II
POLITICA
II
di
LUCIANO RANDAZZO
in dove si potrebbero spingere
le politiche riformatrici d’un go-
verno tecnico composto d’autocrati
d’altissimo profilo tecnico? Questa
domanda se la stanno ponendo in
tanti da circa nove mesi, certi che
l’eliminazione di alcuni viatici non
risolva il problema economico ita-
liano. Dal 16° secolo c’è memoria
scritta della tradizione romana del
viatico, cioè la comunione ammini-
strata ai moribondi, e con essa quel-
le cure che pongono il medico cri-
stiano nello stesso solco che fu del
pagano Esculapio. Eppure il medico
di famiglia a cui sono abituati gli
italiani potrebbe estinguersi. La
maggioranza della popolazione non
vuole che anche il medico di fami-
glia, per una scellerata quanto in-
cosistente politica sanitaria, possa
scomparire. “Ce lo chiede l’Europa”
non basterebbe a giustificare la
scomparsa della figura del medico.
La nostra tradizione romantica ci
ha abituato ad apprezzarlo, a farlo
diventare un nostro caro amico che
ci accompagna nei momenti difficili.
Quando per quel bene primario che
è la nostra salute inizia un cammino
che non vorremmo mai compiere.
L’eliminazione del medico di fa-
miglia equivarrebbe all’ennesima
scelta calata sulla nostra Italia da
una politica asservita alle scelte eu-
ropee. Eppure il medico di famiglia,
figura sempre troppo poco consi-
derata, è d’importanza primaria, è
l’avamposto della medicina. Quella
vera, difficile, autentica. Che sta
fuori dalle ovattate stanze dei pri-
mariati. Scevra dall’inquinamento
politico, anche se ora sta subendo
forti aggressioni che ne vorrebbero
corrodere il ruolo. Non è demago-
gia. I fatti ci danno ragione. E siamo
certi che gli ingorghi al pronto soc-
corso saranno il primo risultato di
questo futuro stravolgimento.
Già da qualche anno s’assiste a
sistematici attacchi al ruolo, alla
professionalità, alle competenze del
F
medico di famiglia. Attacchi spac-
ciati per tutela degli interessi dei cit-
tadini.
Grazie a queste campagne de-
magogiche, il medico di famiglia ri-
schia di finire a spasso. Pur non
avendo seguito corsi specifici, grazie
al suo buon senso e a tanta pazien-
za, fronteggia ansie e malcontenti
dei pazienti. I dati ci dicono che il
medico di famiglia riduce di oltre
l’80 % i carichi del pronto soccor-
so: evidentemente è scelta europea
trasformare i nostri nosocomi in
quartieri a mezzo tra lazzaretti e
corti dei miracoli.
Dal medico della mutua, tanto
esaltato da Alberto Sordi nella ci-
nematografia della Prima Repub-
blica (certamente con buona dose
di verità), si è passati al “medico di
base”, e in ossequio alla cosiddetta
“medicina democratica”. Anche il
medico doveva essere l’espressione
di una democrazia partecipativa: in
Italia tutti sono diventati “di base”
dagli insegnanti ai genitori, quindi
anche il medico ci stava bene nella
visione di Pci e Cgil di fine anni ‘70.
Ma, superata quella fase, è stata
trovata una tranquilla definizione:
più serena e domestica, quella di
medico di famiglia. E nel momento
in cui la famiglia era al centro degli
interessi pubblici (elettoralistici) di
tutte le fazioni.
Oggi, pur rimanendo inalterato
il nome (tanto la famiglia va sempre
bene e ci tocca il cuore) il medico
di famiglia è divenuto un burocrate
statalista che, anzichè interessarsi
ai problemi sanitari dei suoi assistiti
(quelli quotidiani, i più spinosi, dove
l’attenzione deve essere sempre alta)
deve svolgere funzioni meramente
amministrative (oltre a sostituirsi
alle carenti strutture ospedaliere).
La burocrazia entra sempre di
più nello studio del medico di fa-
miglia, facendogli assumere il ruolo
di dipendente statale, e in barba al
contratto collettivo nazionale: è be-
ne ricordarlo, non configura un rap-
porto di lavoro subordinato, il me-
dico di famiglia è un incarico libero
professionale.
Il medico di famiglia trascorre
buona parte del tempo non più ad
effettuare visite, a valutare le varie
terapie, ma a prescrivere. Svolge in-
somma il lavoro cui è preposto, ed
è in gioco anche la sua dignità.
Non è dignitoso per il medico
di famiglia dover dare informazioni
circa le varie cerificazioni su cui
ruota gran parte del suo tempo,
avere contatti diretti con i vari da-
tori di lavoro per i certificati medici
di malattia, dover usare più il com-
puter che il fonendoscopio: tutto
con dispendio di tempo, e riesce a
svogere il proprio lavoro con orari
a di poco estenuanti. Orari che fa-
rebbero innorridirire l’ultimo degli
impiegati statali: le statistiche par-
lano chiaro, almeno quelle derivanti
da fonti ufficiali e non quelle false
pubblicate dai mass media di siste-
ma.
Hanno dovuto abbandonare
l’antica arte medica per abbracciare,
senza volerlo e loro malgrado, la
burocrazia statale. Qualcuno obiet-
terà che tutto questo è senz’altro a
vantaggio del cittadino. Niente di
più falso. Tutto è a vantaggio della
Pubblica Amministrazione che, non
riuscendo più a gestire nulla (come
avviene in tanti settori della cosa
pubblica) delega al medico di fami-
glia ogni rogna sanitaria, burocra-
tizzandolo ogni giorno di più. A
proposito,la retribuzione è sempre
la stessa, e alla faccia dei premi alla
professionalità montiana. L’ultima
in ordine di tempo, e dopo le ceri-
ficazioni on line, porta il medico di
famiglia (secondo gli ultimi prov-
vedimenti legislativi) obbligatoria-
mente ad indicare nella prescrizione
medica il principio attivo: in Italia
tutto diventa obbligatorio quando
si vuole dare risalto a qualche in-
tervento. La libertà del farmaco fi-
nisce in farmacia, salvo motivare in
caso diverso. Per la prima volta si
impone l’obbligo di motivazione al
medico, e per una scelta che rientra
nella sua valutazione e nella sfera
della sua libera discrezionalità. Mo-
tivazione significa anche controllo
sulla scelta del sanitario. Control-
lare significa sopratutto inibire la
liberta della scelta farmacologica,
l’atto più esclusivo della professione
medica.
Non si vuole fare il panegirico
del medico di famiglia. Semplice-
mente spiegare che non si può ap-
paltare per legge la libertà di cura
alle lobby, elidendo di fatto la liber-
tà di medici e pazienti. Ed in questa
rivoluzione non vi sarà nemmeno
un centesimo di risparmio, solo au-
mento di confusione sanitaria: quin-
di la già tristemente nota malasa-
nità. Si ringraziano a nome degli
italiani i medici seri e scrupolosi: ce
ne sono, nonostante la favola sui
presunti malcostumi con case far-
maceutiche. Non ultima quella di
un solone della farmacologia, molto
noto per le continue partecipazioni
a salotti televisivi, che continua a
svolgere il proprio difficile lavoro
con abnegazione, tanta competenza,
soprattutto serietà.
Al senatore Ignazio Marino, an-
che lui medico, ma di un altro am-
biente, vorremmo ricordare la scar-
sa percentuale di incidenti
professionali in cui sono coinvolti
i medici di famiglia: quindi invitarlo
a visitare (anche solo qualche volta)
lo studio d’un normale medico di
famiglia che onora la propria pro-
fessione.
segue dalla prima
Il partito del circo
mediatico-giudiziario
(...) Che potenziale elettorale potrebbe
avere una lista guidata contemporanea-
mente da De Magistris, Emiliano, Di Pie-
tro, Grillo ed eventualmente Ingroia?
E quali conseguenze politiche si avrebbero
dalla nascita a sinistra del Pd di una op-
posizione che segnerebbe la discesa uffi-
ciale nel campo della politica di quel circo
mediatico-giudiziario che tanto ha con-
dizionato le sorti del paese negli ultimi
trent’anni?
In politica, si sa, non sempre i numeri rie-
scono a sommarsi. Spesso una addizione
diventa divisione.
Ma in questo caso le esperienze recenti
di Milano con Pisapia, di Palermo con
Orlando e degli stessi De Magistris a Na-
poli ed Emiliano a Bari, indicano che
l’ipotesi di una addizione destinata a tra-
sformarsi in moltiplicazione non sarebbe
affatto irrealistica.
Se il circo mediatico-giudiziario diventa
partito, infatti, può esercitare una sorta
di irresistibile attrattiva nei confronti di
quell’elettorato del Pd che per anni ed an-
ni è stato allevato a pane e giustizialismo
quotidiano. Prevedere allora che una lista
del genere possa superare non l’asticella
dello sbarramento ma la quota fatidica
del venti per cento fino ad arrivare addi-
rittura ad ambire a diventare il primo par-
tito provvisto di premio di maggioranza
a spese del Pd e del Pdl, dunque, non è
affatto irrealistico. È un incubo per Ber-
sani. E per l’intero paese. Talmente in-
quietante da indurre a qualche ripensa-
mento sui benefici del ritorno al
proporzionale.
ARTURO DIACONALE
Bisogna tagliare tasse
e spesa pubblica
(...) La verità è che sono proprio le poli-
tiche redistributive, caratterizzate da una
fiscalità crescente, ispirate dalla sinistra
che si trovano alla base delle nostre at-
tuali difficoltà economiche. In primis per-
chè le stesse tendono a disarticolare l’in-
tero sistema economico, scoraggiando la
nascita di nuove imprese produttive ed
incentivando la spinta parassitaria di chi
ritiene di sbarcare il lunario ponendosi a
carico dell’intera collettività.
Per dirla con una battuta, tutto ciò re-
stringe la platea dei veri produttori di ric-
chezza a tutto vantaggio degli eserciti di
cittadini che vivono praticamente di tasse.
Appare, pertanto, evidente che se il nodo
scorsoio che strangola lo sviluppo econo-
mico dell’Italia è composto dal micidiale
combinato disposto di un eccesso di in-
tervento pubblico e, conseguentemente,
di imposte, scrivere documenti e blaterare
sermoni in favore della crescita serve a
ben poco. Occorrebbe altresì seguire la
strada di quei paesi europei che hanno ri-
preso a crescere, tagliando la spesa pub-
blica e le tasse.
Da questo punto di vista sarebbe utile ri-
cordare che la Svezia, patria del welfare
a cui i nostri incalliti statalisti spesso si
richiamano, nel corso degli ultimi anni
ha tagliato la spesa pubblica di oltre 18
punti. Tant’è che questo Paese è interes-
sato da tempo da una tumuoltuosa espan-
sione. Ma ciononostante da noi si conti-
nua a perseguire un modello di sviluppo
keynesiano e dirigista che, professori o
meno, non potrà che portarci al disastro.
Altro che sviluppo!
CLAUDIO ROMITI
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Medici di famiglia, un baluardo di professionalità
L’OPINIONE delle Libertà
VENERDÌ 24 AGOSTO 2012
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