II
POLITICA
II
Il Ppe? Non è la casa europea giusta per il Pdl
di
GIUSEPPE MELE
he sia di plastica o sia alla
frutta, non solo il Pdl è sem-
pre stato considerato dannoso,
inutile, o morente, ma la sua stessa
idea, come quella dei suoi partiti
fondatori, non è stata mai ammes-
sa al tavolo buono dei poteri forti
e buoni.
Malgrado ciò, anche sotto la
grandine della frantumazione e
dello sbriciolamento, resta forte
d’un 20%. Nel momento più bas-
so del novembre 2011 era sceso
anche più in basso. Sono le donne
e gli uomini del Pdl medesimo ad
affossarlo, spesso e volentieri. Poi
le dichiarazioni europee e mondiali
della Commissione, dell’Osce, del
Fmi, intervendo a favore dell’at-
tuale governo Monti, lo fanno tor-
nare a galla.
Il Pdl è caricaturale nei suoi
modi e comportamenti, ma non è,
nell’attuazione di politiche antiso-
ciali, tanto cinico cecchino delle
speranze popolari quanto il gover-
no dei banchieri cattolici. Più che
per risorgere, il Pdl, o quel che sa-
rà, per formarsi deve cominciare
rivedendo la sua posizione nel par-
lamento europeo. Come ha fatto
il partito conservatore inglese in
questa legislatura, che guida un
gruppo da 54 eurodeputati, deve
uscire dal Partito popolare euro-
peo.
Con 73 partiti di 39 paesi, il
Ppe viene definito cristiano-demo-
cratico pur con un arco di forze
che va dalla socialdemocrazia alla
destra. Dal 1999, primo nell’euro-
parlamento con 265 deputati, è
maggioranza anche nell’eurogo-
verno. È un partito opaco, che sot-
to il sostegno all’Unione qualun-
que essa sia, difende burocrazia,
tasse, un mercato unico libero solo
per la finanza; un partito cristiano
che non difende le fondazioni cul-
turali cristiane.
Un partito guidato dal blocco
di quasi 80 deputati di area ger-
C
manica che difendono l’idea tede-
sca di stare in Europa, mantenen-
do una propria autonomia, senza
riconoscerla agli altri (42 tedeschi
di Cdu e Csu; 19 ungheresi, 6 au-
striaci, 6 slovacchi, 2 cechi, 3 slo-
veni, 3 lettoni). Diventano una no-
vantina, un terzo del partito, con
gli 11 scandinavi (1 danese, 4 fin-
landesi, 5 svedesi ed un estone) che
stanno positivamente a guardarli.
Alleato, in nome della stabilità, è
anche l’altro blocco, quello dei 29
francesi (Ump, centro e nuova si-
nistra), riferimento per i 28 del Po
polacco, 14 del Pdl romeno, per 6
bulgari, 4 lituani, 6 belga e 5 olan-
desi, fluttua tra filo conservatori-
smo germanista e ottime sorti pro-
gressive della sinistra. L’intesa dei
conservatori franco-tedeschi, che
ha prodotto il governo antinazio-
nale Monti, è stato finora un mar-
tello pneumatico per l’area meri-
dionale e meno ricca del
continente, quella dei Piigs che
conta, nel Ppe, un blocco di 80 de-
putati.
Gli italiani hanno una notevole
forza nel Ppe e sono più numerosi
dei tedeschi con 31 presenze (24
Pdl, 4 Udc e 3 Fli). L’elettorato ha
consegnato una grande opportu-
nità ai suoi eletti che l’hanno spre-
cata, andando uno contro l’altro.
Tocca agli italiani, realizzare un
dialogo con i 23 del Pp spagnolo,
i 10 greci e ciprioti, i 4 irlandesi i
10
socialdemocratici portoghesi
ed i 2 maltesi. Tocca al Pdl com-
pattare gli 80 moderati sudeuropei
che si sono dimenticati della pro-
venienza territoriale e dei comuni
problemi; hanno affrontato bila-
teralmente il confronto con i gran-
di istituti finanziari mondiali, po-
litici e non, non hanno sviluppato
o proposto politiche comuni su di-
ritti del lavoro, emigrazione e me-
diterraneo. Si sono inchinati in or-
dine sparso da un lato al paese più
forte del continente e dall’altro agli
interessi finanziari asioamericani.
Il programma dei conservatori
Uk va dalla sussidiarietà al libero
mercato in tutti suoi aspetti, dalla
minore tassazione a minori buro-
craticismi, per non parlare dell’im-
palcatura europea sempre più bar-
rocca. Coincide con quello del Pdl
più del governo Pppe.
Come partito italiano e del su-
deuropa il Pdl non può che con-
trastare il presidente della Com-
missione Barroso ed il grigiore del
Presidente Rompuy. Fintanto che
è stato nei propri cenci e che l’esta-
blishment finanziario non ha ri-
cattato il gruppo Mediaset, il Pdl
si è opposto ai Fiscal Compact ed
alla normalizzazione finanziaria,
portata avanti dai due presidenti.
Averle accettate, ha portato il par-
tito berlusconiano in un cul de sac.
In tre legislature, l’europarlamento
ha condannato spesso politica-
mente il partito di maggioranza
italiano senza che il Ppe alzasse
mai un dito per difenderlo. Ci so-
no tutti i motivi per fare opposi-
zione all’Europa elitaria antide-
mocratica e per uscire dal Ppe. Ci
sono i motivi anche per smetterla
con gli infingimenti ideali prete-
stuosi e bugiardi usati finora per
vigliacca comodità. Al meeting Cl
di Rimini o all’Atreju di Giorgia
Meloni, ci si imbatte nel santino e
nell’elogio di Alcide De Gasperi,
di cui Berlusconi un tempo riven-
dicò l’eredità politica. Il riferimen-
to era al De Gasperi della guerra
fredda, alla cacciata del Pci dal go-
verno. Mosse che fuono atti ob-
bligati, spesso demandati al libe-
rale Sforza che imboccò l’inevita-
bile atlantismo.
L’anticomunismo di massa del
’48
fu opera dei parrocchiani di
Luigi Gedda, sostenuto da Pio XII,
scomunicatore dei comunisti e fi-
lodestra, cattolica e non. De Ga-
speri, neutralista, non cultore de-
l’indipendenza nazionale formatosi
nel mondo germanico, sviluppò un
progetto difensivo europeo, tutto
appoggiato agli Usa, con altri uo-
mini di frontiera come il renano
Adenauer ed il lorenese Schuman.
Il mito della povertà di De Ga-
speri crolla quando Andreotti ri-
corda le ristrettezze materiali cui
andò incontro durante il ventennio
fascista, passato da bibliotecario
in Vaticano. Condizione non mal-
vagia, ma misera per l’ex dirigente
dei popolari, già giovanissimo uo-
mo di fiducia del vescovo imperia-
le e direttore del giornale cattolico
trentino. Il boom economico non
fu opera sua, come gli riconosce
Morando dato che già nel ’53 da
presidente Ceca, era fuori dalla
politica interna.
I Dc tedeschi con l’unificazione
tedesca di Kohl ed i conservatori
francesi con De Gaulle da decenni
non sono più allo stato di prostra-
zione in cui agirono gli europei an-
ticomunisti del dopoguerra. In Ita-
lia, questo status permane. Un
cattolico filocomunista, membro
di un governo di banchieri catto-
lici, mette il cappello su De Gaspe-
ri come fosse stato identico al suo
rivale Dossetti che avrebbe voluto
appoggiare nel dopoguerra l’Urss.
Nel Pdl l’ampia componente cat-
tolica non ha l’anima degasperia-
na, né quella dossettiana. Non è
neutrale, è produttiva e patriottica,
non è anticapitalista. La beatifica-
zione di Alcide non procede. Il Pdl
si convinca che De Gasperi non è
uno dei suoi padri fondatori e che
l’europeismo del Ppe non porterà
mai ad una macroregione europea
democratica.
Il partito popolare
europeo è un partito
opaco difende
burocrazia, tasse,
un mercato unico libero
solo per la finanza;
un partito cristiano che
non difende i cristiani
K
Josè BARROSO
Il programma
dei conservatori Uk
va dalla sussidiarietà
al libero mercato,
dalla minore tassazione
a minori burocraticismi
ed è più compatibile
con quello degli azzurri
segue dalla prima
Pagliuzza e trave
(...)
Ed è molto grave che sotto questo profilo
la sinistra italiana cerchi di speculare anche
sulle dimissioni della governatrice del Lazio,
continuando previcacemente a sostenere che
tutto si risolverebbe semplicemente cambian-
do il colore politico di chi governa. A forza
di dare credito alla fandonia del partito degli
onesti, retaggio immarcescibile della diversità
comunista, l’intero paese sta inesorabilmente
scivolando verso il baratro. Un sistema che
consente alla mano pubblica di gestire ben
oltre metà del reddito nazionale è un sistema
sbagliato, a prescindere da chi lo governi. E
quand’anche si riesca per avventura ad im-
pedire ai tanti “Batman” in circolazione di
campare ad ostriche e champagne coi nostri
soldi, questo non servirà certamente a salvare
l’Italia dalla bancarotta, se non si taglia con
l’accetta la spesa pubblica corrente.
CLAUDIO ROMITI
Monti vs Bersani?
(...)
Il segretario del Pd ha percepito qualcosa
di ancora più terrorizzante: posto sul tavolo
delle opzioni dal diretto interessato, il Mon-
ti-bis comincia a profilarsi sempre più come
vera e propria ipotesi politica, e non solo car-
ta d’emergenza. Non più un governo tecnico
sostenuto da una grande coalizione, ma la
possibilità di un Monti per la prima volta
“
politico”, sostenuto da un’ampia coalizione
di forze, Pd compreso, ma non dalla sinistra.
Il Bersani che oggi dice chiaramente no ad
un Monti-bis, non potrebbe guidare il partito
una volta che invece i numeri in Parlamento
rendessero necessario richiamare il prof. Il
Pd sarebbe costretto a cambiare pelle. De-
terminante, a questo punto, sarà la legge elet-
torale: al di là dei particolari tecnici, qualsiasi
nuova legge sarà più proporzionale del “por-
cellum” e in misura maggiore o minore fa-
vorirà comunque l’ipotesi Monti. Ecco perché
il Quirinale e il premier premono. Certo,
Monti potrebbe finire al Colle al posto di
Napolitano, ma non è ciò a cui pensa il pro-
fessore quando parla di una sua eventuale
“
richiamata” in servizio, quanto piuttosto la
sistemazione auspicata da Bersani: se le ele-
zioni andranno sufficientemente bene per lui
e male per il centrodestra, con nessun sog-
getto politico, vecchio o nuovo, capace di av-
vicinarsi alle percentuali del Pd, allora il voto
non potrà essere messo tra parentesi e un go-
verno politico di sinistra, con Monti al Qui-
rinale, diventerà lo scenario più verosimile.
In questo caso l’errore di Monti, che per coc-
ciutaggine e per il suo senso di superiorità
antropologica non ha voluto trasformare la
sua leadership da tecnica in politica, secondo
le propensioni culturali che lo stesso Monti
ha ammesso, potrebbe essere davvero esiziale
per l’Italia. Il professore afferma il vero quan-
do dice di non coltivare alcun piano politico.
La parola è agli elettori, i quali determine-
ranno, sia pure inconsapevolmente, gli esiti
di questa partita a scacchi. Sarebbe più cor-
retto se Monti si candidasse apertamente.
Non in una lista, essendo senatore a vita, ma
proponendosi ufficialmente per un secondo
mandato, questa volta con un suo program-
ma, e chiedendo il sostegno delle forze poli-
tiche, vecchie e nuove, senza preclusioni. I
cittadini potrebbero scegliere davvero chi li
governa e le forze politiche sarebbero costret-
te a fare i conti con la realtà, a riposizionarsi
sulla base delle cose da fare, senza poter con-
tare su una zattera di salvataggio dopo il vo-
to. Un Monti-bis scelto dagli elettori avrebbe
un mandato più forte. Un conto è una grande
coalizione d’emergenza, per l’ultimo anno di
legislatura, ben altro iniziarne una nuova di
cinque anni: la maggioranza sarebbe molto
meno compatta, tra una sindrome da vittoria
scippata sul lato sinistro e pulsioni da oppo-
sizione sul lato destro.
FEDERICO PUNZI
K
Martin CALLANAN
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DOMENICA 30 SETTEMBRE 2012
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