radossalmente, la triade difensiva
nell’atto di difesa della procura di
Palermo paventa anche la violazio-
ne di tale principio: «Infine, vi sa-
rebbe una plateale violazione del
principio dell’obbligatorietà del-
l’azione penale (art. 112 Cost.) su
cui torneremo in conclusione». Ma
il principio è sistematicamente di-
satteso o applicato discrezional-
mente, secondo una regola di op-
portunità mediatica (ovviamente
non da tutti). Ed ancora «si osser-
va comunque che l’allegazione agli
atti è una circostanza neutra, per-
ché ogni atto di indagine nel mo-
mento stesso in cui vene compiuto,
nasce all’interno di un determinato
procedimento ed è quindi si per sé
allegato a quel procedimento».
Proprio perché compiuto e, quindi,
allegato determina la lesione delle
prerogative del presidente della Re-
pubblica. Ed ancora «a proposito
delle intercettazioni casuali o for-
tuite va detto che non solo l’art. 7
della legge n. 289 del 1989 non le
vieta, ma non potrebbe vietarle, in
quanto un divieto può avere ad og-
getto una condotta volontaria, non
un fatto fortuito». Ed allora pro-
prio perché fortuite e non volon-
tarie tali intercettazioni possono
essere immediatamente distrutte
da pm senza l’intervento del gup,
al quale vengono poste tutte quelle
questioni volontariamente assunte.
I magistrati non hanno tutti lo
stesso dna e non tutti nascono con
il timbro di magistrato, rigorosa-
mente educati per il compito che
faranno da grandi. L’acustica delle
encomiabili intenzioni è ricca di
parole, di promesse, di impegni
puntualmente disattesi, falsificati,
mancati. Nuovi e vecchi predica-
tori, esperti fai da te, rivoluzionari
part-time,
maître à penser
del pres-
sappoco si sono assunti il compito
di riformare il sistema giustizia, di
rendere la risposta della “Giusti-
zia” rapida ed efficace. Ieratici ma-
gistrati, ineffabili giornalisti, po-
tenti conduttori, si ammantano di
attributi di autorevolezza, di una
competenza che non possiedono,
costretti ad abdicare all’uso della
ragione, ci trascinano nell’abisso,
all’esaurimento della sostanza vi-
tale, della dignità della regola. Per
il bene del paese (come tutti ama-
no ripetere) magistrati, ex magi-
strati, magistrati parlamentari, ma-
gistrati rappresentanti di categoria,
magistrati consulenti, direttori di
quotidiani, giornalisti di cronaca
giudiziaria,
anchorman/woman
del
diritto, sedicenti intellettuali di
strada, cineasti, attori e cantanti,
opinion maker
,
dovrebbero osser-
vare un lungo periodo di silenzio,
interrompete quelle repliche tren-
tennali sulla condanna alla dele-
gittimazione della magistratura,
sulla indipendenza ed autonomia,
sulla obbligatorietà della azione
penale, sul divieto di separare le
carriere tra pm e giudice, sul rispet-
to del lavoro del magistrato, sulla
difesa della sua libertà, della de-
mocrazia, che è un combinato di-
sposto che non guasta. Si è stabi-
lizzato il falso sillogismo: “tutti i
magistrati applicano la legge”; “io
sono un magistrato”; “quindi ap-
plico la legge”. Ed allora…….al-
lora accade che in qualche occa-
sione la legge è applicata male,
disattesa, non rispettata, elusa,
truffata. La magistratura in ogni
epoca, in ogni paese rappresenta
un corpo della società, un elemento
tra gli altri che compone lo stato.
Va esaminata per quello che è nel
suo tempo e nel suo luogo e non
per quello che dovrebbe essere. La
beatificazione del “magistrato” vie-
ne respinta dalla giustizia quoti-
diana, dalle sentenze metropolita-
ne, dalle attese siderali, dalla
mancanza di legalità, dall’assenza
delle regole. Una lunga catena di
errori, giudizi imbarazzanti segna-
no il destino opaco dei simulacri
della Magistratura che ha generato
la sfiducia dei cittadini in una giu-
stizia sfigurata, polverizzata, da de-
cenni di fallimenti, da inutili con-
vegni e dibattiti. L’impatto emotivo
dell’apparizione in tv tiene alto
l’umore e contrasta la depressione,
ma procura danni irreparabili alla
credibilità delle Istituzioni. Anche
nella magistratura ci sarà bisogno
un po’ da rottamare.
Il board di difesa
della procura
palermitana sostiene
l’irresponsabilità
del presidente per gli atti
funzionali, ma non
per quelli
extrafunzionali.
La norma fissa
un principio nell’ambito
del quale l’agire
si presenta variegato
e non può essere
rapportato
ad una precisa condotta
specifica. L’agire
del presidente
della Repubblica
è sempre
di carattere istituzionale
anche quando
interloquisce
direttamente con soggetti
che si rivolgono a lui
per motivi
non strettamente legati
alla sua carica
tornello “mi limito ad applicare la
legge” tiranneggiano il malcapitato
di turno, che è quasi sempre un po-
litico per poter conseguire l’anelata
visibilità. E più alto ed importante
è il personaggio politico maggiori
ne sono gli effetti sul piano pub-
blicitario. Si potrebbe affermare,
parafrasando, “la pubblicità è
l’anima della notorietà”. L’appli-
cazione della “legge” può anche ri-
sultare ineccepibile, indipendente-
mente dalle ragioni del
malcapitato. Una delle poche frasi
intelligenti che disse Di Pietro
quando era ministro dei Lavori
L’OPINIONE delle Libertà
MERCOLEDÌ 17 OTTOBRE 2012
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