venerdì 21 febbraio 2025
In tema di giustizia e dintorni, questo taccuino non può non dare conto di una notizia della quale quasi nessun quotidiano mainstream ha dato contezza, e per la quale, invece vogliamo offrire uno spunto di riflessione a chi non si accontenta della narrazione di massa che sempre più spesso si può trovare sui maggiori eventi, dimenticando che a volte, nei dettagli o nelle piccole cose c'è la verità.
Qualche giorno fa, a Torino, in occasione della presentazione di un libro dedicato ai magistrati uccisi da mafia o terrorismo, il neo presidente della Anm, ha affermato: “Quanto ci farebbero comodo in questo periodo due magistrati morti”. Lo ha riportato La Stampa, lo ha ripreso qualche testata, poche rispetto alla gravità delle parole, l’Unione delle camere penali è insorta.
Immaginando i possibili scongiuri fatti da chi fa questo mestiere e forse non intende fare l’agnello sacrificale (auguriamo a tutti i magistrati lunga vita e trapasso per cause naturali) come vorrebbe Cesare Parodi, la prima domanda che sorge spontanea è perché proprio due? Quale spirito cabalistico aleggia nella mente del nuovo capo del sindacato dei magistrati? Non basterebbe uno? E allora perché non tre, numero perfetto, per rafforzare l’effetto?
L’ipotesi paventata è scioccante e macabra, e peraltro dà la dimensione del distacco dalla realtà in cui evidentemente vive parte della magistratura che si è scelta questo nuovo capo del suo sindacato e quindi di chi la rappresenta. Secondo Parodi, due magistrati uccisi servirebbero a far recuperare consenso alle toghe.
Sono cose che non si pensano, non si devono pensare, nemmeno per scherzo, tanto meno si devono dire. Tanto più in pubblico. Ammesso che uno nella sua grettezza spirituale ed umana, sia aduso, nel silenzio delle proprie mura domestiche, avere simili forme di violenza di pensiero, sarebbe opportuno che se le tenesse per sé, non dovrebbe andare in giro a ricoprire cariche pubbliche, fondamentali per l’esercizio di uno dei poteri costituzionali.
Corre il dubbio, in ogni cittadino, di come possa interpretare la funzione del magistrato, il capo dell’Anm e dei suoi iscritti, se deve essere pronto all’estremo sacrificio, perché non sa lottare o negoziare in altro modo. Corre l’ulteriore dubbio se si renda conto, il dottor Parodi, che ogni cittadino che abbia avuto a che fare con la giustizia italiana (ogni tipo, non solo quella penale) la percepisce come una profonda ingiustizia, data la lentezza dello svolgimento delle cause di ogni tipo, ordine e grado, e la sensazione, a volte, ma sempre più spesso che per gli amici la legge si interpreti, mentre per i nemici si applichi.
Questo Paese si è lasciato alle spalle momenti bui in cui i nemici venivano uccisi, strappati alle loro famiglie ed ai loro affetti; erano magistrati, erano giuristi, erano consiglieri economici, erano manager, erano politici che non si sono piegati dinanzi a chi era contro sistema e aveva preso la scorciatoia della violenza per distruggerlo. Né hanno dimenticato quel tratto di storia più recente, scritto quasi interamente dalla magistratura, quando decise di far saltare in modo molto poco democratico il sistema politico italiano che, seppur corrotto e destinato a declinare inesorabilmente, fu distrutto con una serie di indagini e arresti eccellenti ed eclatanti e pagò il prezzo altissimo con il suicidio, anche in carcere di alcuni coinvolti nelle inchieste.
Quella magistratura che però fermò le sue indagini su quel miliardo portato a Botteghe Oscure, perché varcare quella soglia avrebbe significato ammettere che i migliori non esistevano e che forse c’erano solo alcuni che si sentivano più uguali degli altri.
Non dimenticano, i cittadini italiani, nemmeno il vaso di Pandora scoperchiato dal caso Palamara, né purtroppo, lo ripetiamo, dimenticano le storture e le ingiustizie che possono ricevere nelle aule di giustizia, soprattutto quando grazie alla gogna mediatica, vengono condannati sui giornali e scagionati in aula, gogna però spesso fomentata da conferenze stampa, fughe di notizie, fascicoli lasciati a vista, o peggio, quando si percepisce la mancanza di sforzo per cui le sentenze riportano meri esempi di copia e incolla di parti di memorie di una delle due parti senza nemmeno la pazienza di togliere gli eventuali errori ortografici.
No, i cittadini italiani non hanno bisogno di quel tipo di sacrificio umano evocato dal dottor Parodi, hanno bisogno di una giustizia efficiente e funzionante, apolitica, non ideologizzata, che dia risposte in tempi certi (un primo grado di giustizia civile che finisce dopo 6,7 otto anni dalla sua introduzione, diviene ingiustizia a prescindere dalla decisione).
No caro dottor Parodi, due magistrati morti non le servirebbero per fare quadrato attorno alla magistratura, perché al cittadino della vostra carriera non importa nulla, ha un altro obiettivo quando si rivolge alla magistratura, il vostro potere lo spaventa quasi.
Due magistrati morti, al cittadino, farebbero venire le lacrime pensando alle famiglie straziate per aver perso un loro caro.
Siamo meglio noi al di qua del banco, che voi al di là, se lei ed i suoi colleghi, dato che l’Anm non ha smentito quella orribile frase, pensa che si possa risolvere qualcosa con due morti ammazzati. E poi da chi? Chi dovrebbe farlo?
Il paese non è bambino, non pensa che con violenza si risolvano le cose, come tra guappi, e con quelle parole, è stato creato un vulnus, che ha allontanato e delegittimato la categoria, che ha caratterizzato l’incipit del mandato di presidente dell’Anm, e che sarà molto difficile superare.
Auspichiamo che la premier, che è persona perbene, chieda la ritrattazione delle affermazioni fatte, prima dell’incontro previsto per il prossimo 5 marzo. È un qualcosa che noi cittadini meritiamo, e che la magistratura, per dimostrare la sua imparzialità ci deve.
Se il buongiorno si vede dal mattino, è cominciato con una grossa nuvola dalla quale cominciano già a cadere le prime gocce come la condanna al sottosegretario. E non è un bel segnale da contrapporre alle tremende affermazioni dell’Anm.
Oggi potrebbe essere un giorno buio per la giustizia.
(*) Leggi il Taccuino liberale #1, #2, #3, #4, #5, #6, #7, #8, #9, #10, #11, #12, #13, #14, #15, #16, #17, #18, #19, #20, #21, #22, #23, #24, #25, #26, #27
di Elvira Cerritelli