II
POLITICA
II
Un debito da 88miliardi
Quando l’impresa soffre
Quel“nulla”che rischia
di inghiottire la politica
Countdown Sicilia:
sei giorni al voto
ochi giorni, solo sei, all’appun-
tamento con le urne per oltre
4,5
milioni di siciliani che decide-
ranno a chi affidare il destino del-
l’Isola. Ultimi giorni di una strana
campagna elettorale tra teatri silen-
ziosamente pieni, piazze semivuote,
incontri eleganti senza anima e di-
battiti, in cui, se pur con accenti e
proposte comprensibilmente diver-
si, il tema, a dir poco scontato, è
uno solo: rinnovamento e cambia-
mento. Ultimi giorni, quindi, per
convincere i tanti siciliani incerti e
delusi che, con il loro voto, potreb-
bero fare la differenza. Già, perché
l’aria di astensionismo si respira ad
ogni angolo della Sicilia dove, pun-
tualmente, sono arrivati i big na-
zionali.
Una partita difficile, quella che
si sta giocando in Sicilia, in cui i
due principali sfidanti, Nello Mu-
P
sumeci (Pdl, La Destra e Pid) e Ro-
sario Crocetta (Pd, Udc, Api e Mps)
dovranno fare i conti con il Movi-
mento Cinque Stelle di Beppe Gril-
lo. Una partita, quindi, con un terzo
imprevisto incomodo forse un po’
troppo sottovalutato e in cui Gian-
franco Micciché (Grande Sud, Fli
e ex Mpa) potrebbe essere messo
fuori gioco. E dovrà fare i conti con
il comico genovese anche e soprat-
tutto il leader dell’Idv Antonio Di
Pietro che, nel suo mini tour sici-
liano di tre giorni, è apparso inso-
litamente giù di tono.
Se Bersani nei giorni scorsi ave-
va affermato di capire come finirà
il film («Nello Musumeci o Rosario
Crocetta»), Gianfranco Fini, anche
lui sbarcato nell’Isola sabato scorso,
aveva risposto che «tra i due liti-
ganti il terzo gode», cioè Micciché.
E mentre il segretario del Pdl An-
gelino Alfano ritiene che le elezioni
siciliane «non siano un test nazio-
nale», Grillo è l’unico che continua
a riempire le piazze incitando de-
magogicamente i siciliani a votare
per loro stessi. Lunedì prossimo si
saprà il nome del nuovo presidente
della Regione e dei novanta depu-
tati che non dovranno più convin-
cere gli elettori, ma confrontarsi im-
mediatamente con il deficit del
bilancio regionale che a fine anno,
secondo la Corte dei Conti, am-
monterà a sei miliardi di euro.
ROSAMARIA GUNNELLA
orna Michele Santoro nella
televisione che conta. Con
Servizio pubblico
in diretta su
La7
da Cinecittà che raccoglierà la
staffetta dell’allievo Corrado For-
migli di
Piazza pulita
.
Un altro
schiaffo per la Rai dopo la fuga
di Celentano da viale Mazzini con
la diretta dall’Arena di Verona tra-
smessa da Canale 5?
Parte in salita l’inizio della ge-
stione di Rai 1 di Giancarlo Leone
che lascia il vertice dell’intratteni-
mento per prendere il posto di
Mauro Mazza. I continui cambia-
menti di direttori, gli spostamenti
di giornalisti, dirigenti, tecnici ha
provocato nel tempo una molti-
plicazione d’incarichi e una verti-
calizzazione dell’azienda per cui
in Rai sono quasi tutti generali.
Di soldati semplici ce ne sono po-
chi tra i 13mila dipendenti.
Una bomba ad orologeria è so-
spesa sul bilancio già in rosso di
200
milioni. È l’esito delle 1.300
cause di lavoro in corso, quasi il
10 %
dei dipendenti. Poiché, stan-
do alle statistiche, la Rai perde
quasi tutte le cause, sono in ballo
milioni e milioni d’arretrati. È for-
temente preoccupata la presidente
dell’azienda di viale Mazzini, pro-
venendo da Bankitalia: «Bisogna
ricondurre a un quadro d’assieme
la gestione del personale, i processi
produttivi, l’organizzazione» ha
osservato in cda Anna Maria Ta-
T
rantola. Come è possibile arrivare
a tanto? Il direttore generale Luigi
Gubitosi, che proviene da Wind,
ci sta lavorando.
L’altro bubbone che potrà in-
cidere sui bilanci è la regolarizza-
zione dei precari. Quasi tutte le
rubriche dei tg, dei gr, delle reti
vanno avanti solo perché ci sono
giornalisti, aiuto registi, segretarie,
tecnici quasi tutti con contratto a
tempo determinato di 8-9 mesi.
Una volta chiusa la stagione della
trasmissione, vanno in pausa-ri-
poso per un paio di mesi. Poi, co-
me diceva Biagio Agnes, il gene-
rale agosto fa il miracolo. Viale
Mazzini rinnova i contratti indi-
cati dai direttori, da Bruno Vespa,
da Giovanni Minoli, all’epoca da
Santoro, da Antonio Di Bella, dai
caporedattori regionali, dai re-
sponsabili delle redazioni sportive.
Mamma Rai è la mamma di tutti.
Basterà leggere il nuovo libro di
Clemente Mimun, che da 40 anni
conosce il mondo della carta
stampa, della Rai e di Mediaset.
Cos’è diventata la Rai? Non
un’azienda del servizio pubblico.
Santoro gli ha scippato anche il ti-
tolo. Ma tante aziende ripartite
anche per aree politiche di riferi-
mento. Possono allora quadrare i
bilanci? Difficile. La Rai dovrebbe
fare investimenti strutturali per re-
cuperare i ritardi tecnologici. Dove
trovare i soldi? L’ultimo aggiorna-
mento dei mezzi risale alla gestio-
ne della testata per l’informazione
regionale di Piero Vigorelli a metà
degli anni Novanta, con l’istitu-
zione della terza edizione in tutte
le sedi regionali.
Basta visitare Saxa Rubra per
vedere lo scempio, nei corridoi,
delle migliaia di cassette abban-
donate senza che nessuno si pre-
occupi di recuperare le immagini
o domandare ai tecnici quante te-
lecamere o salette di montaggio
sono predisposte per il digitale.
Solo a Rainews 24 di Corradino
Mineo e a Report di Milena Ga-
banelli si lavora con mezzi d’avan-
guardia. E così il rosso è il colore
dominante in Rai: in bilancio,
nell’informazione e negli appro-
fondimenti giornalistici.
SERGIO MENICUCCI
Rai,milletrecento vertenze
tolgono il sonno aTarantola
È molto preoccupata
la presidente di viale
Mazzini: «Bisogna
ricondurre a un quadro
d’insieme la gestione
del personale, i processi
produttivi, oltre
all’organizzazione»
di
LUCA PAUTASSO
icevono sempre meno prestiti e fanno
sempre più fatica a restituire quelli rice-
vuti. Sono i piccoli imprenditori italiani così
come appaiono nella fotografia tutta in bian-
co e nero scattata dalla Cgia di Mestre. «Nel-
l’ultimo anno la contrazione dei prestitu ero-
gati dalle banche alle imprese italiane è stata
di circa 27 miliardi di euro, mentre le soffe-
renze in capo al sistema imprenditoriale sono
aumentate di 12,3 miliardi di euro» dichiara
Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia.
In gergo, queste realtà si chiamano sofferenze.
Un nome quantomai azzeccato per raccon-
tare la situazione di imprenditori che hanno
ottenuto prestidi dagli istituti di credito e
non sono più in grado di restituirli. «Ormai
-
prosegue Bortolussi - l’ammontare com-
plessivo delle insolvenze sfiora gli 88 miliardi
di euro: un vero e proprio record mai rag-
giunto dopo l’avvento dell’euro».
A livello territoriale è il centro Italia ad
aver registrato l’incremento più netto degli
stati di sofferenza: tra il luglio 2011 e lo stes-
so mese di quest’anno (ultimo dato disponi-
bile) è stato dell’17,3%, contro il +16,9%
registrato nel nord est, il +15,1% fatto se-
gnare dal nord ovest ed il +14,6% maturato
nel sud. Salgono le sofferenze, diminuiscono
i prestiti. In una spirale autodistruttiva che
sembra non conoscere pace. Per quanto con-
cerne i prestiti, invece, è il nord ovest l’area
geografica che ha subito la flessione più evi-
dente: sempre tra luglio 2011 e il luglio 2012,
la contrazione è stata del -2,67%, rispetto al
-1,67%
fatto segnare dal nord est, al -1,58%
registrato nel sud e al -1,50% maturato nel
R
centro. A partire dall’inizio di novembre del
2011,
il mese in cui lo spread italiano ha rag-
giunto il livello record di 558 punti base, le
cose sono andate peggiorando. I prestiti han-
no subito un ulteriore rallentamento, tanto
che se si confrontano i dati dell’agosto 2011
quelli dello stesso mese dell’anno successivo,
la contrazione è quasi raddoppiata.
Cosa sta succedendo? Lo spiega lo stesso
Bortolussi: «Dopo quattro anni di crisi le
piccole imprese stanno soffrendo la mancan-
za di liquidità. Devono pagare le forniture,
acquistare le materie prime e i servizi, pagare
le utenze, onorare gli impegni economici as-
sunti con i propri dipendenti, versare le tasse
e i contributi, ed è chiaro che senza liquidità
molte esperienze imprenditoriali rischiano
di cessare l’attività. Dall’inizio della crisi ad
oggi sono quasi 50mila le imprese fallite, e
circa un terzo di queste hanno chiuso per
mancati pagamenti».
In questo quadro, accusa il segretario del-
la Cgia, la responsabilità degli istituti di cre-
dito nell’aver aggravato la mancanza di li-
quidità è tutt’altro che marginale: «Con le
due operazioni effettuate dalla Bce nel di-
cembre 2011 e nel febbraio di quest’anno le
banche italiane hanno ricevuto 132 miliardi
di liquidità netta, ad un tasso d’interesse
dell’1%» dice. «È vero che gran parte di que-
sti soldi sono stati impiegati per l’acquisto
di titoli di stato al fine di evitare il crac fi-
nanziario, ma adesso bisogna evitare che a
collassare sia l’economia reale, ovvero le im-
prese e i propri dipendenti. Per questo - esor-
ta Bortolussi - è auspicabile che le banche ri-
tornino a fare il loro mestiere: rischiare
assieme alle imprese».
di
GIANLUCA PERRICONE
roviamo a partire dal titolo dell’editoriale
di Maurizio Belpietro su
Libero
di venerdi
scorso: «Occhio che qui ci ritroviamo Grillo
premier». Spesso, è noto, la titolazione di
quel quotidiano è volontariamente “forte”.
Riesce cioè, usando una terminologia appa-
rentemente fuori le righe, a sintetizzare in
modo chiaro un concetto. L’altro giorno è
successo proprio questo: continuando di que-
sto passo, gli attuali partiti corrono il serio
rischio di ritrovarsi il movimento capitanato
da un comico/demagogo come forza deter-
minante nella distribuzione dei seggi che sca-
turirà dalle elezioni della
prossima primavera. Ma
se il “nulla spettacolo” ri-
schia di affermarsi alle
prossime consultazioni
elettorali, la responsabilità
(
non siamo i primi ad evi-
denziarlo) è dell’attuale
politica, di questi partiti
che, con alcuni dei loro
rappresentanti, fanno tut-
to il possibile per far al-
lontanare i cittadini dalle
loro alchimie e, di conse-
guenza, dalle istituzioni e
dalla loro democratica
rappresentatività. A sinistra come a destra
(
per non parlare del centro). Da una parte la
gerontocratica struttura del Pd sta dimostran-
do chiaramente che Matteo Renzi è riuscito
nel suo intento: quello di rompere le uova in
un paniere assai ben blindato intorno a veri
e propri “professionisti della politica” i quali,
P
se non ci fosse stata l’irruzione del primo cit-
tadino toscano, avrebbero di certo avuto la
faccia di non mettere neppure in discussione
la loro permanenza sugli scranni che contano.
Dall’altra parte (nel centrodestra), la discus-
sione sul rinnovamento sta invece sfiorando
quasi il ridicolo e non perchè sia stata Daniela
Santanché (una sconfitta secondo il responso
delle urne) a porre la questione. Il discorso
nell’area Pdl è, appunto, ridicolo solo perchè
nessuno ha fatto un passo indietro nonostan-
te le recenti sconfitte elettorali e gli scandali
legati all’arricchimento personale dei singoli
che stanno esplodendo in diverse parti del
paese. Nessuno ha avuto l’onestà - non solo
intellettuale, ma anche
politica e morale - di fare
un passo indietro ed am-
mettere la sconfitta. Qui
non è più questione di
“
fuoriusciti” con le case a
Montecarlo, di Fiorito, di
Formigoni o di Polverini.
Né, paradossalmente, di
continuare a stigmatizzare
un qualsivoglia Penati e
le sue (ancora presunte)
malefatte o un Errani e gli
affari del di lui fratello. Si
tratta solo di decidere, de-
finitivamente, se sia più
opportuno ripartire da una prevedibile per-
centuale elettorale del 12-15 % ma senza
ombra alcuna o continuare ad arroccarsi in-
torno ad un castello che perde acqua da tutte
le parti. In questo secondo caso, quanto pa-
ventato da Belpietro rischia ogni giorno di
più di trasformarsi in inquietante realtà.
L’OPINIONE delle Libertà
MARTEDÌ 23 OTTOBRE 2012
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