di
LUIGI MARCO BASSANI
a maggior parte delle persone
crede di sapere qualcosa sul
pensiero politico di Thomas Jeffer-
son. Se oggetto di studio fossero gli
scritti di Jefferson, potrebbe essere
vero. Se, comunque, le persone leg-
gessero solo le rappresentazioni
usuali di Jefferson disponibili agli
studenti, probabilmente essi cadreb-
bero vittima di pericolose incom-
prensioni. Una descrizione tipica è
quella contenuta in
The Radical Po-
litics of Thomas Jefferson
di Ri-
chard Matthew. Questo libro pre-
senta un Jefferson non Lockeano,
ma proto-socialista, pronto ad
espropriare il ricco per dare al po-
vero, dato che i diritti di proprietà
sono puramente convenzionali e co-
stituiscono un grazioso dono della
società. La visione di Matthew è so-
stenuta nel materiale disponibile
nelle librerie universitarie. Anche
una visita al memoriale di Jefferson
a Washington D.C. porterebbe a
credere che la sua principale preoc-
cupazione fosse la promozione del-
l’istruzione pubblica.
Il problema è che la vasta pro-
duzione letteraria di Jefferson non
supporta questa – ora convenzio-
nale – visione. Al contrario, gli scrit-
ti ci presentano un Jefferson:
1.
Teorico dei diritti naturali di
stampo Lockeano. Nei suoi saggi
politici, in qualche modo, radicaliz-
zava la dottrina di Locke, senza de-
viare mai da essa;
2.
sostenitore della proprietà pri-
vata come diritto naturale e del go-
L
verno limitato, la cui unica funzione
è quella di proteggere il godimento
individuale dei diritti naturali;
3.
le Kentucky Resolutions fu-
rono fondamentali per il pensiero
Jeffersoniano; la dottrina degli sta-
tes’ rights, da lui sostenuta, fu anche
più importante, nella tarda produ-
zione, del suo impegno costante per
i diritti naturali.
Jefferson come Lockeano
Non è difficile dimostrare l’ade-
sione di Jefferson alla dottrina Loc-
keana. Leggiamo le prime frasi della
Dichiarazione d’Indipendenza, re-
datte da Jefferson, probabilmente
le parole più famose mai scritte in
un documento politico:
Noi riteniamo queste verità sono
per sé stesse evidenti: che tutti gli
uomini sono creati uguali ed indi-
pendenti dal Creatore e dotati di
certi inalienabili diritti, fra i quali
la Vita, la Libertà, e la ricerca della
Felicità; che per garantire questi di-
ritti sono istituiti tra gli uomini go-
verni che derivano i loro giusti po-
teri dal consenso dei governati; che
ogni qualvolta una qualsiasi forma
di governo tende a negare questi fi-
ni, le persone hanno diritto di mu-
tarla o abolirla e di istituire un nuo-
vo governo fondato su tali principi
e di organizzarne i poteri nella for-
ma che sembri alla popolazione me-
glio adatta a procurare la sua Sicu-
rezza e la sua Felicità”.
Ora, ciò sembra abbastanza
Lockeano, no? Solo uno studente
che non ha fatto i compiti a casa o
uno studioso grandemente erudito
potrebbero fallire nel riconoscere il
marchio di John Locke in queste
parole.
Ma di certo la visione di Jeffer-
son quale Lockeano non può ba-
sarsi su di un singolo documento.
Jefferson cita Locke solo una doz-
zina di volte nei suoi scritti. Secondo
Jefferson, Locke, Bacon e Newton
«
furono i più grandi uomini mai
vissuti, senza alcun dubbio». In una
lettera del 1790, Jefferson sentenziò:
«
il piccolo libro di Locke sul Go-
verno è praticamente perfetto».
Secondo Jefferson, fu principal-
mente Locke a influenzare grande-
mente la «armonizzazione delle opi-
nioni»
della
Rivoluzione
Americana. Thomas credeva che la
Dichiarazione non fosse un docu-
mento originale ma, semplicemente,
il quadro delle sensazioni America-
ne del 1776.
Infatti, Richard Henry Lee ac-
cusò Jefferson di plagio. Secondo
l’uomo che firmò la prima mozione
d’indipendenza nel 1776, la Dichia-
razione fu copiata dal Secondo
Trattato sul Governo di John Loc-
ke. Il virginiano non aveva motivo
di contestare tale affermazione; Jef-
ferson parlava così della vera forza
del documento: «L’oggetto della Di-
chiarazione di Indipendenza... non
fu... quello di trovare nuovi princìpi
o argomenti, mai considerati prima,
non di affermare semplicemente co-
se mai dette prima; ma di sottopor-
re all’umanità il senso comune del
soggetto… né di mirare all’origina-
lità del principio o dell’opinione, né
di copiare da qualche scritto prece-
dente, ma voleva essere un’espres-
sione dello spirito Americano... La
sua autorità poggia, quindi, sull’ar-
monizzazione delle opinioni del-
l’epoca, sia espresse in conversazio-
ni, lettere, saggi sia nei testi
elementari di diritto pubblico, come
quelli di Aristotele, Cicerone, Locke,
Sidney, etc».
Alla fine della sua vita, Jefferson
fu di nuovo pronto a mettere l’au-
tore dei Due Trattati nell’Olimpo
Americano della libertà e della teo-
ria politica: «Per i principi generali
di libertà e per i diritti degli uomini,
in natura e in società, le dottrine di
Locke... e Sidney... possono essere
considerate come quelle general-
mente approvate dai nostri concit-
tadini».
II
CULTURA
II
Il pensieropoliticodiThomas Jefferson.Quellovero
K
Thomas JEFFERSON
Diritti di proprietà naturali
Alcuni autori sostengono, no-
nostante Jefferson fosse un Lockea-
no, il disconoscimento di Jefferson
della proprietà privata quale diritto
naturale. Secondo questi, egli cre-
deva che la proprietà fosse un di-
ritto convenzionale, portato via o
garantito dalla maggioranza delle
persone. Ora, che tipo di Lockeano
crederebbe ciò è difficile da dire,
ma la storia viene raccontata così.
Vernon Parrington, che scrisse
il classico trattato sul pensiero
Americano per la generazione tra
le due Guerre Mondiali, riteneva
che Jefferson considerasse prioritari
i diritti umani rispetto alla proprie-
tà. La Dichiarazione di Indipenden-
za, per Parrington, fu una «affer-
mazione classica di democrazia
umanitaria Francese». Proponendo
questa visione, Parrington concor-
dava con Abraham Lincoln, che nel
1859
invitò i Jeffersoniani ad avere
«
una devozione maggiore per i di-
ritti personali degli uomini, met-
tendo i diritti di proprietà in secon-
do piano, ad un livello inferiore».
Effettivamente, l’idea di un’osti-
lità Jeffersoniana ai diritti di pro-
prietà – o, più precisamente, alla
fondazione naturale dei diritti di
proprietà – è abbastanza comune
nella letteratura. Ma l’affermazione
è basata su prove scarne o del tutto
inesistenti.
Perché, allora, Jefferson sostituì
con l’espressione «la ricerca della
felicità», nella Dichiarazione, la
«
proprietà» di Locke? Parrington
sostiene che questa sostituzione
L’OPINIONE delle Libertà
DOMENICA 27 GENNAIO 2013
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