Virus: poche certezze, troppe congetture

martedì 18 maggio 2021


La razionalità scientifica non si fonda sul senso comune, come invece fa l’opinione pubblica, bensì sul metodo e dunque sulla sperimentazione, cioè su quello che Arthur Eddington chiamava il tribunale supremo della scienza. Per studiare l’attuale pandemia, però, la scienza non può fare altro che costruire ipotesi sulla scorta di conoscenze già acquisite ma anche di teorie non ancora consolidate, su modelli accreditati in una scuola di pensiero ma non in altre e così via. Circa l’aspetto più rilevante per tutti noi, ossia il contagio, vi sono tuttavia presupposti conoscitivi e di metodo sui quali nessuno ha dubbi, perché ampiamente sperimentati ed è con questi che dovremmo fare i conti prima di assumere posizioni categoriche. Posizioni che, quando riescono ad agglomerarsi e divenire posizioni e pretese di massa, inducono persino i Governi, soprattutto se già deboli per loro natura, ad assumere decisioni altamente rischiose. Per esempio, secondo me, i pur garbati rilievi che Claudio Romiti ha rivolto al mio recente articolo Rischio ragionato o ragion di Stato?, rispecchiano un modo di pensare, certamente diffuso, che non tiene conto di questioni metodologiche di fondo e finisce per esaurirsi in una mera e più o meno accorata perorazione politica. Ecco alcune brevi annotazioni.

La fretta di uscire dall’incubo

È quasi inutile sottolineare come le innumerevoli pressioni sui Governi in merito alla riapertura di questa o quella o di tutte le attività, siano dovute alla generale ansia di uscire dall’incubo della pandemia ma non certo alla conclamazione del suo esaurimento. Siamo insomma di fronte ad un comprensibile, ma non giustificabile, atteggiamento di rimozione psicologica, da un lato francamente infantile e dall’altro molto pericoloso. Per quanto sia controintuitivo, la diminuzione del tasso dei contagi dovrebbe indurci, semmai, ad insistere ancora di più sulle due iniziative adottate, ossia la limitazione delle attività che prevedono relazioni fisiche interpersonali e la vaccinazione perché, in questo modo, sconfiggeremmo il virus in modo sicuro e in una minore quantità di tempo. Invece, continuare la vaccinazione ma diminuire le limitazioni significa ridurre l’efficacia d’insieme della strategia contro il virus, dandogli oggettivamente una mano. Infatti, così come esiste una percentuale di vaccinati, raggiungendo la quale si ottiene una ragionevole probabilità di bloccare la circolazione virale, altrettanto è facile intuire che sussiste una percentuale minima di chiusure, che si può stabilire solo per tentativi ed errori, sotto la quale il contagio procede indisturbato. Se il tasso di vaccinati aumenta ma è ancora al di sotto della percentuale necessaria, allora è decisamente insensato riaprire. Le varie ondate che si sono già susseguite avrebbero dovuto insegnarci qualcosa, dopotutto. Lascerei da parte la questione della libertà, degna di battaglie su temi più rilevanti, e la questione delle conseguenze economiche perché non so se sia più dannosa una chiusura davvero totale per un limitato periodo oppure l’inconcludenza attuale fatta di continui cambiamenti, di speranze e disillusioni, proteste crescenti e impossibilità di programmare alcunché.

Verità stereotipate

Un dato conoscitivo sicuro è che il Sars-Cov-2 si diffonde per via aerea. Dunque, non c’è altro da fare che rendere meno frequenti le relazioni fisiche interpersonali. Anche qui, però, la difficoltà di ottenere dalla popolazione un rigoroso rispetto delle regole, si è coniugata con l’imprecisione delle distanze ritenute sicure secondo un criterio di verità politico più che scientifico: prima 1,82, poi un 1,50 e infine un metro. Anche le mascherine hanno sollevato critiche e scetticismo come se qualcuno avesse mai sostenuto che esse rappresentano una soluzione perfetta. Sta però di fatto che, se in una sala vi fossero 11 persone una delle quali positiva, assieme a cinque persone senza mascherina e sedute vicine una all’altra, nonché cinque persone sedute a buona distanza e provviste di mascherina, la probabilità che queste ultime venissero contagiate sarebbe decisamente più bassa di quella che vedrebbe contagiate le altre cinque. C’è infine la verità, assimilata come indiscutibile, del trascurabile contagio all’aperto. Di per sé questa ipotesi è verosimile quando il flusso dei virus, normalmente stocastico, prende, a causa del vento, una direzione verso, poniamo, Est, mentre la gente è situata ad Ovest. Purtroppo, però, i virus non sono visibili e in un parco in cui vi siano numerose persone anche ben distanziate ma collocate sull’area, come sempre avviene, in modo casuale, è praticamente sicuro che, qualsiasi direzione prenda il virus a causa del vento, anche il più leggero, qualcuno ne verrà investito e contagiato.

Il contesto e le conseguenze multiple

Sul piano scientifico, quando si analizza un fenomeno, uno dei maggiori rischi di fallacia deriva dalla sua considerazione a-contestuale, come se esso si desse nel vuoto. Ciò è parzialmente inevitabile a causa dei limiti della ragione umana, ma riuscire ad allargare il campo di osservazione dei fenomeni studiati porta sempre a risultati più robusti e meno deludenti. Chi non ricorda la penosa difesa dello sci perché sport che si effettua distanziati e nell’aria sana delle montagne senza tenere conto delle numerose e inevitabili relazioni interpersonali di contorno? Lo stesso è accaduto per stadi e teatri, scuola e musei. Fra l’altro, è stato calcolato che, data la sua massa molto piccola, un virus può impiegare 15 minuti per posarsi sul pavimento dopo essere uscito dalla bocca di una persona infetta. Non è difficile immaginare quanti eventi lo possano coinvolgere e deviare in questo lasso di tempo impedendogli di cadere a terra e imponendogli, quindi, direzioni e approdi i più imprevedibili e diversi, che si sia all’aperto oppure al chiuso.

Correlazioni da approfondire

Se si ha ben chiaro in mente che il contagio avviene attraverso l’incontro personale ravvicinato non si può non dedurne che i Paesi con maggiore densità demografica (abitanti per chilometro quadrato) a parità di altri fattori sono più esposti a questo pericolo. Secondo miei calcoli, la correlazione fra densità demografica e tasso di positivi su mille abitanti, in 26 Paesi europei, inclusa la Russia, è 0,389 (ricordo che essa sarebbe perfetta se fosse 1). D’altra pare, eliminando due sicuri outlier (casi palesemente non appartenenti allo stesso universo statistico, cioè la Svezia e Repubblica Ceca che presentano tassi di diffusione abnormi dovuti a cause in parte note) la correlazione sale a 0,660. Il calcolo è avvenuto senza ovviamente poter garantire parità di altre condizioni (comportamenti collettivi, dispositivi di sicurezza e vaccinazioni eseguite) ma si può comunque ritenere che la densità sia un fattore centrale. La cosa è tendenzialmente confermata anche nel caso delle regioni italiane, nelle quali fra le regioni con una alta densità, maggiore di 200, il tasso di contagiati è 7,3 mentre nelle regioni con densità più bassa, inferiore a 170, esso scende a 5,2.

L’insofferenza per le piccole probabilità

Spesso la probabilità di un evento viene assunta come piccola o come grande a seconda della convenienza psicologica, o di altro genere, di chi vi fa riferimento. Per esempio, se si è stabilito che, da sperimentazioni eseguite, una mascherina Ffp2 riesce ad impedire l’accesso al 92 per cento dei virus presentando dunque una rischiosità dell’8 per cento, mentre, entrando in un bar, la probabilità di infettarsi è dell’8 per cento, la prima verrà citata come ben l’8 per cento da chi ritiene inutili le mascherine e la seconda come appena l’8 per cento da chi vuol sostenere la sicurezza dei bar. Lo stesso vale per i vaccini la cui efficacia del 90 per cento sarà ben o appena a seconda, in definitiva, dell’ottimismo o del pessimismo di chi parla. Da parte loro, le probabilità, per così dire, non hanno fretta e anche il contenuto di quelle più piccole presto o tardi farà valere i suoi diritti. Lo si vedrà, nonostante la lezione sarda, anche nel caso delle isole Covid free nelle quali su 100 turisti che vi arriveranno, 2-3 porteranno con sé il virus a causa della non totale affidabilità dei test. Fra l’altro, una formazione metodologica di base, che andrebbe introdotta sin dalle elementari, ci metterebbe al riparo anche dagli inganni, volontari o involontari, di chi riporta i risultati delle ricerche più diverse omettendo di riportare la probabilità che una differenza o una tendenza siano attribuibili alla pura casualità, come avviene spessissimo, e non a qualcosa di sistematico. Mentre tale probabilità costituisce un requisito indispensabile e obbligatorio per l’accettazione di un articolo da parte di qualsiasi rivista scientifica, i mezzi di comunicazione di massa non solo non la citano ma, temo, non ne conoscono nemmeno l’esistenza.

Conclusione

Siamo inondati da enormi quantità di informazione ma solo le tendenze centrali, ossia le più accreditate e diffuse in ambito scientifico, sono utili per orientare, sia pure provvisoriamente, il nostro giudizio. Quelle minoritarie, dalle quali non raramente provengono le scoperte più rivoluzionarie e inaspettate, sono certamente da incoraggiare ma non possono costituire la base per la politica governativa. Nelle argomentazioni sopra svolte, come si sarà osservato, non si è fatto alcun riferimento a studi e pubblicazioni di alcun tipo poiché, questo, è compito degli scienziati nel loro procedere quotidiano verso l’accertamento dei fatti e la verifica delle ipotesi. Ciò che si è voluto sottolineare è solo la necessità di evitare di credere con troppa sicurezza alle proprie verità personali, magari sorrette da letture scientifiche indirette, destinate quasi sempre ad essere rapidamente superate. Il resto è solo, si fa per dire, il problema centrale della nostra epoca, ossia quello di imparare a convivere con l’incertezza. Senza farne motivo di angoscia ma anche senza la pretesa illusoria di dominarla per ricondurla ad un insieme di verità definitive. L’incertezza fondamentale che abbiamo davanti in questi giorni si concretizza in una gara col tempo: se la vaccinazione progredirà speditamente, i danni che proverranno dalle riaperture potranno essere riassorbiti rapidamente. Ma solo grazie ad un nuovo ricorso a chiusure e limitazioni che se avessimo attuato in termini anche più duri ma concentrati nel tempo e sostenuti da un altrettanto concentrato modello di spesa, ci avrebbero già portato fuori dall’incubo come è accaduto in altri Paesi.


di Massimo Negrotti