Direttore ARTURO DIACONALE
      
      
        Fondato nel 1847 - Anno XVII  N.261 - Euro 1,00
      
      
        DL353/2003 (conv. in L 27/02/04 n. 46) art.1 comma 1 - DCB - Roma / Tariffa ROC Poste Italiane Spa Spedizione in Abb. postale
      
      
        Venerdì 9 Novembre 2012
      
      
        delle Libertà
      
      
        
          Pdl, scontro Berlusconi-Alfano
        
      
      
        Si erano tanto amati. Poi sono arrivate le primarie. Inutili, secondo il Cav, che invece vorrebbe
      
      
        «
      
      
        uno come me nel ‘94». Ma per il segretario è arrivato il momento di dire «basta ai barzellettieri»
      
      
        
          A cosa servono le primarie fatte all’italiana?
        
      
      
        
          Le analogie con la caduta della PrimaRepubblica
        
      
      
        
          Altri quattro anni assieme al pifferaiomagico 2.0
        
      
      
        egli Stati Uniti le primarie non
      
      
        servono solo a scegliere i can-
      
      
        didati premier del Partito Democra-
      
      
        tico e del Partito Repubblicano.
      
      
        Svolgono anche un ruolo di fonda-
      
      
        mentale importanza in vista della
      
      
        successiva campagna elettorale pre-
      
      
        sidenziale. Quello di rimettere in
      
      
        moto la macchina dei partiti risve-
      
      
        gliando gli entusiasmi dei militanti
      
      
        e dei simpatizzanti e di tornare a
      
      
        riaccendere l’attenzione dell’opinio-
      
      
        ne pubblica “riscaldando” il clima
      
      
        politico del paese nella prospettiva
      
      
        del crescendo conclusivo del voto
      
      
        per il Presidente.
      
      
        Applicate nel nostro paese, le pri-
      
      
        marie americane assumono un
      
      
        
          N
        
      
      
        aspetto diverso. Nel Pd colgono
      
      
        l’obbiettivo di accendere l’attenzione
      
      
        dell’opinione pubblica ma diventano
      
      
        l’occasione di una conta del tradi-
      
      
        zionale apparato interno del partito.
      
      
        Pierluigi Bersani ha preannunciato
      
      
        che ai gazebo andranno a votare
      
      
        uno o due milioni di persone. Cioè
      
      
        il numero chiuso e costante degli
      
      
        iscritti della Cgil e dei militanti in-
      
      
        quadrati nei gruppi che fanno capo
      
      
        all’attuale gruppo dirigente vicino
      
      
        al segretario. Cioè la vecchia guardia
      
      
        inamovibile del popolo della sinistra
      
      
        ortodossa a cui non si aggiungerà,
      
      
        a causa delle regole adottate per non
      
      
        favorire lo sfidante Matteo Renzi,
      
      
        la presunta gente nova del sindaco
      
      
        di Firenze. In pratica, quindi, le pri-
      
      
        marie del Pd serviranno solo ad in-
      
      
        coronare candidato premier Pierluigi
      
      
        Bersani, a ricontare  e ricompattare
      
      
        i fedelissimi di sempre  ed a creare
      
      
        una frattura, probabilmente incol-
      
      
        mabile, tra questi ultimi ed i soste-
      
      
        nitori esterni del corpo estraneo
      
      
        Matteo Renzi.
      
      
        Addirittura peggiore è invece l’ef-
      
      
        fetto generale che l’adozione delle
      
      
        primarie rischia di provocare al Pdl.
      
      
        Perché nel partito berlusconiano
      
      
        non c’è una vecchia guardia inqua-
      
      
        drata in inesistenti organizzazioni
      
      
        sindacali collatelari da rimobilitare
      
      
        ma solo pacchetti di tessere vuote
      
      
        che non producono entusiasmi di
      
      
        sorta. E soprattutto perché nessuno
      
      
        tra vecchi elettori ed i vecchi simpa-
      
      
        tizzanti del Pdl (quelli che avevano
      
      
        portato il partito a superare il 35
      
      
        per cento dei consensi nelle passate
      
      
        elezioni) si sente coinvolto in una
      
      
        operazione che appare diretta esclu-
      
      
        sivamente a confermare dal basso
      
      
        il ruolo già ottenuto dall’alto dal se-
      
      
        gretario Angelino Alfano. Il tutto in
      
      
        un clima di sostanziale smobilita-
      
      
        zione dei quadri dirigenti e nel ti-
      
      
        more generale di celebrare un rito
      
      
        inutile per un partito che a dicembre
      
      
        potrebbe essere addirittura essere
      
      
        scomparso e sostituito da due o più
      
      
        liste diverse.
      
      
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          2
        
      
      
        i notano molte interessanti ana-
      
      
        logie tra questo infuocato perio-
      
      
        do ed il crepuscolo della cosiddetta
      
      
        prima Repubblica. Anche allora cir-
      
      
        colava un punto di vista molto po-
      
      
        polare in merito alla catastrofica si-
      
      
        tuazione economica e politica.
      
      
        In sostanza, oggi come ieri, era
      
      
        ed è ancora piuttosto diffusa la con-
      
      
        vinzione secondo la quale se le cose
      
      
        vanno male anche sul piano della
      
      
        crescita e dello sviluppo è perché i
      
      
        politici rubano. Ciò, molto in sol-
      
      
        doni, si fonda sull’ idea assoluta-
      
      
        mente costruttivistica per cui spet-
      
      
        terebbe al governo di un paese, oltre
      
      
        ad uno smisurato elenco di compiti,
      
      
        anche l’obbligo di “fare” proprio la
      
      
        
          S
        
      
      
        crescita e lo sviluppo. E così pensano
      
      
        non solo tanti uomini comuni bom-
      
      
        bardati da una sempre più asfissian-
      
      
        te propaganda collettivista, ma an-
      
      
        che chi si incarica di renderla
      
      
        credibile e, per così dire, masticabile
      
      
        anche ai palati più facili. In questo
      
      
        senso vi sono alcuni accreditati ope-
      
      
        ratori dell’informazione che spicca-
      
      
        no per energia nello spronare i go-
      
      
        vernanti di turno ad essere più
      
      
        incisivi in merito alle misure per ri-
      
      
        lanciare l’economia. Tra questi Se-
      
      
        bastiano Barisoni - molto valido sul
      
      
        piano dei dati e delle documenta-
      
      
        zioni - il quale, dagli studi di Radio
      
      
        24,
      
      
        non manca di bacchetare a gior-
      
      
        ni alterni l’esecutivo dei tecnici, reo
      
      
        di non fare abbastanza per riportare
      
      
        in alto il nostro malconcio Pil.
      
      
        Ora, ascoltando le lunge filippi-
      
      
        che del giornalista, chi immagina la
      
      
        cosiddetta stanza dei bottoni come
      
      
        un luogo magico fatto di pulsanti e
      
      
        leve, in cui l’abilità politica dovrebbe
      
      
        consistere nell’azionare i comandi
      
      
        giusti, sarà portato a pensare sostan-
      
      
        zialmente due cose: o chi occupa Pa-
      
      
        lazzo Chigi è un incompetente nel-
      
      
        l’uso dei medesimi comandi, oppure
      
      
        egli decide deliberatamente di non
      
      
        usarli al meglio per chissà quali re-
      
      
        conditi motivi. Ciò che, al contrario,
      
      
        non viene in mente a Barisoni ed a
      
      
        molti suoi estimatori è che proba-
      
      
        bilmente è sbagliata la premessa.
      
      
        Ovvero, non è affatto vero che la
      
      
        crescita e lo sviluppo dipendono in
      
      
        positivo da una serie di scelte deli-
      
      
        berate di un governo, con l’unica ec-
      
      
        cezione di un taglio sostanzioso del-
      
      
        la spesa pubblica e delle tasse.
      
      
        E dato che, in realtà, la leva key-
      
      
        nesiana con la quale gli interventisti
      
      
        economici è la stessa che  serve a re-
      
      
        perire i relativi fondi attraverso la
      
      
        fiscalità, il meccanismo è destinato
      
      
        ad incepparsi sul nascere. Infatti, per
      
      
        adottare provvedimenti direttamente
      
      
        finalizzati a stimolare la domanda,
      
      
        qualsiasi esecutivo non può che au-
      
      
        mentare il prelievo tributario o, in
      
      
        subordine, indebitarsi
      
      
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          2
        
      
      
        on è stata l’elezione del Presi-
      
      
        dente degli Usa. Per metà degli
      
      
        americani e quasi tutti gli europei
      
      
        è stato un referendum su “vuoi altri
      
      
        4
      
      
        anni di Obama?” accolto come
      
      
        se si chiedesse “vuoi firmare contro
      
      
        la droga?”. Come dire di no?
      
      
        Barack Obama è un capolavoro,
      
      
        una globale allucinazione collettiva,
      
      
        un geniale, fantastico pifferaio ma-
      
      
        gico 2.0. Da Steve Jobs della poli-
      
      
        tica, è riuscito in una impresa sto-
      
      
        rica: far sì che la maggioranza del
      
      
        mondo libero e occidentale si inna-
      
      
        morasse della sua storia, del suo
      
      
        personaggio, delle sue promesse, di-
      
      
        menticando completamente quanto
      
      
        è realmente avvenuto. Questa fic-
      
      
        
          N
        
      
      
        tion dura da 5 anni ma l’episodio
      
      
        della rielezione del 2012 è clamo-
      
      
        roso quanto quello dell’elezione del
      
      
        2008:
      
      
        errare humanum est, perse-
      
      
        verare diabolicum.
      
      
        Se l’America è una pizza, con
      
      
        l’impasto uguale per tutti (la ban-
      
      
        diera, la costituzione, il libero mer-
      
      
        cato, l’eccezionalismo americano)
      
      
        e poi gli ingredienti ognuno se li
      
      
        sceglie da sé - uno ci mette alici e
      
      
        mozzarella, un altro peperoni e
      
      
        ananas, e così via - Obama è riu-
      
      
        scito a fare una pizza con sopra
      
      
        contemporaneamente tutti i possi-
      
      
        bili ingredienti togliendo le ultime
      
      
        due caratteristiche dell’impasto. In-
      
      
        vece di risultare una cosa imman-
      
      
        giabile, Obama ne ha magicamente
      
      
        tratto un piatto di cui tutto il mon-
      
      
        do non può più fare a meno.
      
      
        Gli europei che sinceramente lo
      
      
        adorano lo fanno per tre motivi. 1)
      
      
        La cultura americana pop (niente
      
      
        è più pop di Obama) ha ancora un
      
      
        grosso ascendente su noi europei,
      
      
        che mascheriamo spesso da odio la
      
      
        nostra invidia ma oggi finalmente
      
      
        la liberiamo nell’adorazione in gi-
      
      
        nocchio. Se ad ogni azione ne cor-
      
      
        risponde una uguale e contraria,
      
      
        non poteva che esserci il cieco e in-
      
      
        condizionato amore per Obama
      
      
        dopo 8 anni di identico odio per
      
      
        Bush. 2) Noi detestiamo i nostri po-
      
      
        litici: da anni non ne confermiamo
      
      
        uno e chiunque salga al potere per-
      
      
        de in breve il consenso. Situazione
      
      
        perfetta per rivolgere i nostri sogni
      
      
        verso qualcuno oltreoceano. 3) Non
      
      
        ci è mai piaciuto lo yankee che ci
      
      
        ha superato senza statalismo, wel-
      
      
        fare state from the cradle to the
      
      
        grave, pacifismo imbelle e tax and
      
      
        spend. Chi meglio di Obama per
      
      
        tranquillizzarci che avevamo ragio-
      
      
        ne noi, visto che incarna il più gran-
      
      
        de avvicinamento al moribondo
      
      
        modello europeo mai visto nella
      
      
        storia?
      
      
        Per gli americani è diverso. Abi-
      
      
        tuati ad uno Stato che non è padre
      
      
        padrone; stanchi di decenni di...
      
      
        Continua a pagina
      
      
        
          2
        
      
      
        di
      
      
        
          ARTURO DIACONALE
        
      
      
        Nel Partito democratico
      
      
        diventano l’occasione
      
      
        di una semplice conta
      
      
        del tradizionale apparato
      
      
        interno del partito.
      
      
        Addirittura peggiore è
      
      
        invece l’effetto generale
      
      
        che rischiano
      
      
        di provocare all’interno
      
      
        del Popolo della libertà
      
      
        di
      
      
        
          CLAUDIO ROMITI
        
      
      
        Oggi come vent’anni fa,
      
      
        è ancora piuttosto
      
      
        diffusa nell’opinione
      
      
        pubblica la convinzione
      
      
        secondo la quale
      
      
        se le cose vanno male
      
      
        anche sul piano
      
      
        della crescita e dello
      
      
        sviluppo è tutta colpa
      
      
        dei politici che rubano
      
      
        di
      
      
        
          UMBERTO MUCCI
        
      
      
        Se l’America è una pizza,
      
      
        con l’impasto uguale
      
      
        per tutti (la bandiera, la
      
      
        costituzione, il libero
      
      
        mercato,
      
      
        l’eccezionalismo
      
      
        americano) Obama è
      
      
        riuscito a impastarne
      
      
        una con sopra tutti
      
      
        i possibili ingredienti