«
sottolinea una completa rottura
con la dottrina liberale dei diritti
di proprietà, che Locke aveva tra-
smesso alla classe media inglese, e
la sostituzione con una concezione
sociologica più ampia».
Che sciocchezza. Le parole “vita
e proprietà”, “libertà, vita e pro-
prietà” e “libertà e proprietà” sono
presenti in tutta la produzione Jef-
fersoniana. Questi termini sono
usati in un contesto perfettamente
coerente con l’intera tradizione li-
berale classica.
Qualche esempio basterà a pro-
vare questo punto.
-
Nel 1775, scrivendo uno dei
suoi primi documenti ufficiali, Jef-
ferson si schierò a favore del diritto
dei coloni di “proteggere da qual-
siasi minaccia le nostre vite e pro-
prietà”. Mezzo secolo dopo, nel
1825,
troviamo, nell’ultimo docu-
mento scritto per l’Assemblea della
Virginia, l’idea che l’uomo “sia ca-
pace di vivere in società, gover-
nandosi con leggi autoimposte, as-
sicurando ai suoi membri il
godimento della vita, della libertà,
della proprietà e della pace”;
-
in mezzo, abbiamo tutta una
serie di rimandi ai diritti naturali
della tradizione liberale classica che
non dovrebbero dare adito a dubbi,
in storici onesti, sulle inclinazioni
Jeffersoniane. Nel 1809 dichiarò la
sua soddisfazione circa il successo
(
relativo) dell’esperimento di auto-
governo Americano, aggiungendo:
«
in nessun luogo del mondo… la
vita, la libertà e la proprietà [sono]
così saldamente tutelate»;
-
la sua corrispondenza privata
è piena di simili richiami. Nel 1823,
parlando delle diverse costituzioni
statali, asserì che, sebbene molto
diverse tra loro, «vi sono principi
sui cui tutti concordano e che tutti
considerano essenziali alla prote-
zione della vita, proprietà e sicu-
rezza del cittadino»;
-
l’espressione “ricerca della fe-
licità” sembra essere così generica
da includere il diritto di acquisire
e disporre della proprietà, a discre-
zione dell’individuo. Diversi docu-
menti dell’epoca mettono insieme
proprietà e felicità in perfetto stile
Lockeano. La Dichiarazione dei Di-
ritti della Virginia, del giugno 1776,
scritta da George Mason (1725 –
1792)
e probabilmente letta da Jef-
ferson prima della stesura della Di-
chiarazione, viene subito in men-
te;
-
bisognerebbe anche conside-
rare la Costituzione della Pennsyl-
vania, per cui “tutti gli uomini sono
nati ugualmente liberi e indipen-
denti, hanno alcuni diritti naturali
inalienabili, fra i quali vi sono il
godimento e la difesa della vita e
della libertà, l’acquisizione, il pos-
sesso e la protezione della proprietà
e la ricerca e il raggiungimento del-
la felicità e della sicurezza”.
-
similmente, la prima Costitu-
zione del New Hampshire stabilì
che «l’acquisizione, il possesso e la
protezione della proprietà – in po-
che parole… la ricerca e il raggiun-
gimento della felicità» costituivano,
tra gli altri, diritti naturali degli uo-
mini.
Nonostante i litri d’inchiostro
versati sulla questione, non sembra
possibile costruire un’opposizione
tra la proprietà e la felicità nella
retorica della rivoluzione America-
na. Vita, Libertà, Proprietà, Sicu-
rezza e Felicità sono termini ricor-
renti nelle orazioni Americani sui
diritti naturali. Cercando un’espres-
sione sintetica ma rappresentativa,
è ragionevole credere che Jefferson
preferisse “felicità” a “proprietà”,
principalmente per ragioni di stile
(
era meno “legalistico” e trasmet-
teva la stessa idea).
States’ rights
É sorprendente che studiosi di
Jefferson abbiano prestato così poca
attenzione alla dottrina degli States’
Rights (
ndt
.:
si tratta di una corren-
te di pensiero che valorizza i diritti
dei singoli Stati, garantiti dal Deci-
mo Emendamento, rispetto ai poteri
del governo federale) nel suo pen-
siero. Se leggiamo le Kentucky Re-
solutions del 1798, Jefferson sembra
essere il padre degli Stati Confede-
rati d’America piuttosto che degli
Stati Uniti. Qui, Jefferson cerca di
fornire un’interpretazione costitu-
zionale che, almeno in principio,
avrebbe prevenuto il “consolida-
mento” dell’Unione. Egli voleva
mantenere un sistema federale piut-
tosto blando, molto simile a quello
disegnato dagli Articoli della Con-
federazione.
Jefferson sfruttò la prima oppor-
tunità in cui i federalisti ignorarono
apertamente la Costituzione per ri-
solvere problemi concernenti le re-
lazioni tra il governo federale e gli
Stati; la sua interpretazione mise ul-
teriori limiti al potere federale, con
la motivazione per cui gli Usa co-
stituivano una repubblica basata sia
sui diritti degli stati sia su quelli in-
dividuali.
L’occasione si presentò con l’ap-
provazione di due atti che poneva-
no una seria minaccia alle libertà
americane. Gli
Alien and Sedition
Acts
furono approvati nel 1798
(
sotto la vigenza di queste leggi, si
poteva finire in prigione per aver
criticato il presidente). Le Virginia
e Kentucky Resolutions, stese, ri-
spettivamente, da Madison e Jeffer-
son, furono la risposta a queste leg-
gi.
Per la prima volta nella storia
Americana, Jefferson disegnò la
dottrina politica e giuridica della
scuola degli States’ rights” che di-
ventò il modo standard di concepire
le relazioni tra gli Stati e la Nazione
negli Stati meridionali, per tutto il
XIX secolo e fino alla fine della
guerra di Secessione.
Ripresa e perfezionata da John
C. Calhoun, questa dottrina divenne
il cuore della controversia fra le due
parti del paese. Jefferson riteneva
gli Stati avessero creato un governo
federale come semplice agente, a es-
si subordinato, per funzioni limitate
e ben definite, per cui lo stesso go-
verno federale non aveva il diritto
di espandere la sua autorità.
Ogni singolo stato, in quanto
coinvolto dalle controversie sulla
Costituzione, aveva il diritto di de-
terminare quando l’accordo veniva
rotto e quali misure prendere per
restaurare l’ordine violato e risarcire
il danno. Quindi, c’era il diritto
(
esplicitamente chiamato da Jeffer-
son “naturale”, quindi sacro) di
ogni Stato di dichiarare l’illegitti-
mità di un atto del Congresso con-
trario al compact costituzionale.
La posizione di Jefferson sulla
natura dell’Unione – un contratto
volontario fra liberi e indipendenti
Stati al fine di garantire la comune
cura di poche e definite cose – con-
tiene una grande dose di buonsenso.
In poche parole, l’idea dietro le Re-
solutions era la seguente: gli Stati
sono gli ultimi giudici della costi-
tuzionalità della legislazione fede-
rale. Questo richiede una struttura
rigorosamente volontaria.
Ma la Corte Suprema, un ramo
del governo federale, al tempo stava
già diventando ciò che oggi è pie-
namente, vale a dire l’arbitro dei
conflitti tra gli Stati e il governo fe-
derale stesso. In questo caso, la
struttura costituzionale è minaccia-
ta, poiché il governo di Washington,
non la Costituzione, diviene giudice
della sua stessa espansione. In ge-
nerale, se gli Stati hanno il dovere
di obbedire a qualsiasi legge fede-
rale, senza considerare se l’atto sia
stato, o meno, emanato in confor-
mità alla Costituzione, solo un ri-
spetto puramente verbale è dovuto
al sistema di garanzie conosciuto
come “federalismo”.
Nonostante la ratifica della Co-
stituzione federale, Jefferson credeva
che gli Stati fossero rimasti, nei loro
rapporti, come gli individui nello
stato di natura”. A caratterizzare
la vera natura dell’unione Ameri-
cana, per Jefferson, era il modello
dei diritti naturali Lockeani dagli
individui agli Stati. Mai si richiamò
alla teoria della sovranità (un ter-
mine che non appare nell’originale
stesura delle Resolutions) per affer-
mare la libertà e l’indipendenza de-
gli Stati: la loro libertà e indipen-
denza giace nella natura
dell’obbligazione che li lega e non
nelle proprietà metafisiche che ri-
siedono nell’essere “comunità poli-
tiche originarie”.
Nonostante la Costituzione, gli
Stati mantengono tutti i loro diritti
naturali, ciascuno rispetto all’altro
proprio come gli individui nello
stato di natura”. Il ricorso di Jef-
ferson alla nullification (ndt.: teoria
legale per cui ciascuno Stato ha il
diritto di annullare, o invalidare, un
atto federale ritenuto incostituzio-
nale) fu un’applicazione particolare
della teoria dei diritti naturali: un
diritto naturale dello Stato”, il di-
ritto di
nullification
,
era compreso
dall’accordo federale, non costituiva
un rimedio extra costituzionale. Se-
condo Jefferson, tale diritto deriva-
va completamente dalla natura
dell’unione Americana, come stori-
camente costruita.
Egli capì meglio di chiunque al-
tro, nella sua generazione, che il
Congresso rappresentava il vero
erede del re e che la concentrazione
di poteri nelle mani del centro fe-
derale avrebbe portato a un “go-
verno discrezionale”. A questo male
supremo egli preferiva la secessione,
come scrisse più e più volte. Quindi,
sì, lo scopo di Jefferson era la con-
servazione dei diritti naturali degli
uomini, ma credeva che la via mi-
gliore per raggiungerla fosse una
stringente divisione territoriale del
potere.
Di certo ci sono parecchie incon-
gruenze negli scritti di Jefferson e il
suo comportamento pubblico spes-
so contraddiceva la sua filosofia po-
litica. Detto ciò, rimane vero che
Jefferson era un Lockeano, ferma-
mente convinto della bontà del di-
ritto naturale di proprietà e dei di-
ritti degli stati come entità politiche
indipendenti nel determinare il loro
destino. Il fatto che tanti studiosi
siano restii ad accettare queste ve-
rità riflette non la presenza di prove
contrarie nei suoi scritti, ma i pre-
giudizi e le pie illusioni della classe
accademica.
Traduzione di Luigi Pirri dal sito
del Ludwig von Mises Italia
Articolo originale su Mises.org
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CULTURA
II
L’OPINIONE delle Libertà
DOMENICA 27 GENNAIO 2013
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