di
RUGGIERO CAPONE
spettiamo ora l’ordinanza di arresto
degli altri 70 consiglieri regionali
con riferimento anche a coloro che fanno
parte della segreteria dell’Ufficio di presi-
denza del Consiglio regionale del Lazio»,
questa affermazione dell’avvocato Carlo
Taormina, difensore dell’ex capogruppo
Pdl in Regione Lazio, l’arrestato Franco
Fiorito, sintetizza come sia stata di fatto
rottamata l’intera classe politica del Lazio.
E questo non perché verranno arrestati tut-
ti, ma perché su ogni politico o politicante
di Roma e dintorni ormai pende il dubbio,
la macchia indelebile d’aver coperto, fatto
finta di non vedere, compiaciuto. A finire
in rottamazione non è solo il Pdl, ma tutto
il sistema dei partiti che, trasversalmente,
ha attinto allo strumento regionale dei fon-
di a disposizione dei gruppi.
Certo chi ne esce peggio è proprio il Pdl,
che oggi pare non riesca proprio a trovare
la quadra su Roma e nel Lazio.
Anche perché ora nel Pdl è scattata l’ora
l’estremo coraggio: nessuno conosce i sodali
di partito, nessuno di loro ha nemmeno
preso un caffè col compagno politico di
merenda, non sanno chi sia Fiorito... la me-
moria non li aiuta. «Io ero a Strasburgo, e
in mezzo a questa robaccia non ci sono en-
trato e non ci voglio entrare» afferma Al-
fredo Pallone, vicecoordinatore del Pdl nel
Lazio. «Non sono stato raggiunto da alcun
avviso di garanzia e sono certo che non ver-
rò raggiunto, anche perché dal 9 al 12 set-
tembre ero a Strasburgo. Il 12 settembre in
particolare (giorno della riunione in cui si
«
A
decise la divulgazione delle fatture risultate
poi falsificate, ndr) ero a Strasburgo e alle
17
ero ad Atreju. Non potevo partecipare
a nessuna riunione». A ruota, e dopo Pal-
lone, tutti negano d’aver solo sentito parlare
di Fiorito. «Era un cane sciolto - afferma
un esponente del Pdl (ci chiede d’omettere
nome e cognome) - quasi un outsider, fa-
ceva politica per i fatti suoi, credo ad Ana-
gni e dintorni. Non ricordo d’averlo mai
incontrato di persona: anzi, ora che ci pen-
so, l’ho sentito nominare per la prima volta
da un mese a questa parte solo su giornali
e tivù». Ma era il capogruppo? «Non ri-
cordo», taglia corto.
Tutta questa pantomima va di scena
mentre starebbe partendo proprio nel Lazio
la scissione del Pdl, tutta tra ex forzisti ed
ex aennini. Chi la spunterà? Di certo nes-
suno, in queste condizioni di massima di-
sorganizzazione il centro-destra è candidato
a perdere comune (area metropolitana), re-
gione e politiche. A questo s’aggiunge l’ar-
roganza della classe dirigente che, lungi
dall’intelligente autocritica, si barrica dietro
paraventi come «siamo stati traditi», «è
stato un trabocchetto di sinistre e magistra-
tura», «non è così come sembra»... In que-
sta desolazione spiccano le parole di Maria
Stella Gelmini: «Il caso Fiorito ha prodotto
un danno molto forte all’immagine del Pdl,
che però è anche legata ad amministratori
che svolgono con serietà e correttezza il lo-
ro compito... ora da parte nostra ci sarà
una forte attenzione al tema, oltre che alla
formazione e selezione della nostra classe
dirigente». Ma la strada è in salita, soprat-
tutto nel Lazio.
II
POLITICA
II
Il Pdl ha le ruote sgonfie
nel Lazio è senzabenzina
E se domani scioperasse
anche il contribuente?
Il momento di una nuova generazione di cattolici
taliani Liberi e Forti: un partito
che vuole cambiare il modo di
fare politica in Italia. Il partito dei
cattolici aperto a tutti ha candi-
dato Gaspare Sturzo in Sicilia.
A suo tempo Giovanni Paolo
II era stato chiaro nel corso di un
incontro con i dirigenti della pro-
vincia di Roma: «È necessario far
crescere più radicalmente una
nuova mentalità e una nuova cul-
tura, caratterizzate dal gusto del-
l’impegno e dell’accettazione del
rischio, in una prospettiva di li-
bertà e, insieme, di solidarietà».
Ugualmente chiaro è stato l’appel-
lo-invito di Benedetto XVI: «Oc-
corre una nuova generazione di
cattolici impegnati in politica».
Così è maturato il “noi ci siamo”
dei soci fondatori del nuovo par-
tito, che si propone di operare nel
solco del profondo pensiero poli-
tico, economico e, soprattutto,
morale di don Luigi Sturzo, fon-
datore nel 1919 del Partito Popo-
lare Italiano e poi profeta inascol-
I
tato dai democristiani.
Sturzo sosteneva che «la poli-
tica è di per sé un bene: fare po-
litica è un atto di amore per la
collettività, tante volte può essere
un dovere del cittadino». I fonda-
tori di ILeF non provengono dal
mondo della politica, ma dal vasto
mondo delle professioni. Hanno
deciso di “salire” in politica in un
momento in cui questa sta “scen-
dendo” penosamente agli occhi
dell’opinione pubblica. Il loro am-
bizioso obiettivo è di «ridare agli
italiani l’orgoglio di essere italia-
ni» con un programma di forti ri-
forme, a partire dallo stesso modo
di fare politica, riducendo il costo
del pesante apparato statale e dan-
do maggiore spazio e dinamismo
al settore privato dell’economia.
Italiani Liberi e Forti si dichia-
ra laico e aconfessionale. Non pre-
tende di essere il partito dei cat-
tolici, ma un partito di cattolici
aperto a tutte le persone di buona
volontà. Eugenio Guccione, pre-
sidente del consiglio nazionale di
ILeF, afferma: «Non vogliamo es-
sere il partito di tutti i cattolici,
né proporre nostalgicamente ri-
cette sturziane a scatola chiusa,
cioè riproporre alla lettera progetti
e soluzioni indicate da Luigi Stur-
zo per situazioni e problemi del
suo tempo».
«
Non saremo il partito dei lea-
der dotati di milioni di euro, ma
saremo il partito della gente nor-
male», sottolinea il segretario po-
litico di ILeF, Giovanni Palladino.
«
Non vogliamo che il partito sia
finanziato dal denaro pubblico,
preferiamo che tutte le risorse sia-
no private e che ovviamente non
provengano da lobby economico-
finanziarie, né tanto meno da log-
ge massoniche. Punteremo molto
sui giovani, perché vogliamo fare
molto per i giovani».
C’è da cogliere proprio in que-
ste parole e nella decisione di
scendere in campo in un modo di-
verso, la vera novità di ILeF. È un
cambiamento di mentalità che è
stato auspicato anche dallo stesso
presidente del consiglio, Mario
Monti. Più competizione, più me-
ritocrazia, più senso di responsa-
bilità con l’assunzione di rischi
ben ponderati all’interno di una
economia sociale e solidale di
mercato, dove lo stato deve assu-
mere il ruolo di arbitro e non an-
che quello improprio di giocatore,
come è purtroppo avvenuto negli
ultimi 50 anni, finendo così di fare
un pessimo arbitraggio e un pes-
simo gioco.
Rischiare è mettere in campo
qualcosa che appartiene e carat-
terizza, a qualsiasi livello, da quel-
lo intellettuale a quello economi-
co, da quello politico a quello
imprenditoriale. Si tratta di far
germogliare laicamente il grande
potenziale di tutti, creando qual-
cosa di nuovo che sia corrispon-
dente alle esigenze della società ci-
vile. C’è bisogno di ripensare allo
stato in modo diverso, iniziando
con il porre limiti alla sua attività,
nel pieno rispetto delle libertà in-
dividuali e delle capacità dei sin-
goli. Rischiare quando si è garan-
titi dallo stato porta a una falsa
crescita e a una illusione.
Alcune attuali circostanze sug-
geriscono, in conclusione, di ri-
proporre queste parole pronun-
ciate profeticamente da Sturzo il
4
novembre 1951: «Oggi si è ar-
rivati all’assurdo di voler elimina-
re il rischio per attenuare le re-
sponsabilità fino ad annullarle (…
).
Gli amministratori degli enti sta-
tali sanno in partenza che se oc-
corrono prestiti, garantisce lo sta-
to. Se occorre lavoro, dovrà
trovarlo lo stato. Se si avranno
perdite, si ricorre allo stato. Se si
produce male, ripara lo stato. Se
non si conclude un granché, i
prezzi li mantiene alti lo stato. Do-
v’è il rischio? Svaporato. E la re-
sponsabilità? Svanita. E l’econo-
mia? Compromessa. In Italia oggi
solo le aziende dei poveri diavoli
possono fallire. Le altre sono de-
gne di salvataggio. Il rischio è co-
perto in partenza, anche per le
aziende che non sono statali, ma
che hanno avuto gli appoggi dello
stato. In un paese - continuava
don Sturzo - dove la classe politica
va divenendo impiegatizia, dove
la classe economica si statalizza,
dove molti lavoratori passano alle
dipendenze dirette o indirette dello
Stato, non solo va a morire la li-
bertà economica, ma viene messa
in pericolo la libertà politica».
Queste parole, pronunciate ben
60
anni fa, non hanno fatto altro
che riflettere il progressivo degra-
do della politica e dell’economia
in Italia, per non parlare del clima
morale, facendoci finire nella gra-
ve crisi attuale, dalla quale si può
uscire solo con un deciso cambia-
mento di mentalità, innanzitutto
a livello politico. Al nuovo partito
va dato atto, se non altro, di voler
rompere coraggiosamente uno
sta-
tus quo
nel quale il paese si è pe-
ricolosamente adagiato e dalla cui
trappola sono in molti a voler
uscire. C’è quindi bisogno di una
nuova generazione di cattolici im-
pegnati seriamente in politica, per-
ché la vecchia generazione ha cla-
morosamente fallito. E ormai
conosciamo tutti qual è stata la
vera causa del fallimento: il mon-
do politico, compreso quello cat-
tolico, si è servito per fini perso-
nali del potere piuttosto che
servire, cioè essere utile alla socie-
tà civile. È da sempre così, ma non
è un motivo per rassegnarsi, è anzi
un motivo per reagire e puntare
decisamente al cambiamento.
VITO PIEPOLI
’
autunno non sarà ancora caldo, ma
per lo meno è tiepido e ieri hanno scio-
perato i mezzi pubblici. Le prime cronache
della mattina raccontavano che Roma è
andata immediatamente in tilt, mentre a
Milano le ultime corse della metropolitana
prima che calasse la scure sono state prese
d’assalto dai viaggiatori. Pare che i dipen-
denti dell’Atm avessero così tanta voglia
di scioperare che ancora prima che la pro-
testa iniziasse avevano già chiuso i corridoi
che collegano la linea 1 e la linea 3 alla
fermata Duomo.
Scioperano, dice la leader della Cgil Su-
sanna Camusso, perché «il contratto non
si rinnova dal 2007» e «il governo ha al-
zato le accise per sostenere il trasporto
pubblico ma quei soldi non si sono mai vi-
sti ed è peggiorato il servizio». Se è una
porcheria aumentare le accise ai danni del-
le tasche dei contribuenti che già pagano
il servizio pubblico, sarebbe ancora di più
una porcheria se i contribuenti pagassero
due volte per un disagio. Peccato sia an-
data proprio così: accise sul groppone e
sciopero dei trasporti. Tant’è, e se domani
scioperassimo noi? Tutti noi: da chi paga
per non avere un servizio a chi non è pa-
gato per fornire un servizio? Nota bene:
non si tratta di fare della polemica spic-
ciola, di impugnare le rivendicazioni dei
lavoratori, di contestare il sistema che re-
gola il mondo del lavoro, più che altro per-
ché più che contestato andrebbe riformato.
Il ministro del lavoro, Elsa Fornero ci ha
provato, ma la sua legge mostra più pecche
che punti a favore. Sembra piuttosto un
modo per forzare i dati sull’occupazione
L
e presentarsi al prossimo Consiglio euro-
peo compiaciuti di aver contribuito a mi-
gliorali, per quanto il rilancio della cam-
pagna contro gli evasori del premier Mario
Monti lasci intuire un certo nervosismo di
fronte all’eventualità concreta che, nono-
stante oppure proprio a causa della rifor-
ma Fornero, il lavoro in nero stia aumen-
tando.
Dunque, se scioperassero gli stagisti non
retribuiti? Se incrociassero le braccia quelli
che pigliano 100 o 200 euro al mese, lordi?
Se non si presentassero sul lavoro gli sgob-
boni che operano a cottimo in cambio di
un pugno di mosche? E non perché il dan-
nato treno o il dannato tram si è messo in
testa di non passare a raccoglierlo questa
mattina, ma per una semplice rottura di
scatole. Se ne accorgerebbe qualcuno? Se
ne renderebbero conto certamente le azien-
de, ma il punto è: lo stato realizzerebbe la
cosa? Elaborerebbe la conclusione che è
la causa delle forti disparità di trattamento
in Italia? Che non è legale sottrarre lo sti-
pendio - ammesso che ci sia - dalla busta
paga del contribuente al quale è chiesto
peraltro di sovvenzionare il trasporto pub-
blico ogni volta che sosta dal benzinaio?
Mentre la Camusso capirebbe la stupi-
dità delle sue dichiarazioni? Che dovrebbe
arrabbiarsi perché il governo ha imposto
delle accise a chi usufruisce di un servizio
pubblico (pendolari, operai, impiegati, in-
somma i lavoratori) anziché indignarsi per-
ché un contratto non è rinnovato da cin-
que anni? Ma che succede? Ci tocca anche
passare per sindacalisti?
DARIO MAZZOCCHI
L’OPINIONE delle Libertà
MERCOLEDÌ 3 OTTOBRE 2012
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