enzi ministro di un futuro go-
      
      
        verno Bersani? Certo non po-
      
      
        chi seguaci del segretario del Pd sa-
      
      
        ranno sobbalzati sulle sedie nel
      
      
        leggere dell’offerta di Pier Luigi al
      
      
        rivale rottamatore. Giusto il tempo
      
      
        di trasecolare, e la notizia lanciata
      
      
        dall’
      
      
        
          Ansa
        
      
      
        nel primo pomeriggio di
      
      
        lunedì 5 novembre dopo pochi mi-
      
      
        nuti viene rettificata – o meglio, ri-
      
      
        tirata – dalla stessa agenzia di stam-
      
      
        pa. Nessuna offerta dunque, anche
      
      
        se in mattinata, nel forum del quo-
      
      
        tidiano torinese
      
      
        
          La Stampa
        
      
      
        ,
      
      
        Bersani
      
      
        aveva detto qualcosa di simile ma
      
      
        in modo più prudente: ovvero che
      
      
        Renzi e i suoi elettori rimaranno
      
      
        una risorsa anche dopo le prima-
      
      
        rie.
      
      
        Per Matteo Orfini, responsabile
      
      
        cultura e informazione del Pd ed
      
      
        esponente dei cosiddetti “giovani
      
      
        turchi” del partito, ovvero l’ala dei
      
      
        Fassina, degli Orlando e degli altri
      
      
        trenta-quarantenni che voteranno
      
      
        per il segretario il 25 novembre,
      
      
        Renzi «potrebbe fare il ministro,
      
      
        come tanti altri nel partito».
      
      
        «
      
      
        Siamo tutti d’accordo sul fatto
      
      
        che Renzi possa essere una risorsa
      
      
        per il Paese – dice Orfini – però non
      
      
        mi sembra il caso di mettersi a fare
      
      
        il totoministri quando ancora non
      
      
        si sono vinte le elezioni. Inoltre –
      
      
        aggiunge – penso che nella nascita
      
      
        del governo dovremmo coinvolgere
      
      
        anche forze che sono esterne alla
      
      
        politica». Perché il punto, secondo
      
      
        l’Orfini-pensiero, è ricostruire il
      
      
        rapporto con la parte di italiani che
      
      
        non si sentono rappresentati dalla
      
      
        politica e che alle prossime elezioni
      
      
        «
      
      
        rischiano di non andare a votare».
      
      
        Bersani ha poi dichiarato di non
      
      
        volersi ripresentare come candidato
      
      
        segretario al prossimo congresso
      
      
        del Pd, previsto nell’ottobre del
      
      
        2013. «
      
      
        Credo che al prossimo con-
      
      
        gresso ci debba essere un giro della
      
      
        ruota», ha detto Bersani sempre al
      
      
        
          R
        
      
      
        direttore Mario Calabresi. Qui, pe-
      
      
        rò, Orfini è in disaccordo con il
      
      
        proprio candidato alle primarie.
      
      
        «
      
      
        Bersani – dice il giovane turco –
      
      
        vincerà le primarie perché è segre-
      
      
        tario del Pd, il principale partito
      
      
        della coalizione. E se vogliamo usci-
      
      
        re da una visione personalistica del-
      
      
        la politica, quella è la sua principale
      
      
        fonte di legittimazione». Insomma,
      
      
        «
      
      
        leadership e premiership devono
      
      
        coincidere» e «rompere quel rap-
      
      
        porto rischia di perpetuare un er-
      
      
        rore già fatto in passato, si pensi ai
      
      
        governi Prodi e D’Alema». «Prima
      
      
        di ripetere quell’errore – è dunque
      
      
        l’invito al segretario – io ci pense-
      
      
        rei».
      
      
        A Nichi Vendola, che ha chiesto
      
      
        a Bersani di scegliere se allearsi con
      
      
        la sua Sel o con l’Udc di Casini, il
      
      
        responsabile cultura e informazione
      
      
        Pd ricorda che «ha sottoscritto una
      
      
        carta d’intenti, dove si dice che si
      
      
        valuteranno le condizioni per un’al-
      
      
        leanza coi moderati». «Penso che
      
      
        dovremmo allearci con entrambi»,
      
      
        aggiunge Orfini, che comunque
      
      
        ammette di sentirsi più vicino al
      
      
        programma di Vendola. «È eviden-
      
      
        te che il leader di Sel faccia parte
      
      
        del nostro campo, quello dei pro-
      
      
        gressisti, del resto le primarie non
      
      
        le facciamo con Casini. Però – ag-
      
      
        giunge – è inaccettabile porre questi
      
      
        aut aut. Partire dicendo non se ne
      
      
        parla è un atteggiamento fanciul-
      
      
        lesco, sia che lo metta in campo
      
      
        Vendola sia che lo metta in campo
      
      
        Casini».
      
      
        Infine quando gli si chiede un
      
      
        pronostico sulla percentuale di voti
      
      
        che Bersani otterrà alle primarie,
      
      
        Orfini risponde con un «non so,
      
      
        però so che vincerà». Sotto il 40%
      
      
        sarà una mezza sconfitta? «Dare
      
      
        percentuali è pericolosissimo. Ma
      
      
        non penso, vince chi prende un vo-
      
      
        to in più dell’altro».
      
      
        
          CHRISTIAN GOLDONI
        
      
      
        di
      
      
        
          FEDERICO PUNZI
        
      
      
        enato Brunetta è tornato a
      
      
        confermarlo anche ieri: nella
      
      
        legge di stabilità ci sarà spazio per
      
      
        un “fondo Giavazzi” in cui far con-
      
      
        fluire le risorse provenienti dal rior-
      
      
        dino del sistema dei sussidi pubblici
      
      
        alle imprese per finanziare un cre-
      
      
        dito d’imposta per ricerca e inno-
      
      
        vazione e la riduzione dell’Irap, se-
      
      
        condo lo schema suggerito dal
      
      
        professore bocconiano.
      
      
        Passi il fatto che il rapporto
      
      
        Giavazzi non contemplava l’enne-
      
      
        simo credito d’imposta, della pro-
      
      
        posta originaria sembra essere ri-
      
      
        masto solo il nome del suo autore,
      
      
        il quale a questo punto dovrebbe
      
      
        dire la sua. Il rapporto che il gover-
      
      
        no stesso gli ha commissionato, in-
      
      
        fatti, si è perso per quasi sei mesi
      
      
        nelle stanze dei ministeri per rie-
      
      
        mergere, infine, completamente
      
      
        svuotato. I 10 miliardi di risparmi
      
      
        ipotizzati, passati al vaglio dei tec-
      
      
        nici dei ministeri, sono diventati
      
      
        prima 3, poi 500 milioni, secondo
      
      
        quanto riporta Alessandro Barbera
      
      
        su
      
      
        
          La Stampa
        
      
      
        :
      
      
        un ventesimo
      
      
        (
      
      
        l’1,5% della spesa totale).
      
      
        I fondi erogati attraverso le Re-
      
      
        gioni – oltre la metà del totale – si
      
      
        è persino rinunciato a catalogarli e
      
      
        a pretendere di sapere per quali
      
      
        scopi e in quali modalità vengono
      
      
        spesi. Poi sono stati esclusi tutti i
      
      
        contratti di servizio con Ferrovie
      
      
        (5
      
      
        miliardi), Poste (500 milioni),
      
      
        Anas, le commesse militari (1,7 mi-
      
      
        liardi), i sussidi per le aziende del
      
      
        trasporto pubblico locale. In tutto
      
      
        circa 12 miliardi. Passi per i con-
      
      
        tratti di servizio e le commesse (che
      
      
        però si possono sempre riesaminare
      
      
        e ricontrattare), ma se si escludono
      
      
        anche contributi vari e crediti d’im-
      
      
        posta (questi ultimi valgono 2,2 mi-
      
      
        liardi), che dovrebbero costituire
      
      
        l’oggetto principale della revisione,
      
      
        
          R
        
      
      
        cosa rimane? Rimangono 3,2 mi-
      
      
        liardi, rubricati sotto la beffarda
      
      
        voce «da approfondire», dai quali
      
      
        però, secondo l’ultimo esame di co-
      
      
        loro incaricati di approfondire, si
      
      
        potrebbero ottenere solo 500 mi-
      
      
        lioni. Un po’ poco perché si possa
      
      
        ritenere credibile lo sforzo compiu-
      
      
        to e perché si possa parlare di una
      
      
        vera
      
      
        
          spending review
        
      
      
        ,
      
      
        che per de-
      
      
        finizione di chi l’ha inventata do-
      
      
        vrebbe portare a rigiustificare da
      
      
        zero euro ogni singolo programma
      
      
        di spesa. E qui si tratta di mille mi-
      
      
        nuscoli rivoli, alcuni tra l’altro con
      
      
        denominazioni talmente oscure e
      
      
        incomprensibili da legittimare il so-
      
      
        spetto che chi li gestisce, nei mini-
      
      
        steri, abbia interesse a non condi-
      
      
        videre lealmente le informazioni e
      
      
        a lasciare tutto com’è.
      
      
        I poteri forti che si oppongono,
      
      
        evidentemente con successo, ad
      
      
        ogni taglio ai cosiddetti contributi
      
      
        alle imprese si possono distinguere
      
      
        in tre diverse categorie. Ci sono i
      
      
        grandi gruppi pubblici, che grazie
      
      
        ai trasferimenti statali si garanti-
      
      
        scono una posizione di monopolio,
      
      
        o comunque di forza, nei loro ri-
      
      
        spettivi mercati. Le aziende muni-
      
      
        cipalizzate, quindi gli enti locali, e
      
      
        le Regioni, che attraverso l’elargi-
      
      
        zione dei fondi, in forme più o me-
      
      
        no velate, più o meno spudorate,
      
      
        controllano il consenso sul territo-
      
      
        rio. E infine, a livello centrale e api-
      
      
        cale della pubblica amministrazio-
      
      
        ne, i vertici dei ministeri, dove il
      
      
        gioco si fa più sottile e inafferrabile.
      
      
        È enorme, infatti, nei decenni, ac-
      
      
        celerata dal rapido susseguirsi dei
      
      
        governi, la stratificazione di fondi
      
      
        e crediti d’imposta di cui i politici
      
      
        non possono avere memoria ma
      
      
        certo la conservano gli apparati bu-
      
      
        rocratici, che li conoscono e, di fat-
      
      
        to, li gestiscono. Il rischio è che
      
      
        questa miriade di minuscoli fondi,
      
      
        dalla denominazione incomprensi-
      
      
        bile e dagli scopi ancor più ambi-
      
      
        gui, vengano utilizzati con estrema
      
      
        discrezionalità, e spesso come stru-
      
      
        menti di autopromozione presso i
      
      
        politici e dei ministri di turno, dagli
      
      
        alti e inamovibili burocrati dei mi-
      
      
        nisteri. Gli stessi guarda caso chia-
      
      
        mati a verificare la fattibilità di un
      
      
        rapporto che propone di tagliarli.
      
      
        E che con un’opacità più che so-
      
      
        spetta, una padronanza della ma-
      
      
        teria un po’ sacerdotale, ci spiegano
      
      
        che servono, anche se non a cosa,
      
      
        e che si possono tagliare solo 500
      
      
        milioni.
      
      
        Possibile che il professor Gia-
      
      
        vazzi e il suo team siano stati così
      
      
        imprecisi nella stima dei fondi da
      
      
        tagliare? È questa la cifra che con-
      
      
        fluirà nel fondo dei volenterosi Bru-
      
      
        netta e Baretta? E dei 6,7 miliardi
      
      
        liberati dalla rinuncia alla riduzione
      
      
        dell’Irpef (1 miliardo nel 2013, 3,2
      
      
        nel 2014 e altri 2,5 nel 2015), cosa
      
      
        rimane per il taglio dell’Irap se nei
      
      
        primi due anni se ne spendono 2
      
      
        per lavoro e famiglia, come previsto
      
      
        dall’accordo tra i relatori, e se re-
      
      
        stano da finanziare la salvaguardia
      
      
        di altri “esodati”, minori tagli ai
      
      
        Comuni, alla scuola e al comparto
      
      
        sicurezza, e altre misure «per il so-
      
      
        ciale»? Resta una goccia, o piutto-
      
      
        sto una lacrima. Nominare “Gia-
      
      
        vazzi” un fondo così finanziato e
      
      
        concepito sarebbe solo un modo
      
      
        per confondere le acque. Far cre-
      
      
        dere che si è agito laddove non si
      
      
        è mosso un dito è il miglior modo
      
      
        per difendere lo status quo.
      
      
        Sui 33 miliardi che lo Stato
      
      
        spende ogni anno occorre chiedere,
      
      
        e ottenere, assoluta chiarezza, per-
      
      
        ché le troppe voci inserite nella co-
      
      
        lonna «non eliminabili» sembrano
      
      
        nascondere semplicemente la vo-
      
      
        lontà di non agire. Ed è il momento
      
      
        di capire se almeno è una volontà
      
      
        politica, o l’inerzia di vari interessi
      
      
        costituiti.
      
      
        II
      
      
        POLITICA
      
      
        II
      
      
        
          segue dalla prima
        
      
      
        
          Sì alle primarie,
        
      
      
        
          ma non all’italiana
        
      
      
        È molto difficile, allora, che le primarie
      
      
        del Pdl possano diventare uno stimolo
      
      
        per la ripresa ed il rilancio del partito.
      
      
        Ed è quasi certo che non riescano ad
      
      
        accendere l’attenzione dell’opinione
      
      
        pubblica risvegliando gli entusiasmi so-
      
      
        piti di un popolo del centro destra che
      
      
        non è solo deluso per il declino del ber-
      
      
        lusconismo ma che è anche frastornato
      
      
        dai segnali di impotenza e di contrad-
      
      
        dittorietà che vengono giornalmente
      
      
        dai massimi dirigenti del partito.
      
      
        Sia per il Pd , sia per il Pdl, quindi, le
      
      
        primarie rappresentano un pericolo e
      
      
        non una opportunità.
      
      
        Il ché può far riflettere sullo sfalda-
      
      
        mento in atto del modello dei partiti
      
      
        della Seconda Repubblica ma non può
      
      
        provocare l’interruzione di una corsa
      
      
        ormai avviata.
      
      
        Ognuno si affretti a celebrare il più ce-
      
      
        lermente possibile le proprie primarie.
      
      
        Ma con l’idea della riduzione del dan-
      
      
        no e non con la pretesa di imitare
      
      
        Obama!
      
      
        
          ARTURO DIACONALE
        
      
      
        
          Il ritorno della
        
      
      
        
          Prima Repubblica
        
      
      
        (...)
      
      
        ulteriormente, dilazionando semplicemen-
      
      
        te nel tempo lo stesso prelievo aggiuntivo.
      
      
        Ma in tutti i casi, come dimostra a iosa l’espe-
      
      
        rienza di chiunque abbia tentato la strada bu-
      
      
        rocratica per il benessere e la felicità, il saldo
      
      
        tra risorse rastrellate nella società spontanea
      
      
        e quelle realizzate dai piani economici in que-
      
      
        sto finanziati è sempre stato drammaticamen-
      
      
        te negativo. Per questo la nostra piccola ma
      
      
        agguerrita riserva indiana liberale continua
      
      
        ad invocare meno Stato, meno spesa e meno
      
      
        tasse per tutti, nessuno escluso.
      
      
        
          CLAUDIO ROMITI
        
      
      
        
          È tornato Obama
        
      
      
        
          il pifferaio magico
        
      
      
        (...)
      
      
        prese in giro europee per aver destinato
      
      
        i loro dollari a difenderci anziché dotarsi di
      
      
        sanità pubblica apparentemente gratuita; af-
      
      
        fascinati dalle sirene del comodo modello sta-
      
      
        talista che dice di sì a tutti e si spaccia per so-
      
      
        lidale, gli americani sono stati colpiti dal
      
      
        ciclone Obama e si sono perdutamente inna-
      
      
        morati del mondo parallelo che ha raccontato
      
      
        loro. Molti lo hanno rivotato per principio di
      
      
        coerenza, per il quale difendiamo le nostre
      
      
        scelte con intensità e testardaggine proporzio-
      
      
        nali all’entusiasmo col quale le abbiamo fatte.
      
      
        Molti hanno accettato senza problemi che,
      
      
        manco fosse un decreto omnibus della nostra
      
      
        seconda repubblica, comprando il semidio
      
      
        afroamericano cool si beccassero anche la de-
      
      
        pressione dell’economia, la disoccupazione, le
      
      
        scuse al mondo per il passato americano, il
      
      
        rancore verso successo e ricchezza, l’imposi-
      
      
        zione dello Stato tra i fattori di successo della
      
      
        prima economia mondiale. L’importante era
      
      
        la strapagata attricetta o lo straviziato rapper
      
      
        che si permettessero di twittare come si do-
      
      
        vesse comportare gente che lavorando dieci
      
      
        volte di più guadagna in un anno quello che
      
      
        loro fanno in un giorno. Battere tutto questo
      
      
        sarebbe stato impossibile.
      
      
        La prima reazione alla vittoria di Obama è
      
      
        stato il sollievo per il limite dei due mandati.
      
      
        Ma c’è Michelle, e nel 2016 sarebbe perfetta.
      
      
        Se non scoppia questa bolla di sapone, questo
      
      
        grande e pericoloso matrix in cui siamo piom-
      
      
        bati, dopo 8 anni di Barack rischiamo 8 anni
      
      
        di Michelle. E speriamo che non salti fuori
      
      
        che la figlia più grande è gay (con tutto l’ovvio
      
      
        rispetto, ci mancherebbe), perché altrimenti
      
      
        ne riparliamo nel 2032.
      
      
        
          UMBERTO MUCCI
        
      
      
        Il Fondo del prof.Giavazzi?
      
      
        Non una goccia, una lacrima
      
      
        Orfini: «Bersani sia
      
      
        segretario-premier»
      
      
        
          Direttore Responsabile:
        
      
      
        ARTURO DIACONALE
      
      
      
        
          Condirettore:
        
      
      
        GIANPAOLO PILLITTERI
      
      
        
          Vice Direttore:
        
      
      
        ANDREA MANCIA
      
      
        
          Caposervizio:
        
      
      
        FRANCESCO BLASILLI
      
      
        
          AMICI DE L’OPINIONE soc. coop.
        
      
      
        
          Presidente
        
      
      
        ARTURO DIACONALE
      
      
        
          Vice Presidente
        
      
      
        GIANPAOLO PILLITTERI
      
      
        Impresa beneficiaria per questa testata dei contributi
      
      
        di cui alla legge n. 250/1990 e successive modifiche e integrazioni.
      
      
        IMPRESA ISCRITTA AL ROC N. 8094
      
      
        
          Sede di Roma
        
      
      
        VIA DEL CORSO 117, 00186 ROMA
      
      
        TEL 06.6954901 / FAX 06.69549024 /
      
      
      
        
          Amministrazione - Abbonamenti
        
      
      
        TEL 06.69549037 / 
      
      
      
        
          Ufficio Diffusione
        
      
      
        TEL 02.6570040 / FAX 02.6570279 / 
      
      
      
        
          Progetto Grafico:
        
      
      
        EMILIO GIOVIO
      
      
        
          Tipografia
        
      
      
        L’OPINIONE S.P.A. - VIA DEL CORSO 117, 00186 ROMA
      
      
        
          Centro Stampa edizioni teletrasmesse
        
      
      
        POLIGRAFICO SANNIO S.R.L. - ORICOLA (AQ)
      
      
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          Organo del movimento delle Libertà per le garanzie e i Diritti Civili
        
      
      
        Registrazione al Tribunale di Roma n.8/96 del 17/01/’96
      
      
        
          L’OPINIONE delle Libertà
        
      
      
        VENERDÌ 9 NOVEMBRE 2012
      
      
        
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