II
POLITICA
II
segue dalla prima
Società aperta
(...)
delusione che conduce gli elettori del
centrodestra non verso sinistra, ma verso
la protesta e l’astensione. Qualcuno ipo-
tizza lo spacchettamento del Pdl. Cioè la
rinascita di An, quella di Forza Italia e la
formazione di una sorta di federazione tra
questi due soggetti distinti, distanti ma al-
leati loro malgrado. Ma basta uno spac-
chettamento, reso difficile dalle divisioni
e dalle faide che lacerano sia gli ex An che
gli ex Fi, a dare vita ad una soluzione che
diventerà necessariamente la prova gene-
rale delle elezioni nazionali? La risposta è
ovviamente negativa. Lo spacchettamento
in due tronconi litigiosi non porta ad al-
cuna federazione, ma solo alla dissoluzio-
ne. Per cui, visto che il rilancio del Pdl così
com’é appare del tutto improponibile, non
rimane che ipotizzare la formazione di una
federazione aperta, ed in cui la presenza
dei vecchi spezzoni di classe politica so-
pravvissuta allo tsunami rottamatore di
Fiorito risulti bilanciata ( ma meglio sa-
rebbe marginalizzata) da una rappresen-
tanza qualificata di quel tessuto di società
reale che in questi anni è stata volontaria-
mente e spesso brutalmente tagliata fuori
dai professionisti (rivelatisi incapaci) della
politica. Non si tratta di affiancare alle si-
gle tradizionali quelle di qualche lista civica
fiancheggiatrice formata dai nomi tratti
dalle cronache mondane. Si tratta dell’esat-
to contrario. Cioè di ripartire dalla società
aperta piuttosto che dalle caste chiuse che
si sono autorottamate. Qualcuno direbbe
: «
secondo lo spirito del ‘94!». Chiaro!
ARTURO DIACONALE
Noi e l’America
(...)
alibi, attenuanti, ma sembra una gab-
bia di matti. Abbiamo sperimentato il pro-
porzionale con le preferenze nella I Repub-
blica e sappiamo com’è andata: travolti
dal clientelismo e dalla corruzione. Dopo
un ventennio di esperimenti maggioritari
,
invece di completare la riforma in modo
coerente ed organico, siamo pronti a con-
segnarci di nuovo al proporzionale, ai “mr.
preferenze” come Fiorito, con un premio
di maggioranza che anziché assicurare go-
vernabilità produrrà sindromi da vittoria
“
scippata”, un vero e proprio detonatore
di instabilità sistemica. La prima caratte-
ristica di una legge elettorale realmente de-
mocratica è la semplicità e la chiarezza del
risultato: via sbarramenti, premi, listini, e
il grande imbroglio delle preferenze, per
cui un elettore vota ma non sa chi sta dav-
vero eleggendo. Alla fine scelgo, turandomi
il naso, ma poi torna Monti e governano
tutti insieme; la lista che ho votato non
raggiunge la soglia e ho buttato via il voto;
un partito del 25% si ritrova con un cen-
tinaio di eletti in più spuntati dal nulla,
che nessuno ha votato; oppure ok, ho
espresso la mia preferenza ma non sapevo
che il candidato della “corrente” forte nella
mia circoscrizione era un altro. Può acca-
dere di tutto, tutto al di fuori del controllo
dell’elettore.
Tutto invece è molto più chiaro, intuitivo,
quindi democratico, se il premier (o il pre-
sidente) viene eletto direttamente, se c’è
un eletto per ogni collegio, e chi prende
più voti vince, gli altri a casa. Come nel-
l’America di Romney contro Obama. Tale
è lo “spread” che ci divide dall’America,
che mentre Obama e Romney stanno su-
dando le sette camicie per onorare la de-
mocrazia, Monti non sembra avere avver-
sari (grazie all’impresentabilità altrui),
eppure non ha alcuna intenzione di “spor-
carsi” le mani con essa. A quanto pare gli
italiani non meritano nemmeno la possi-
bilità di esprimersi sulla sua riconferma.
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Registrazione al Tribunale di Roma n.8/96 del 17/01/’96
Quando Fini si scagliava contro il governo tecnico
Il 7 maggio del 1993, nell’aula della
Camera risuonavano queste parole:
«
Più che il liquidatore fallimentare
di un regime moribondo, mi pare
che il suo governo sia una sorta di
commissariamento straordinario.
Credo che sarà facile far capire agli
italiani che non può essere un go-
verno antipartitocratico quello che
ottiene la fiducia dell’85 per cento
dei presenti in Parlamento e, quindi,
dei rappresentanti delle forze poli-
tiche. Il suo è un governo che, an-
ziché tendere all’archiviazione di un
sistema, cerca di garantirne la con-
tinuità».
Il destinatario era il governo tecnico
di Carlo Azeglio Ciampi, e l’esten-
sore Gianfranco Fini. Oggi fervente
sostenitore di un Monti-bis, all’epo-
ca Fini si scagliò violentemente con-
tro la supplenza reazionaria dell’ese-
cutivo dei tecnici. E sosteneva a
spada tratta il presidenzialismo.
Pubblichiamo il discorso del presi-
dente della Camera.
ignor presidente, signor presi-
dente del Consiglio, colleghi, il
governo che sta per nascere è, a no-
stro modo di vedere, per il program-
ma che ella ha illustrato, la dimo-
strazione migliore di quanto fosse
illusoria l’affermazione resa dal-
l’onorevole Amato in quest’aula nel
corso del dibattito che segnò la fine
di quel governo. In quell’occasione
egli disse che il 18 aprile è sostan-
zialmente finito un regime. Io non
credo sia così: non credo che - come
disse Amato - il referendum del 18
aprile abbia seppellito un regime.
Credo, al contrario, che il 18 aprile
abbia solo costretto il regime a mo-
dificare - pur rimanendo nell’ambito
dei suoi poteri - i ruoli che nel corso
degli anni avevano esercitato al suo
interno ora i politici ora gli uomini
della finanza e dell’economia. Il re-
gime è tutt’altro che sepolto: esso è
stato soltanto costretto sotto la spin-
ta del rinnovamento, di fronte al-
l’evidente immoralità della politica,
ad affidarsi ad altri. Non credo che
S
lei possa dire di essere un cittadino
comune, un semplice cittadino, co-
me ha voluto sottolineare nell’esor-
dio delle sue dichiarazioni program-
matiche in questa sede. Nessun
semplice cittadino, infatti, in un si-
stema politico e di potere come
quello italiano, ricopre per oltre
quattordici anni la carica di gover-
natore della Banca d’Italia. Nessun
semplice cittadino passa attraverso
le turbolente vicende che hanno ca-
ratterizzato la nostra politica eco-
nomica e finanziaria in questi quat-
tordici anni; un semplice cittadino
non attraversa le vicende del crack
del Banco Ambrosiano, del venerdì
nero del luglio 1985, della svaluta-
zione della lira dopo un’ostinata di-
fesa che ha portato a bruciare qual-
che decina di migliaia di miliardi.
Lei non è un privato cittadino: è
un’autorevole esponente di un si-
stema di potere. Non appartiene ad
una categoria di membri del sistema
di potere, non è un politico, non ha
tessere di partito, il suo volto non
viene identificato dagli italiani come
appartenente ad uno di coloro che
hanno detenuto il potere; ma non
dica agli italiani ed al Parlamento
di non appartenere a quello che è
stato il regime, che per oltre qua-
rant’anni ha rappresentato l’assetto
di potere in Italia! Un regime, del
resto, non è soltanto la politica, le
cariche istituzionali, i partiti: un re-
gime è la finanza, l’economia, la
magistratura. Ed anche in Italia, co-
me in qualsiasi altra parte del mon-
do, politica, finanza, economia, ma-
gistratura per molto tempo non
sono state l’una contro l’altra, ma
l’una intimamente collegata e con-
nessa all’altra. Non è tuttavia per il
fatto che anche lei appartiene al vec-
chio regime non sepolto dal refe-
rendum del 18 aprile che noi non
le accorderemo la fiducia: non vi è
assolutamente nulla di personale in
questo. Si può essere esponenti di
rilievo di un regime e di un sistema
di potere ed essere intimamente con-
vinti della necessità vitale di modi-
ficarlo prima che nel crollo del re-
gime stesso e del sistema crolli an-
che la nazione. È già accaduto in
Italia, anche recentemente: è acca-
duto a uomini che ricoprivano ca-
riche ancor più autorevoli della sua.
Noi non le accorderemo dunque la
fiducia perché siamo intimamente
convinti del fatto che il potere po-
litico cui lei non appartiene le abbia
affidato, niente meno, che l’incarico
della presidenza del Consiglio con
un mandato ben preciso. Lei è chia-
mato ad esercitare una sorta di sup-
plenza ed il suo governo, un gover-
no apparentemente nuovo, con
molti tecnici in ruoli centrali, è un
abito che deve essere quanto prima
indossato per coprire quelle piaghe
che la questione morale ha causato
nel corpo più presentabile della po-
litica. Il suo è un governo a termine,
ma soprattutto è un governo che
esercita un compito di supplenza:
nessun altro, fra i vecchi esponenti
del potere inteso in senso politico e
partitocratico, si sarebbe potuto se-
dere dove lei oggi siede; occorreva
affidare il compito ad un esponente
del sistema che non avesse, agli oc-
chi degli italiani, la caratteristica di
essere organicamente legato al po-
tere politico. Ecco perché noi non
riteniamo che il suo governo sia
quello che seppellisce la partitocra-
zia. Il suo è un governo che deve te-
nere al riparo per un certo periodo
di tempo, dall’indignazione della
gente, i partiti, i suoi massimi espo-
nenti, il sistema politico nell’espres-
sione più vera del termine. Lei si
presta ad esercitare tale ruolo di
supplenza nella speranza o nell’at-
tesa che venga meno quell’indigna-
zione che c’è nel paese reale nei con-
fronti del potere e, in particolar
modo, della politica; un’indignazio-
ne che sarebbe emersa chiara se si
fosse andati ad elezioni subito dopo
il voto che in quest’aula ha negato
le autorizzazioni a procedere contro
l’onorevole Craxi e che il suo go-
verno è sostanzialmente chiamato,
in qualche modo, a tacitare. Più che
il liquidatore fallimentare di un re-
gime moribondo, mi pare che il suo
governo sia una sorta di commissa-
riamento straordinario. Vi è una vo-
lontà esplicita del Capo dello stato
e un’adesione dei partiti; mai, come
in questo momento, i partiti sono
vicini al presidente del Consiglio.
La maggioranza che il suo governo,
Presidente Ciampi, avrà in quest’au-
la, a conti fatti raggrupperà l’85, il
90%
delle forze presenti in Parla-
mento. Credo che sarà facile far ca-
pire agli italiani che non può essere
un governo antipartitocratico quello
che ottiene la fiducia dell’85% dei
presenti in Parlamento e, quindi, dei
rappresentanti delle forze politiche.
Il suo è un governo che, anziché ten-
dere all’archiviazione di un sistema,
cerca di garantirne la continuità. E
lo dimostrano gli unici due punti
del suo programma. Non voglio in
questa sede, anche perché l’hanno
fatto altri colleghi, indicare punti-
gliosamente ciò che non c’era. Era
di tutta evidenza che tante cose non
dovevano e non potevano esserci,
ma due, al contrario, dovevano es-
serci e puntualmente c’erano. Cosa
vuol dire garantire ad un sistema
politico la continuità, se non dare
certezza che non verranno modifi-
cate sostanzialmente le linee strate-
giche della politica economica? Co-
sa vuol dire garantire la continuità,
se non puntare unicamente su quel-
la che è diventata la questione che
consente al suo neonato governo di
avere un’ampia maggioranza, il
compito esclusivo di fare la legge
elettorale? Ho già detto in quest’au-
la che prendiamo atto degli esiti del
referendum del 18 aprile. Ma chi
chiede che si faccia unicamente la
legge elettorale non è il nostro po-
polo. Penso di non dire cosa errata
affermando che la gente ha votato
perché voleva la legge elettorale, pe-
rò la gente ha votato «sì» o «no»
perché voleva anche un profondo
cambiamento; sono i partiti che
bloccano il discorso delle riforme
unicamente sulla questione della leg-
ge elettorale. Quest’ultima viene vi-
sta dai partiti come un modo, per
alcuni, di andare alle urne quanto
prima e fare il pieno di voti, per altri
come un modo di andare alle urne
e limitare i danni, per altri ancora
come un’occasione per cominciare
a discutere e rinviare quanto più
possibile il momento in cui gli elet-
tori si potranno pronunciare. Se il
suo governo avesse nel programma
obbedito un po’ meno a quelli che
erano non i voleri, ma direi quasi
gli appunti del Capo dello stato, ed
alle esigenze di partiti, e quindi aves-
se posto non soltanto il tema della
riforma della legge elettorale in sen-
so maggioritario, ma anche quello
di una riforma della legge elettorale
che desse vita ad una prima, vera
riforma istituzionale, molto proba-
bilmente lei avrebbe avuto in
quest’aula una maggioranza assai
meno ampia ma sarebbe venuto
meno al compito cui è delegato. Un
compito che consiste, sostanzial-
mente, nel varare la legge di riforma
elettorale maggioritaria dimentican-
do che, se si rimane nell’ambito di
una legge elettorale maggioritaria
senza dar corso a riforme di politica
istituzionale, non solo non si cambia
il sistema, ma si garantisce unica-
mente ai partiti di giocare le carte
secondo il loro tornaconto. La con-
clusione che vede il Movimento so-
ciale italiano convintamente schie-
rato a negarle la fiducia è relativa
alla necessità di varare una riforma
della legge elettorale in senso mag-
gioritario che porti ad una riforma
istituzionale. Il governo successivo
al voto del 18 aprile non poteva di-
re semplicemente: facciamo la legge
elettorale. A nostro giudizio, avreb-
be dovuto affermare di voler dare
vita ad una riforma istituzionale, ad
esempio cominciando a porre il pro-
blema dell’elezione diretta del Pre-
sidente del consiglio. Il Capo dello
stato non glielo consente e non glie-
lo consentono i partiti. Ecco perché
convintamente il Movimento sociale
italiano le nega la fiducia.
L’OPINIONE delle Libertà
VENERDÌ 5 OTTOBRE 2012
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