II
SOCIETÀ
II
Il casoTortora diventa una (bella) fiction per la tv
di
GIUSEPPE TALARICO
a fiction rai diretta da Ricky
Tognazzi, intitolata
Il Caso
Tortora - Dov’eravamo Rimasti
,
ha il merito di avere riportato
all’attenzione della pubblica opi-
nione, a distanza di trent’anni,
una vicenda dolorosa e sconvol-
gente nella quale si trovò coinvol-
to un signore raffinato e perbene
come Enzo Tortora.
La fiction è stata realizzata
grazie alla sceneggiatura scritta
da Giancarlo De Cataldo, Simona
Izzo e Monica Zapelli. Gli autori
della sceneggiatura si sono ispirati
a due libri, che hanno raccontato
con realismo e precisione questa
tragica vicenda: Vittorio Pizzuto,
che ha scritto il libro
Applausi e
Sputi - Le due Vite Di Enzo Tor-
tora
,
e
Fratello Segreto
,
di cui è
autrice la sorella del presentatore
e giornalista, Anna Tortora. Nella
fiction, commovente ed emozio-
nante, trasmessa su Rai 1 dome-
nica e lunedì, viene narrata l’odis-
sea dolorosa e terribile che il noto
presentatore dovette affrontare
dal 1983 al 1987, per ottenere
giustizia e il riconoscimento della
sua innocenza.
Trent’anni fa all’alba, il 17
giugno 1983, Enzo Tortora, men-
tre riposava in una stanza dell’-
Hotel Plaza di Roma, venne tratto
in arresto con l’accusa infamante
di associazione a delinquere e
spaccio di stupefacenti. Come nel-
la fiction viene mostrato, la sera
prima di andare a letto, e dopo
che aveva ricevuto un premio per
la sua trasmissione di successo,
Tortora aveva ricevuto una tele-
fonata da parte di un giornalista,
suo amico, nella quale il cronista
lo informò che era stato spiccato
un mandato di cattura nei suoi ri-
guardi da parte della procura di
Napoli. Il presentatore, dopo ave-
re parlato con l’amico giornalista,
confessò alla sorella Anna che
aveva ricevuto la telefonata di un
L
ubriaco, che gli preannunciava
una notizia inverosimile.
Appena irruppero le forze
dell’ordine nella sua stanza d’al-
bergo all’Hotel Plaza, Tortora fu
colto dalla sorpresa e sgomento
non riusciva a capire di cosa fosse
accusato e soprattutto quali fos-
sero le sue colpe. Condotto in
questura e consapevole di trovarsi
in una situazione kafkiana, venne
trattenuto, in attesa di essere por-
tato in carcere, sicchè in seguito
uscì dalla caserma ammanettato,
proprio nel momento in cui aveva
inizio il telegiornale. Fu questo il
momento nel quale si impose nel
nostro paese quel fenomeno grave
ed inaccettabile che consiste nel
trasformare le vicende giudiziarie
in un ignobile spettacolo, da of-
frire al meccanismo mediatico
giudiziario, analizzato con preoc-
cupazione dai giuristi e dagli stu-
diosi.
Una volta in carcere, Enzo
Tortora, tormentato per l’infamia
che gli era stata gettata addosso
dai sedicenti pentiti che lo accu-
savano di fatti gravissimi, da uo-
mo sensibile, colto e intelligente
prese coscienza della gravità della
condizione degli istituti di pena
italiani. Persone, con cui condivise
la detenzione preventiva, in attesa
di giudizio da molto tempo. Celle
degradate e sovraffollate, dove la
rieducazione della persona con-
dannata per i reati di cui si è resa
responsabile, diviene impossibile
e rappresenta una semplice illu-
sione.
In quel contesto doloroso e
terribile, dove la sua sensibilità di
uomo perbene venne esacerbata
da alcuni articoli di giornali, sui
quali si insinuava il sospetto che
avesse avuto una doppia vita,
quella pubblica e quella segreta
ed inconfessabile, Tortora soffrì
moltissimo e capì sulla sua pelle
a che punto fosse arrivato il de-
grado della giustizia nel nostro
paese. Per questo motivo si pro-
digò per aiutare, nei limiti in cui
era possibile, i suoi compagni di
detenzione, dimostrando, come
nella fiction emerge con grande
evidenza grazie alla forza del rac-
conto, un altissimo e commende-
vole grado di umanità e bontà
d’animo.
Se alcuni giornalisti si resero
responsabili di avere scritto arti-
coli con i quali davano credito,
sbagliando, alle accuse dei pentiti,
pur di trasformare l’uomo di suc-
cesso in un mostro da additare al
pubblico ludibrio, intellettuali e
scrittori come Leonardo Sciascia,
Enzo Biagi e Piero Angela, com-
prendendo il rischio che alla base
della inchiesta vi fosse un errore
giudiziario, presero le difese pub-
blicamente del presentatore e del
collega giornalista. In carcere, co-
me mostra molto bene e con
grande efficacia la fiction televi-
siva, Tortora maturò la decisione
di impegnarsi sia per dimostrare
la sua innocenza, sia per invocare
una riforma della giustizia, sia per
sollecitare l’attenzione delle isti-
tuzioni e della pubblica opinione
sulla condizione disumana in cui
versavano gli istituti di pena nel
nostro paese.
Dopo un malore che lo colse
nel carcere, provocato da un ar-
ticolo di giornale vergognoso con
cui lo si accusava di avere specu-
lato sulla raccolta di fondi per i
terremotati dell’Irpinia, gli ven-
nero concessi gli arresti domici-
liari. In questo periodo, mentre
viveva una sofferenza interiore
che già ne stava minando la salu-
te, Tortora ritenne giusto rivol-
gersi ai radicali, di cui aveva con-
diviso le battagli per il
riconoscimento dei diritti civili,
in particolare la legge per il divor-
zio.
Eletto al Parlamento Europeo,
rinunciò all’immunità, e dopo
avere subito in primo grado una
condanna a dieci anni di reclusio-
ne, dovuta alle dichiarazioni di
sedicenti pentiti, inattendibili e
palesemente disturbati sul piano
psichico, si dimise dall’Europar-
lamento per farsi processare senza
godere di alcun beneficio. Infatti,
come dichiarò mentre attendeva
il giudizio di appello, considerava
l’immunità un privilegio della ca-
sta partitocratica.
Nella fiction, e questo è appar-
so come un limite, non viene ade-
guatamente rappresentata la di-
visione che si produsse all’epoca
nella pubblica opinione sul caso
Tortora, tra innocentisti e colpe-
volisti. A Napoli, difeso in appello
dal bravissimo avvocato Raffaele
Della Valle e dall’avvocato Alber-
to Dall’Ora, venne assolto dall’ac-
cusa infamante di associazione a
delinquere e spaccio di droga. Ri-
tornò nel 1987 a condurre il suo
programma televisivo, mentre un
anno dopo, colpito dal cancro,
presumibilmente causato dallo
stress e dalla sofferenza che do-
vette subire, morì all’età di 59 an-
ni.
Questa vicenda umana e giu-
diziaria di Enzo Tortora, ricostrui-
ta con grande bravura dagli au-
tori e dal regista della fiction, a
distanza di trent’ anni ripropone
il problema della riforma della
giustizia, la necessità che sia pre-
vista la responsabilità civile per i
magistrati che sbagliano nell’eser-
cizio della giurisdizione, la que-
stione legata al degrado inaccet-
tabile in cui sono sprofondati gli
istituti di pena, sovraffollati e do-
ve i detenuti sono costretti a vi-
vere in condizioni disumane.
In trent’anni, nel nostro paese,
non solo non si è riusciti ad ap-
provare una seria ed efficace ri-
forma della giustizia, malgrado le
tante battaglie promosse dai ra-
dicali, ma il degrado e i casi di
malagiustizia sono aumentati a
dismisura. Questo fatto ha pro-
vocato i richiami all’Italia da par-
te della Alta Corte di Giustizia di
Strasburgo sulla questione diri-
mente e fondamentale dei diritti
e delle garanzie dei cittadini, in-
dagati ed in attesa di giustizia, vi-
sto che il 40% della popolazione
carceraria attende di essere giudi-
cata.
Resta una vicenda tragica,
quella vissuta da Enzo Tortora,
su cui riflettere con distacco e se-
rietà, poiché a distanza di trenta
anni aiuta a capire per quali ra-
gioni non è stato possibile miglio-
rare l’amministrazione della giu-
stizia nel nostro paese.
segue dalla prima
Tra lista civica
e lista cinica
(...)
ma che, proprio con questi comporta-
menti, confermano di essere i campioni pro-
prio di quel vecchio modo cinico di fare
politica che l’opinione pubblica vorrebbe
eliminare.
L’ipotesi di una lista civica unica formata
da Montezemolo, Casini e Fini, quindi, è
del tutto improponibile. Così come appare
irrealistico pensare che le due liste possano
collaborare in qualche modo ritagliandosi
ognuna un proprio spazio su cui operare.
Quella di Casini e Fini sul versante della
politica tradizionale per conservare l’elet-
torato di Udc e Fli. Quella di Montezemolo
sul versante dell’astensione per recuperare
le masse crescenti di delusi di un centro de-
stra devastato dalle faide interne e dagli
scandali delle mezze calze. Le due liste, in-
fatti, sono naturalmente antagoniste, con-
correnti, conflittuali. Chi va con Italia Fu-
tura lo fa perché detesta le vecchia politica
di Casini e Fini. E chi rimane con i rappre-
sentanti del passato lo fa in odio al cosid-
detto nuovismo.
ARTURO DIACONALE
La cura Monti
non basta
(...)
E il pareggio di bilancio – in termini
strutturali, non nominali, cioè al netto degli
effetti del ciclo, anche se la depurazione, a
rigore, rileva la Corte, «dovrebbe applicarsi
solo in presenza di perturbazioni di natura
esogena e casuale» – conseguito con queste
modalità appare «precario». «Soprattutto
se incentrata sull’aumento del prelievo fi-
scale, si rivela, alla prova dei fatti, una te-
rapia molto costosa e, in parte, inefficace».
La spirale rigore/recessione in cui rischiamo
di cadere è ben rappresentata dal calo delle
entrate, nel 2013 inferiori di 21 miliardi ri-
spetto a quelle previste nel Def di aprile: -
6,5
miliardi per il rinvio degli aumenti Iva,
ma ben 7,4 miliardi in meno di imposte di-
rette e 2,3 di contributi, da imputare ad
una caduta del Pil «molto superiore al pre-
visto». Per il 2013 risultano «molto meno
favorevoli i risultati sia in termini di avanzo
primario (inferiore di oltre 16 miliardi) che
di indebitamento netto (superiore di quasi
17
miliardi)». Minori entrate previste, ri-
spetto a quelle attese a seguito degli inter-
venti correttivi dell’ultimo anno, per circa
33
miliardi nel 2012, per oltre 41 nel 2013
e 44 nel 2014, e spese maggiori (al netto
degli interessi) di 3, 5 e 2 miliardi.
Insomma, il rigore da solo non basta, se
manca una crescita su cui appoggiare la so-
stenibilità di lungo periodo della finanza
pubblica. Peccato che gli attuali livelli di
spesa (pur al netto delle spese per interessi
e investimenti fissi) e di prelievo, afferma
con chiarezza la Corte, rappresentano un
«
drenaggio di risorse incompatibile con
una efficace politica di rilancio dell’econo-
mia». E a fronte degli effetti recessivi delle
manovre, i risultati attribuiti alle cosiddette
riforme strutturali appaiono largamente in-
sufficienti per colmare il vuoto di domanda
apertosi a partire dal 2007. Qualsiasi stra-
tegia per la crescita richiede «sicuramente
che si apra una prospettiva di riduzione
della pressione fiscale». Ovviamente senza
compromettere la tenuta dei conti. Ma l’in-
tervento che la Corte dei Conti suggerisce
sulla spesa pubblica per liberare risorse da
destinare al taglio delle tasse va oltre la me-
ra manutenzione. Occorre ripensare «radi-
calmente il perimetro» dell’intervento pub-
blico, «individuare le aree di spesa che è
opportuno dismettere, superando logiche
meramente difensive».
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MERCOLEDÌ 3 OTTOBRE 2012
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