II
POLITICA
II
Il vero spiritodel liberalismo (e quello contraffatto)
(segue dalla prima)
(...) La crisi attuale è il risultato
della crisi etica che costoro rappre-
sentano. L’economia è solo una
delle discipline della filosofia mo-
rale, che infatti è la materia che
Adam Smith professò. Essa insegna
come, per il bene della casa, ognu-
no debba regolarsi nel produrre,
consumare e quindi distruggere,
od accantonare risorse per attuali
o futuri bisogni della famiglia.
Quindi il profitto è morale od im-
morale a seconda che sia utile o
danneggi le famiglie.
La globalizzazione è un feno-
meno positivo, in quanto fa circo-
lare più liberamente le idee tra gli
esseri umani al di là delle frontiere,
territoriali e mentali, e favorisce la
libera circolazione di tutti i fattori
produttivi. Però tra essi, nell’età
della moneta elettronica, ha favo-
rito la libera circolazione innanzi-
tutto del capitale finanziario, che
viaggia sulla rete telematica in tem-
po reale e quindi non ha i costi di
trasporto d’altri beni mobili, né le
difficoltà ed i tempi di spostamento
delle persone fisiche. Tanto ha reso
il capitale finanziario apolide ed
ha favorito i malfattori nelle spe-
culazioni, cosicché essi lucrano li-
beramente sui fallimenti d’imprese
ed anche di Stati, a mezzo del si-
stema bancario. Le banche, cioè,
che in un’economia sana sono al
servizio dei produttori di beni e
servizi reali per fornire loro, ca-
vandone una giusta remunerazio-
ne, gli anticipi necessari alle loro
produzioni, in realtà, con la scusa
di volere la loro «libbra di carne»
come nel
Mercante di Venezia
del
vecchio William Shakespeare, sono
diventate i veicoli d’una specula-
zione che vive sulla morte delle at-
tività produttive.
Quello che il mio amico Anto-
nio Saccà ha definito di recente
Capitalismo dei Vampiri
. Il sistema
è alimentato da un anacronismo
monetario: il signoraggio. Quando
le monete si coniavano in oro, ar-
gento od altre leghe, il Sovrano do-
veva fornire alla zecca quel metal-
lo, perché potesse coniarle.
Allorché, poi, la carta moneta fu:
«pagabile a vista al portatore», gli
stati hanno iniziato a fornire alla
banca d’emissione, oggi con titoli
del debito pubblico, l’equivalente
del valore indicato sulle banconote
emesse perché potesse provvedere
ad acquistare le riserve necessarie
per poter in teoria adempiere a
quell’impegno di pagamento, cioè
dare dei conî ad esempio in oro a
chi si presentasse allo sportello per
avere l’equivalente del valore dei
biglietti.
Quei titoli di stato oggi gene-
rano gran parte del debito pubbli-
co; però, il danaro non è più con-
vertibile in nulla, rappresenta solo
il potere d’acquisto che la gente è
disposta, per il credito di cui gode
quella moneta, a riconoscerle: co-
me se il tipografo che stampa i bi-
glietti per lo stadio pretendesse dal-
la società sportiva non il costo
della stampa ed il suo ricarico ma
il valore di vendita dei biglietti
stampato sopra, incurante del fatto
che i tifosi sono disposti a pagare
quel prezzo non per i pregi artistici
del manufatto tipografico, ma per
quello che fa sperare loro la squa-
dra del cuore, per il credito agoni-
stico che s’è guadagnata negli anni.
Altrettanto le monete valgono per
il credito guadagnatosi dagli stati
in cui esse hanno circolazione co-
me mezzo di pagamento e non si
vede per quale motivo quelli Stati
dovrebbero dare all’Istituto d’emis-
sione più di quanto è giusto per le
mere spese di stampa.
Non si vede, di conseguenza,
cosa ci sia di liberale non solo nel
chiedere tributi, per pensare i quali
è buono qualunque imbecille come
scrisse Maffeo Pantaleoni, ma an-
che proporre di vendere i beni del
patrimonio pubblico, magari agli
usurocrati sopra descritti, invece
di avere il coraggio sovrano d’im-
pugnare la pratica del signoraggio
con l’emissione di banconote di
stato, e farsi portabandiera di que-
sta scelta di sovranità nell’Unione
europea per rifondare la moneta
unica, al riparo dalle speculazioni
internazionali; e naturalmente ri-
durre le spese dando nondimeno
servizi efficienti, corrispondenti al-
l’importo dei tributi, come scrisse
sempre quel liberale vero di Maf-
feo Pantaleoni, il quale oltretutto
chiarì che esistono solo due scuole
d’economisti: quelli che l’economia
la conoscono e quelli che non la
sanno.
Chi scrive è, per sua disgrazia,
avvocato, ma sia per parte di padre
che di madre ebbe ed ha in fami-
glia molti medici, a partire dagli
ultimi anni del XVIII secolo, ed ha
sempre sentito dire in casa che, po-
tendo, solo gli imbecilli scelgono
di curarsi in cliniche private in
quanto queste sono ottimi e costosi
grandi alberghi, ma non avranno
mai, per le cose serie, i macchinari
di cui dispone un ospedale pubbli-
co, perché gli stessi hanno costi tali
che solo la collettività può conce-
dersi. Del pari in famiglia vi sono
sempre stati docenti, in genere uni-
versitari, e sono sempre stati soste-
nitori dell’idea napoleonica della
scuola pubblica, in quanto nessun
privato avrebbe interesse a mettere
una scuole elementare in un pae-
sino della Carnia o sul Gran Sasso,
e solo la diffusione popolare del-
l’istruzione può portare ad un’am-
pia ed adeguata selezione dei me-
ritevoli per la ricerca nelle univer-
sità, nei conservatorî musicali o
nelle accademie militari e d’arte.
Il maggiore sociologo liberale
del secondo millenovecento e dei
primi anni del secolo presente, Ralf
Dahrendorf, sostenne sempre che
la democrazia non è questione di
egalitarismo, perché ogni società
esprimerà sempre delle funzioni di-
rigenti, quanto di mobilità sociale,
poiché la forza d’un popolo si vede
nella possibilità riconosciuta a
chiunque, anche a chi è nato ai
margini della società, d’accedere,
se capace e meritevole, a ruoli di-
rigenti. Egli scrisse che due sistemi
sono fondamentali, quindi, per
promuovere la democrazia: quello
sanitario che deve garantire a tutti
una quanto più sana e robusta co-
stituzione possibile, e la pubblica
istruzione, che deve dare a tutti la
formazione adeguata a far valere
le proprie capacità.
Ora, una scuola pubblica, come
insegnò Giovanni Gentile, non è
detto sia statale, potendo contri-
buire alla pubblica istruzione an-
che istituti privati, ma uno stato
che rinunci a fornire questi basilari
servizi dove il privato non abbia
capacità o convenienza a fornirli,
che arretri su questi due fronti, ce-
dendo tutto ai privati, è per natura
illiberale e basta. La cessione di
funzioni pubbliche a privati s’è già
vista in Europa, quando l’Impero
dei Romani si ritirò dall’occidente
ed i regni barbarici, nel vuoto di
potere, cedettero le funzioni dello
stato a privati in cambio di averne
tributi, ausilio militare e consigli
politici: il sistema si chiamò e si
chiama feudalesimo, ed il liberali-
smo nacque dalle rivoluzioni anti-
feudali ed antiassolutiste, dalla re-
voca in dubbio dell’idea che lo
stato fosse un venale patrimonio
privato, quindi soggetto a transa-
zione, e non una istituzione di ga-
ranzia pubblica dei diritti.
RICCARDO SCARPA
Karl Raymund Popper
fu un grande, insuperato
epistemologo. Poi però,
volendo scrivere libelli
antitotalitari, si lasciò
andare a battute
non adatte a un filosofo
ma a un barzellettiere
K
Karl Raymund POPPER
Per Ralf Dahrendorf,
la democrazia
non è egalitarismo
ma mobilità sociale.
La forza d’un popolo
si vede nella possibilità
per tutti di accedere
a ruoli dirigenti
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Registrazione al Tribunale di Roma n. 8/96 del 17/01/’96
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Ralf DAHRENDORF
L’OPINIONE delle Libertà
DOMENICA 26 AGOSTO 2012
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