II
      
      
        POLITICA
      
      
        II
      
      
        Famiglie più povere: si mangia comeOliverTwist
      
      
        di
      
      
        
          LUCA PAUTASSO
        
      
      
        a spesa delle famiglie si è con-
      
      
        tratta a metà del 2012 del 4%.
      
      
        Lo ha ribadito ieri il presidente della
      
      
        Corte dei Conti, Luigi Gianpaolino,
      
      
        dopo che nei giorni scorsi la Cgia
      
      
        di Mestre aveva quantificato la con-
      
      
        trazione in addirittura 4,4 punti per-
      
      
        centuali nell’arco di tempo compre-
      
      
        so tra il 2007 e il 2011. Secondo
      
      
        Giampaolino, per colpa della crisi e
      
      
        delle misure di austerity imposte dal
      
      
        governo, il dato sulla diminuzione
      
      
        della spesa delle famiglie italiane è
      
      
        «
      
      
        presumibilmente destinato a peg-
      
      
        giorare nella seconda parte dell’anno
      
      
        e nei primi mesi del 2013».
      
      
        Si spende meno, e ci sono più
      
      
        poveri. Rispetto a cinque anni or so-
      
      
        no, fa sapere l’ufficio studi mestrino,
      
      
        ci sono 988mila nuovi poveri,
      
      
        1.247.000
      
      
        disoccupati in più e altri
      
      
        421
      
      
        mila nuovi cassintegrati. E anche
      
      
        la Cgia condivide il pessimismo del
      
      
        presidente Giampaolino: «Nel 2012
      
      
        è prevista una contrazione del Pil
      
      
        attorno al 2,5%, mentre nel 2013
      
      
        la caduta dovrebbe attestarsi attorno
      
      
        allo 0,2%. È evidente dunque che
      
      
        l’area del disagio socioeconomico è
      
      
        destinata ad allargarsi, soprattutto
      
      
        nel Mezzogiorno», osserva il segre-
      
      
        tario della Cgia di Mestre, Giuseppe
      
      
        Bortolussi. «In termini assoluti - pro-
      
      
        segue Bortolussi - è stato il sud a se-
      
      
        gnare gli aumenti più significativi
      
      
        sia delle sacche di povertà assoluta
      
      
        sia del numero dei nuovi disoccu-
      
      
        pati. Mentre spetta al nordest, sem-
      
      
        pre in valore assoluto, l’aumento più
      
      
        significativo del numero di lavora-
      
      
        
          L
        
      
      
        tori in cassa integrazione a zero
      
      
        ore».
      
      
        Si alza anche la soglia di spesa
      
      
        mensile sotto la quale si è conside-
      
      
        rati poveri: ad esempio, in base ai
      
      
        parametri dell’Istat, un adulto tra i
      
      
        18
      
      
        e i 59 anni che vive da solo è
      
      
        considerato assolutamente povero
      
      
        se la sua spesa è inferiore o pari a
      
      
        784,49
      
      
        euro mensili nel caso risieda
      
      
        in un’area metropolitana del Nord,
      
      
        a 703,16 euro qualora viva in un
      
      
        piccolo comune settentrionale e a
      
      
        525,65
      
      
        euro se risiede in un piccolo
      
      
        comune meridionale. Sempre secon-
      
      
        do l’Istat, la povertà assoluta sale
      
      
        nelle famiglie monoreddito con un
      
      
        alto numero di figli, o in quelle dove
      
      
        la persona di riferimento non risulta
      
      
        occupata. Nel 2011, gli individui in
      
      
        stato di indigenza assoluta in Italia
      
      
        erano quasi tre milioni e mezzo: po-
      
      
        co più di un milione al nord, circa
      
      
        491
      
      
        mila al centro e più di
      
      
        1.800.000
      
      
        al sud. Paragonate a tre
      
      
        città italiane, la prima sarebbe Gran-
      
      
        de quanto Torino e Caltanissetta
      
      
        messe assieme, la seconda avrebbe
      
      
        più abitanti di Bologna, e la terza
      
      
        supererebbe addirittura la popola-
      
      
        zione di una metropoli come Mila-
      
      
        no sommata a Trieste.
      
      
        L’impatto sociale di questi nu-
      
      
        meri è sotto gli occhi di tutti. A co-
      
      
        minciare dai prodotti quotidiana-
      
      
        mente offerti dalla grande
      
      
        distribuzione. Fino all’altro ieri, qua-
      
      
        lunque cosa avesse avuto anche un
      
      
        minimo sentore di “vecchio”, sareb-
      
      
        be finita nell’immondizia, o al mas-
      
      
        simo regalata alla mensa dei poveri.
      
      
        Oggi è solo un business come un al-
      
      
        tro, solo con la cinghia un po’ più
      
      
        stretta. Specie da quando una fami-
      
      
        glia su tre, come dicono le stime de-
      
      
        gli agricoltori, è stata addirittura co-
      
      
        stretta a depennare frutta e verdura
      
      
        dalla lista della spesa. E così, dal
      
      
        banco frigo alla panetteria, torna in
      
      
        auge un ventaglio di prodotti da do-
      
      
        poguerra.
      
      
        In provincia di Trento, ad esem-
      
      
        pio, un supermercato ha comincia
      
      
        a proporre il pane del giorno prima
      
      
        a 50 centesimi il chilogrammo, fian-
      
      
        co a fianco con il pane “di lusso”
      
      
        sfornato in mattinata, a prezzo pie-
      
      
        no. Un po’ dappertutto al banco dei
      
      
        salumi fanno bella mostra di sé da
      
      
        diverso tempo fondi di prosciutto e
      
      
        pancetta incellophanati e prezzati
      
      
        proprio come le vaschette con le fet-
      
      
        te “normali”. Fino a pochi anni fa
      
      
        li si doveva chiedere espressamente
      
      
        alla commessa, magari sottovoce,
      
      
        quasi a gesti, per evitare la vergogna
      
      
        di essere additati come un cliente
      
      
        non in grado di comprare del pro-
      
      
        sciutto “buono”. In provincia di Ve-
      
      
        nezia, a fianco delle confezioni di
      
      
        petti di pollo, compaiono quelle di
      
      
        colli di tacchino: quasi una pietanza
      
      
        da assedio medievale, diventata in-
      
      
        vece la norma per tanti consumatori
      
      
        che altrimenti non riuscirebbero a
      
      
        vedere la fine del mese nemmeno col
      
      
        binocolo. In un supermercato in pie-
      
      
        no centro a Roma le banane un po’
      
      
        in là con lo stadio di maturazione
      
      
        vengono messe da parte e ripresen-
      
      
        tati in pratiche vaschette a prezzo
      
      
        politico, nonostante la caratteristica
      
      
        livrea ormai più marrone che gialla.
      
      
        Si rasenta quasi le ambientazioni da
      
      
        Oliver Twist con i pacchetti di croste
      
      
        di Parmigiano Reggiano proposti,
      
      
        sempre nella Capitale, da un altro
      
      
        ipermercato. Niente polpa, solo cro-
      
      
        ste. Qualche dozzina per pochi euro,
      
      
        da condirci la minestra o da grattu-
      
      
        giare con la stessa ostinata speranza
      
      
        di chi prova a cavare il sangue da
      
      
        una rapa.
      
      
        Del resto, come avrebbe ammes-
      
      
        so lo stesso Charles Dickens, anche
      
      
        questi sono
      
      
        
          Tempi difficili
        
      
      
        .
      
      
        AAA cercasi disperatamente candidato premier
      
      
        essuno che ci voglia mettere
      
      
        la faccia. Sembra scattata la
      
      
        sindrome della poltrona che scotta,
      
      
        o meglio dell’urna, visto che tutti
      
      
        vorrebbero fare il presidente del
      
      
        consiglio, ma nessuno si vuole az-
      
      
        zardare a chiedere democratica-
      
      
        mente il voto agli elettori.
      
      
        Dopo anni di tentennamenti,
      
      
        Montezemolo ancora non si decide
      
      
        a fare il salto decisivo e si limita a
      
      
        mettere i suoi voti virtuali a dispo-
      
      
        sizione di Monti. Che sia paura che
      
      
        quei voti virtuali non siano affatto
      
      
        reali, oppure che tema la spada di
      
      
        Damocle del conflitto di interessi,
      
      
        fatto sta che preferisce rimanere in
      
      
        retroguardia a pontificare su quello
      
      
        che gli altri dovrebbero fare, senza
      
      
        tentare di farlo lui stesso.
      
      
        Per quanto riguarda Gianfranco
      
      
        Fini e Pierferdinando Casini, ed è
      
      
        facile intuire che, consapevoli del-
      
      
        l’insufficienza di voti reali, siano
      
      
        come sempre alla ricerca di un car-
      
      
        ro buono su cui salire. Molto più
      
      
        semplice appoggiare il Monti di
      
      
        
          N
        
      
      
        turno che candidarsi direttamente.
      
      
        Se va male, non si assumono la re-
      
      
        sponsabilità della sconfitta. Se va
      
      
        così così, almeno recuperano qual-
      
      
        che voto per tornare in parlamento.
      
      
        Se va bene, diventano ago della bi-
      
      
        lancia e possono continuare a far
      
      
        pesare ogni loro voto per governa-
      
      
        re ricattando la maggioranza.
      
      
        Ma l’assurdo è che le tre civette
      
      
        sul comò di Monti lo vogliono can-
      
      
        didare alle elezioni senza che nep-
      
      
        pure lui intenda metterci la faccia.
      
      
        In pratica, loro raccolgono voti per
      
      
        sostenere un presidente che non in-
      
      
        tende candidarsi. Non che non vo-
      
      
        glia continuare a governare, lo ha
      
      
        appena chiarito, ma proprio non
      
      
        si vuole abbassare a passare per il
      
      
        vaglio degli elettori. Questa famosa
      
      
        gente, di cui tutti si riempiono la
      
      
        bocca a sproposito, forse non è de-
      
      
        gna di valutare l’operato di chi si
      
      
        ritiene al di là del giudizio altrui.
      
      
        Il tutto nascondendosi dietro una
      
      
        presunta tecnicità, che non si vuole
      
      
        mischiare con l’infame politica.
      
      
        Peccato che la politica altro non
      
      
        sia che il governo di un popolo, per
      
      
        cui nel momento in cui si raggiunge
      
      
        il potere di governare, ogni atto che
      
      
        si compie è per definizione politico.
      
      
        Semmai non è democratico farlo
      
      
        senza il consenso di quello stesso
      
      
        popolo. La strategia di Monti è co-
      
      
        munque win-win: se va male alle
      
      
        tre civette, lui non si assume la re-
      
      
        sponsabilità della sconfitta. Se va
      
      
        così così e non si forma una mag-
      
      
        gioranza alle urne, lui si spaccia co-
      
      
        me risorsa della Repubblica e torna
      
      
        al governo. Se va bene idem.
      
      
        Non che al di fuori di questo
      
      
        disegno le cose vadano meglio, pe-
      
      
        raltro. Berlusconi continua ad es-
      
      
        sere in bilico. Da un lato sarà stufo,
      
      
        ed è comprensibile, dall’altro nep-
      
      
        pure lui sembra aver voglia di as-
      
      
        sumersi la responsabilità di una
      
      
        sconfitta, per cui si tiene più o me-
      
      
        no in disparte, nell’indecisione se
      
      
        appoggiare pure lui Monti prima
      
      
        o dopo le elezioni, a seconda del
      
      
        risultato. Difficile che la strategia
      
      
        paghi, però: se c’è un merito che il
      
      
        Cavaliere aveva, era proprio quello
      
      
        di essere stato il primo a metterci
      
      
        apertamente la faccia e rischiare in
      
      
        prima persona.
      
      
        Dal lato dell’antipolitica, poi,
      
      
        c’è colui il quale finge di tenere in
      
      
        gran considerazione la gente, ma
      
      
        neppure lui vuole azzardarsi a chie-
      
      
        derne direttamente il voto. Non si
      
      
        sa bene, infatti, chi abbia intenzio-
      
      
        ne di candidare Beppe Grillo, se in-
      
      
        tenda mettere un fantoccio mano-
      
      
        vrabile da dietro le quinte o se
      
      
        intenda affidare il governo al dio
      
      
        Internet, in una via di mezzo tra
      
      
        Hal 9000 e la psicostorica Fonda-
      
      
        zione di Asimov.
      
      
        In tutto questo Prerluigi Bersani
      
      
        e Matteo Renzi fan quasi tenerezza,
      
      
        perché, onore al merito, almeno lo-
      
      
        ro danno la parvenza di credere
      
      
        ancora nelle elezioni e, per il mo-
      
      
        mento, sembrano candidarsi dav-
      
      
        vero alla presidenza del consiglio.
      
      
        Peccato che il loro partito sembri
      
      
        lasciarli giocare alle primarie per
      
      
        far contento chi ci crede, ma di
      
      
        fondo sia già pronto a saltare sul
      
      
        carro del montismo pur di non ri-
      
      
        trovarsi nell’incubo di dover go-
      
      
        vernare in alleanza con Nichi Ven-
      
      
        dola.
      
      
        Pure quest’ultimo, peraltro, do-
      
      
        po che annuncia la candidatura da
      
      
        anni, non ha avuto il coraggio di
      
      
        metterla in pratica, forse per la
      
      
        consapevolezza che il carro dell’an-
      
      
        tipolitica glielo ha già sottratto
      
      
        Grillo. Dal lato Lega, Roberto Ma-
      
      
        roni sembra rassegnato a fare op-
      
      
        posizione e neppure si pone il pro-
      
      
        blema di candidarsi. Quanto ad
      
      
        Antonio Di Pietro, infine, ecco ap-
      
      
        punto, in fine.
      
      
        Ci ritroviamo, così, a pochi me-
      
      
        si dalle elezioni senza che nessuno
      
      
        abbia il coraggio di candidarsi
      
      
        apertamente, non solo per la com-
      
      
        prensibile paura di perdere, quanto
      
      
        piuttosto per quella di vincere. Per
      
      
        quanto, purtroppo, non siamo in
      
      
        un sistema presidenziale, infatti, il
      
      
        nostro ibrido ha creato di fatto una
      
      
        aspettativa degli elettori nei con-
      
      
        fronti del capo del governo. Che
      
      
        fosse Berlusconi o Prodi, nel bene
      
      
        o nel male, diventare premier ha
      
      
        significato per 20 anni assumersi
      
      
        la responsabilità di fronte agli elet-
      
      
        tori, onori ed oneri, meriti e deme-
      
      
        riti, come dovrebbe sempre essere
      
      
        in una democrazia in cui sono solo
      
      
        gli elettori a giudicare se sono stati
      
      
        bene o mal governati.
      
      
        A quanto pare, però, non c’è
      
      
        più nessuno disposto a rischiare in
      
      
        prima persona. Pochi mesi di un
      
      
        governo deresponsabilizzato, privo
      
      
        di legittimazione elettiva, e lorsi-
      
      
        gnori preferiscono nascondersi die-
      
      
        tro le presunte emergenze nazionali
      
      
        pur di non tornare alla democrazia,
      
      
        non farsi giudicare, continuare a
      
      
        sedere al centro comandi senza
      
      
        averne ricevuto la delega. Avevano
      
      
        detto che sarebbe stata solo una
      
      
        parentesi, che finita la buriana sa-
      
      
        remmo tornati ad eleggere i nostri
      
      
        governanti e, invece, si sono abi-
      
      
        tuati presto alla comodità dell’oli-
      
      
        garchia. E così ora ci propinano
      
      
        una finta elezione senza candidati,
      
      
        il cui risultato ritengono già scritto.
      
      
        Ma andrà davvero così? È pro-
      
      
        babile che, sì, l’astensione sarà per
      
      
        questo a livelli paurosi, è altret-
      
      
        tanto probabile che inizialmente
      
      
        ci rassegneremo al Monti-bis, ma
      
      
        per quanto gli italiani potranno
      
      
        sopportare ancora questa assenza
      
      
        di responsabilità politica che rica-
      
      
        de tutta sulle loro spalle? Perché
      
      
        quando si toglie al popolo lo stru-
      
      
        mento democratico per decidere
      
      
        come essere governato, prima o
      
      
        poi se lo riprende, con le buone o
      
      
        con le cattive.
      
      
        
          BARBARA DI SALVO
        
      
      
        
          L’OPINIONE delle Libertà
        
      
      
        MERCOLEDÌ 3 OTTOBRE 2012
      
      
        
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