II
      
      
        ESTERI
      
      
        II
      
      
        MiracolodemocraticoaTbilisi
      
      
        Alle urne vince l’opposizione
      
      
        di
      
      
        
          STEFANO MAGNI
        
      
      
        n Georgia è accaduto l’impensa-
      
      
        bile, per gli standard di un Paese
      
      
        ex sovietico del Caucaso. Il partito
      
      
        del presidente, il Movimento Nazio-
      
      
        nale Unito ha perso le elezioni. Non
      
      
        sono scoppiati incidenti. E il presi-
      
      
        dente Mikheil Saakashvili, ha am-
      
      
        messo la sconfitta del suo schiera-
      
      
        mento. È democrazia. A nove anni
      
      
        di distanza dalla Rivoluzione delle
      
      
        Rose, democratica e occidentalista,
      
      
        capitanata proprio da Saakashvili,
      
      
        la Georgia ha passato con successo
      
      
        il primo test di alternanza pacifica
      
      
        del potere. Il presidente resterà an-
      
      
        cora Saakashvili fino alle presiden-
      
      
        ziali del prossimo anno, ma ora avrà
      
      
        a che fare con un Parlamento e un
      
      
        governo di segno opposto. Viste le
      
      
        premesse, la coabitazione (benché
      
      
        difficile) non si presenta come una
      
      
        missione impossibile.
      
      
        La vigilia delle elezioni era carat-
      
      
        terizzata dall’angoscia per lo scoppio
      
      
        di disordini. L’opposizione, la coa-
      
      
        lizione Sogno Georgiano, guidata
      
      
        dal miliardario Bidzina Ivanishvili,
      
      
        aveva già preparato una contesta-
      
      
        zione in piena regola, in caso di fro-
      
      
        de. Benché i sondaggi dessero in
      
      
        vantaggio il Movimento Nazionale
      
      
        Unito, fino all’inizio del mese, Iva-
      
      
        nishvili si diceva convinto della pros-
      
      
        sima vittoria. Ed ha avuto ragione.
      
      
        “
      
      
        Merito” di una serie di video, che
      
      
        documentano le torture nelle carceri:
      
      
        
          I
        
      
      
        hanno minato la popolarità di Saa-
      
      
        kashvili oltre ogni previsione. Fiore
      
      
        all’occhiello delle riforme democra-
      
      
        tiche, la trasformazione della polizia
      
      
        secondo standard occidentali ha
      
      
        mostrato tutti i suoi limiti. E l’opi-
      
      
        nione pubblica ha perso fiducia nel
      
      
        partito del suo presidente. C’erano
      
      
        molti elementi che facevano temere
      
      
        uno scenario post-sovietico. L’op-
      
      
        posizione, Sogno Georgiano, conte-
      
      
        stava una repressione sottile, ma ca-
      
      
        pillare: multe per finanziamento
      
      
        illecito al partito, poca esposizione
      
      
        mediatica, ostacoli frapposti dalle
      
      
        autorità alla campagna elettorale,
      
      
        più la questione irrisolta della citta-
      
      
        dinanza dello stesso Ivanishvili (che
      
      
        è ufficialmente francese e non ha po-
      
      
        tuto votare). Amnesty International
      
      
        e Human Rights Watch erano già in
      
      
        allerta. Il copione dell’ex Urss, già
      
      
        visto in Ucraina, Russia, Armenia e
      
      
        Azerbaigian (per non parlare della
      
      
        Bielorussia e delle repubbliche ancor
      
      
        più autoritarie dell’Asia Centrale)
      
      
        avrebbe previsto una vittoria della
      
      
        maggioranza ottenuta con la frode,
      
      
        oppure una vittoria della minoranza
      
      
        annullata per vizi legali, una conte-
      
      
        stazione repressa e un accentramen-
      
      
        to dei poteri nelle mani del presi-
      
      
        dente. In Georgia non è successo
      
      
        nulla del genere. Anzi: le elezioni so-
      
      
        no state dichiarate regolari ed eque
      
      
        dagli osservatori dell’Osce. Lungi
      
      
        dal voler accentrare il potere, la ri-
      
      
        forma voluta da Saakashvili, il pros-
      
      
        simo anno trasferirà più poteri al le-
      
      
        gislativo.
      
      
        L’alternanza farà bene alla Ge-
      
      
        orgia? Sogno Georgiano è una coa-
      
      
        lizione di partiti di differente estra-
      
      
        zione, sia democratici che
      
      
        conservatori. Il percorso internazio-
      
      
        nale indicato da Ivanishvili è rassi-
      
      
        curante nella sua continuità: adesio-
      
      
        ne graduale alla Nato e all’Ue,
      
      
        riforme economiche liberali, demo-
      
      
        crazia. Lo stesso Ivanishvili, però, è
      
      
        visto in patria con un certo sospetto:
      
      
        ha fatto i soldi in Russia e invita
      
      
        all’appeasement con Mosca. C’è chi
      
      
        lo vede come un portavoce occulto
      
      
        di Putin, venuto a “comprare” inve-
      
      
        ce che “conquistare” la Georgia. Se
      
      
        la democrazia funziona veramente
      
      
        ed è in grado di creare i giusti con-
      
      
        trappesi, questi dubbi saranno fugati
      
      
        nei prossimi mesi.
      
      
        
          Dibattito a Denver, Obama non ha ancora vinto
        
      
      
        K
      
      
        
          Il dibattito all’Università di Denver non è ancora iniziato e
        
      
      
        
          c’è chi (Huffington Post) considera le elezioni già vinte da Obama. Il
        
      
      
        
          sondaggio Rasmussen, però, gli dà 1 solo punto di vantaggio
        
      
      
        Rivoluzione tradita
      
      
        in un filmegiziano
      
      
        La trasformazione
      
      
        della Georgia dimostra
      
      
        di funzionare,
      
      
        a nove anni
      
      
        dalla Rivoluzione
      
      
        delle Rose: elezioni
      
      
        libere e regolari,
      
      
        alternanza in Parlamento
      
      
        I pogromnel Bangladesh
      
      
        e la censura sui media russi
      
      
        giovani egiziani non sono rasse-
      
      
        gnati a un regime dei Fratelli
      
      
        Musulmani solo perché a Obama
      
      
        va bene così. E a quasi due anni
      
      
        dalla rivolta di piazza Tahrir sen-
      
      
        tono che la loro rivoluzione è stata
      
      
        tradita. Così anche nell’arte cine-
      
      
        matografica esprimono questi con-
      
      
        cetti. E a volte il silenzio è d’oro per
      
      
        lamentare queste cose. Infatti il film
      
      
        “
      
      
        La”, che in arabo significa “no”,
      
      
        è una pellicola quasi senza parole
      
      
        ancorché infarcita di citazioni, da
      
      
        Nelson Mandela a Martin Luther
      
      
        King, evocati con scene di reperto-
      
      
        rio. Tutte belle parole che poi ven-
      
      
        gono commentate in modo sarca-
      
      
        stico attraverso il geniale mimo
      
      
        muto dell’attore Hesham Abdel
      
      
        Hamid, che è anche il regista del
      
      
        film prodotto dalla giovane Nadia
      
      
        Soleiman. Hamid è un regista e at-
      
      
        tore egiziano, che non ha esitato a
      
      
        scendere anche lui a piazza Tahrir
      
      
        mischiandosi alla plebe. Oggi i gio-
      
      
        vani intellettuali sono disillusi, ca-
      
      
        piscono che le forze reazionarie del-
      
      
        l’islamismo al potere, per non
      
      
        parlare dei salafiti, stanno cercando
      
      
        di sfruttare le forze giovanili e la
      
      
        voglia di libertà per  coltivare i vec-
      
      
        chi odi contro Israele e l’Occidente.
      
      
        Capri espiatori sempreverdi per
      
      
        non affrontare l’arretratezza cultu-
      
      
        rale ed economica. «Vogliamo de-
      
      
        mocrazia, libertà, uguaglianza e di-
      
      
        ritti civili nel nostro mondo arabo
      
      
        -
      
      
        dice alla stampa Abdel Hamid -
      
      
        
          I
        
      
      
        senza le nostre rivoluzioni, non
      
      
        avremmo potuto far sentire la no-
      
      
        stra voce, non avremmo potuto fa-
      
      
        re i nostri appelli». Ora però che le
      
      
        rivolte sono state tradite sente il do-
      
      
        vere di lanciare un messaggio più
      
      
        forte. Forse anche per questo mo-
      
      
        tivo che nella pellicola si è avvolto
      
      
        nella bandiera egiziana esultando
      
      
        in piazza. «Vedo una drastica tra-
      
      
        sformazione - dice ancora Abdel
      
      
        Hamid - ci sarà un totale cambia-
      
      
        mento nel paese, nel modo di pen-
      
      
        sare ma anche per la cultura e le
      
      
        espressioni artistico-culturali».
      
      
        Per la cronaca sappiamo che
      
      
        Abdel Hamid è padre di tre figli,
      
      
        sposato con un’egiziana. Entrambi
      
      
        sono  buoni musulmani. Ma co-
      
      
        smopoliti, avendo vissuto tra Parigi,
      
      
        Mosca e Roma. L’internazionali-
      
      
        smo diventa così un modo di rivol-
      
      
        gere al mondo la propria speranza
      
      
        di riscatto: il “No” che è il titolo
      
      
        del film, in fondo, è una vera e pro-
      
      
        pria presa di posizione politica con-
      
      
        tro chi ha già restaurato tutto il
      
      
        peggio di quel che c’era prima. Una
      
      
        specie di gattopardismo arabo isla-
      
      
        mico che questa pellicola che, da
      
      
        muta, parla più di quelle fin troppo
      
      
        prolisse di dialoghi superflui, de-
      
      
        nuncia all’Europa e all’America. La
      
      
        quale dopo avere appoggiato i
      
      
        Gheddafi, i Ben Alì e i Mubarak
      
      
        oggi ripete gli stessi errori fidandosi
      
      
        dei Morsi e dei Ghannouchi.
      
      
        
          DIMITRI BUFFA
        
      
      
        n’immagine, una vignetta o un
      
      
        video amatoriale considerati
      
      
        “
      
      
        blasfemi” nei confronti della reli-
      
      
        gione musulmana, continuano a far
      
      
        da pretesto a violenze di massa e
      
      
        censure governative. Benché l’on-
      
      
        data di odio anti-occidentale in
      
      
        Nord Africa e nel Medio Oriente
      
      
        sia sparita dalle prime pagine, in
      
      
        Bangladesh una sola immagine po-
      
      
        stata su una pagina Facebook ha
      
      
        scatenato un pogrom. Questa volta
      
      
        non sono le vittime non sono am-
      
      
        basciate o comunità cristiane, ma i
      
      
        buddisti locali. Il 29 e il 30 settem-
      
      
        bre scorsi, nei sotto-distretti di Ra-
      
      
        mu, Ukhla, Patia e Teknaf, folle in-
      
      
        ferocite di migliaia di musulmani
      
      
        (
      
      
        circa 25mila in tutto il Paese) han-
      
      
        no assaltato e devastato almeno 22
      
      
        templi buddisti e 2 indù. A Ramu,
      
      
        dove sono avvenuti gli scontri più
      
      
        gravi, sono stati rasi al suolo 15 edi-
      
      
        fici religiosi, uno dei quali antico di
      
      
        250
      
      
        anni.
      
      
        E il tutto sarebbe avvenuto, ap-
      
      
        punto, per una sola immagine.
      
      
        Nemmeno pubblicata su un quoti-
      
      
        diano, ma postata su una pagina
      
      
        Facebook personale, forse da un
      
      
        certo Uttam Kumar Barua, un gio-
      
      
        vane qualunque.
      
      
        La polizia del Bangladesh ha ar-
      
      
        restato 166 persone fra i responsa-
      
      
        bili delle devastazioni. Migliaia di
      
      
        persone, cristiani, animisti, buddisti
      
      
        e indù, sono in fuga. Il Bangladesh
      
      
        ha una schiacciante maggioranza
      
      
        
          U
        
      
      
        musulmana. Fra i partiti di oppo-
      
      
        sizione si distingue da anni il Jama-
      
      
        at-e-Islami, di ispirazione fonda-
      
      
        mentalista islamica. È soprattutto
      
      
        quella formazione che ha soffiato
      
      
        sul fuoco della presunta “blasfe-
      
      
        mia”. Una fonte dell’agenzia mis-
      
      
        sionaria Asia News (coperta da
      
      
        anonimato) ritiene che l’immagine
      
      
        su Facebook sia solo un pretesto:
      
      
        la minoranza etnica musulmana dei
      
      
        Rohingya (perseguitati nella Birma-
      
      
        nia buddista e considerati cittadini
      
      
        di serie B anche in Bangladesh)
      
      
        avrebbe colto l’occasione per «…
      
      
        attirare l’attenzione sul loro proble-
      
      
        ma». Questi pogrom sarebbero fi-
      
      
        nalizzati anche ad un vero e proprio
      
      
        saccheggio di terre: «Ancora una
      
      
        volta – spiega la fonte anonima di
      
      
        Asia News – i settlers bengalesi
      
      
        (
      
      
        musulmani, ndr) sfrutteranno la
      
      
        situazione per occupare le terre dei
      
      
        tribali della zona e cacciarli via». In
      
      
        effetti è dubbio che un singolo post
      
      
        su Facebook possa essere la vera
      
      
        “
      
      
        causa”. Come nel Medio Oriente,
      
      
        le scorse settimane, anche nella na-
      
      
        zione Sud-asiatica questa ondata di
      
      
        furore religioso appare in tutta evi-
      
      
        denza come un’azione già pianifi-
      
      
        cata, o per lo meno “covata” da
      
      
        molto tempo e per tutt’altre cause.
      
      
        Fermarsi, qui in Occidente, a discet-
      
      
        tare sui limiti della libertà di espres-
      
      
        sione non sortirà alcun effetto. Per-
      
      
        ché qualsiasi pretesto, anche una
      
      
        semplice conversazione privata, an-
      
      
        che un minimo gesto, può essere
      
      
        preso a pretesto per scatenare l’in-
      
      
        ferno. Eppure è di ieri la notizia che
      
      
        una nazione, non certo musulmana,
      
      
        la Russia, ha messo al bando il vi-
      
      
        deo amatoriale su Maometto con
      
      
        una sentenza della magistratura. La
      
      
        decisione dei giudici russi rientra
      
      
        già nella logica della nuova legge
      
      
        sui media (entrerà in vigore il pros-
      
      
        simo 1 novembre) che istituisce del-
      
      
        le “liste nere” di siti vietati agli uten-
      
      
        ti. La Russia non si è fatta scrupoli,
      
      
        negli anni scorsi, di uccidere decine
      
      
        di migliaia di musulmani in Cece-
      
      
        nia. Cosa che non ha sortito alcuna
      
      
        protesta degna di nota nel mondo
      
      
        islamico. Ma oggi ritiene che un vi-
      
      
        deo amatoriale sia “contenuto estre-
      
      
        mistico” anti-musulmano. Quando
      
      
        si tratta di censurare…
      
      
        (
      
      
        ste. ma.)
      
      
        
          L’OPINIONE delle Libertà
        
      
      
        MERCOLEDÌ 3 OTTOBRE 2012
      
      
        
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