#Albait. La nostra Europa sono Salis, Vannacci, Gori, Lucano e Chinnici

giovedì 27 giugno 2024


Economia e valori morali sono la misura della ricchezza umana. Stanno insieme, indissolubilmente. Su cosa voglia dire l’espressione “valori morali” occorre un’analisi approfondita, in parte fatta in altri articoli di questa rubrica. Torneremo ancora su questo argomento. Quel che preme oggi è capire se anche la politica e i voti rappresentino bene i valori economici e morali. Nel corso della quasi silenziosa campagna elettorale, il dibattito sul rapporto tra Europa e Italia come parte fondamentale dell’Unione europea è stato pressoché inesistente. Su cosa abbiamo votato?

La volontà di liberare Ilaria Salis. La giovane protestataria, figlia della fucina ideologica dei centri sociali e dei gruppi di contestazione, spesso in aperta e feroce contraddizione tra guerra e pace, libertà e sottomissione, doveva essere liberata da un regime di detenzione che ha suscitato scandalo. L’Ungheria è apparsa un sistema giudiziario poco garantista. Chi ha memoria, ricorderà che il trattamento di Ilaria Salis fu usato in Italia, con i ferri obbligatori per gli imputati nelle aule di giustizia, fino a pochi anni fa. Furono messi anche a Enzo Tortora, per esempio.

Altro acuto da campagna elettorale è stato l’ascolto delle teorie bislacche di Roberto Vannacci, che si è reso erede di Guglielmo Giannini. Egli fu leader dell’antipolitica nel dopoguerra. Fondò una rivista, L’Uomo qualunque. Per ragioni retoriche ed elettorali scrisse sul suo giornale che le vittime fasciste dopo la liberazione erano state 300mila. Lui stesso ridusse la cifra alla realtà, appena 4.500 e spiegò una massima d’oro: quando un giornale scrive sciocchezze, vende. Se dice la verità, nessuno lo compra. Il leader qualunquista ebbe una figlia, Yvonne. E attraverso lei, una nipote: Sabina Ciuffini, la prima valletta italiana, rigorosamente muta in video, tranne un paio di occasioni. Non sappiamo se sia un merito, la progenie. Tra i soggetti da “circo della politica”, c’è stato anche Domenico “Mimmo” Lucano, uomo mite e sindaco di Riace. Forse l’unico amministratore italiano ad aver applicato un modello accettabile di gestione sociale dell’immigrazione.

Meno urlata è stata la consacrazione di Giorgio Gori, ex manager Mediaset ed ex sindaco di Bergamo. In Sicilia, la disfida ha visto protagonisti tutti i big dell’Isola. Tra loro, la meno votata è apparsa la figlia di Rocco Chinnici, Caterina. La quasi onorevole europea qualche mese fa lasciò il centrosinistra per approdare al centrodestra. Ha ottenuto ben 90mila preferenze, fatte convogliare su di lei da vari aggregati, compreso il signore delle alchimie elettorali siciliane e assolto dall’accusa di associazione esterna con la mafia, Raffaele Lombardo.

Questa messe elettorale non ha fatto riferimento a proposte politiche, né a valori. Le preferenze sono state date e prese su base pavloviana, non politica. Una serie di parole d’ordine confuse e senza contenuto hanno fatto scattare la scelta elettorale. Niente di cui andar fieri. Per fare un’analisi oggettiva, guardiamo i numeri concreti dell’Istat: dicono che il nord nel suo insieme vale il 122 per cento del Prodotto interno lordo italiano; il Centro il 106 per cento; il sud e le isole, insieme, arrivano ad appena il 66 per cento della produzione italiana. Il Pil pro capite nel Sud è la metà di quello del nord.

Nei giorni scorsi è stata data la notizia che il sud traina il nord, perché ha raggiunto una crescita del 1,6 per cento, contro l’un per cento del resto d’Italia. In pratica, fatte le proporzioni, le performance sono state: Nord, contributo all’aumento del Pil italiano per l’1,2 per cento, Centro per l’1,06, e il Sud per lo 0,99. Forse, un timido segnale. Non un “traino”. Con la firma del prestigioso studio Ambrosetti, European house e Act Tank Sicilia, lo scorso febbraio, è arrivata la notizia che la Sicilia partecipa al Pil italiano con una quota del 22 per cento. Poiché il Pil italiano vale 2 miliardi di dollari, la Sicilia varrebbe 480 miliardi di dollari. Ma l’Istat invece indica per l’Isola un Pil di appena 90 miliardi e spicci, quasi un quinto di quanto declamato senza supporto dallo studio privato, o dai titoli di stampa usciti a seguito della presentazione del Tank. Sorprendente.

Se un serissimo istituto fa ballare così tanto i dati numerici, quale dibattito sui valori è possibile? Di certo, sulla linea della politica economica non ci sono proposte né acuti. L’elettorato è sempre meno capace di analizzare dati e immaginare un futuro. La scuola produce poco. Le gang giovanili spaventano e le guerre sono sostenute da Paesi decadenti che riescono ad avere agenti sotto copertura ovunque, anche nei consessi politici. Dopo il 1994 l’Italia è tornata a essere espressione geografica. Per chi non lo sapesse, la formula è di Klemens von Metternich, cancelliere dell’Impero austriaco fino al 1848. Da allora, sul piano economico e dei valori, non ci sono proposte.

La fotografia reale del Paese dice che la produzione maggiore è ancora localizzata nel nord ovest, nonostante la quasi sparizione della Fiat a Torino. Nel sud e isole, le regioni più ricche sono Basilicata e Sardegna. La Sicilia, seconda regione d’Italia, perde anche nel campionato meridionale e produce il 20 per cento in meno della Campania. Le elezioni europee hanno chiarito qualcosa riguardo a queste notizie? No. Sappiamo cosa fa e che struttura istituzionale abbia l’Europa? No. Palermo ieri sembra essere diventata la locomotiva italiana, a parole. Nella realtà è poverissima. Qualcuno può garantire di usare bene le risorse che arrivano da Bruxelles? Ancora una volta, no. Roma vigila sull’arretratezza del sud e sulla seconda regione italiana? Sempre no. Quel che non funziona siamo noi. Il problema siamo noi. Bruxelles è solo un’amministrazione senza sovranità. Se non funziona Bruxelles, è perché non funzioniamo noi e votiamo simboli, non rappresentanti. Se non li falsifichiamo, i valori economici e morali lo spiegano bene.


di Claudio Mec Melchiorre