II
CULTURA
II
CiceronevsCatilina.Nutimette inscena leorazioni
di
VITO PIEPOLI
ell’anno 63 a.C., sul finire
dell’autunno, la vita interna
di Roma è turbata dalla minaccia
improvvisa di un colpo di Stato.
Un nobile ambizioso e di ambigua
fama, Catilina, trama una congiura
destinata a spezzare il monopolio
politico dell’oligarchia senatoria,
per attuare poi un programma di
riforme sociali; e in lui convergono
le speranze di quanti sono, per na-
scita o condizione economica,
emarginati dal potere. Console in
carica è Cicerone, il più grande
oratore di Roma. Dopo i fortunati
Processo a Socrate
e
Processo per
Magia
,
Piero Nuti fino al 21 otto-
bre al Teatro Erba di Torino, si ci-
menta in una nuova vibrante in-
terpretazione proponendo
Le
Catilinarie
(”
Orationes in Catili-
nam”) ovvero i celebri discorsi te-
nuti da Cicerone contro Catilina,
pronunciati nel 63 a.C. in seguito
alla scoperta e alla repressione del-
la congiura che voleva minare gli
ordinamenti repubblicani, che fa-
ceva capo appunto a Catilina.
Nel pericolo che si profila Ci-
cerone intravede l’occasione di una
insperata affermazione personale
e fronteggia Catilina con l’arma
del suo talento oratorio. L’aspra
requisitoria pronunciata contro di
lui nel corso delle quattro celebri
orazioni “Catilinarie” resta tra i
capolavori della sua eloquenza do-
cumentando l’arroventato clima
politico in cui si consuma il tra-
monto della repubblica. Legalità e
violenza risultano, nel discorso, i
termini finali di una lotta dalla cui
soluzione dipende la sopravvivenza
stessa dello Stato. «È questo il
dramma della lotta politica senza
esclusione di colpi, della sommossa
ben predisposta, della slealtà bi-
partita, della minaccia ricattatoria,
dell’abuso e della sollecitazione di
paure collettive strumentalizzate a
fini di potere» ha osservato il prof.
Pierpaolo Fornaro. Si tratta di ben
quattro orazioni. L’8 novembre del
63
a.C. il console Marco Tullio Ci-
cerone fa convocare il Senato nel
tempio di Giove Statore e, rivol-
gendosi a uno dei senatori presenti
alla seduta, lo accusa di essere il
capo di una congiura che vuole
realizzare un colpo di Stato. Il se-
natore che si sente rivolgere queste
accuse è Lucio Sergio Catilina. Già
da qualche settimana si sospetta
ma Cicerone in realtà, fino a que-
sto momento, non ha mai mostra-
to alcuna prova del coinvolgimen-
to di Catilina. Se dunque
quest’ultimo, si è recato tranquil-
lamente alla seduta del Senato, è
perché non si aspetta un attacco
così improvviso. Catilina, perciò,
sembra essere inchiodato dalle ac-
cuse. In realtà non è facile stabilire
quali carte effettivamente Cicerone
abbia in mano e in che misura, in-
vece, il suo sia un modo di fare per
sorprendere l’avversario e indurlo
a compiere un passo falso.
Dopo la seduta del Senato Ca-
tilina lascia Roma per raggiungere
i suoi uomini. Tre giorni dopo la
prima orazione, Cicerone davanti
al Senato ne pronuncia una secon-
da. A dicembre, Cicerone pronun-
cia altre due orazioni, non più in
Senato ma nel Foro, davanti al po-
polo. In questa storia da una parte
sembra esserci Cicerone, uomo vir-
N
mo che tutti i suoi avversari ven-
gono sempre accusati delle colpe
più orribili. Si può sempre pensare
che fosse tutto vero, visto che Ci-
cerone era un abile avvocato, ma
anche un politico che voleva met-
tere i suoi avversari il più possibile
in cattiva luce?
La demonizzazone del diverso
è uno schema che si è ripetuto
spesso, non solo nell’antichità e an-
che oggi si assiste a questo in po-
litica. Certo, Cicerone ha combat-
tuto la sua battaglia contro
Catilina usando soprattutto le armi
della parola. Mentre Catilina era
sicuramente un uomo ambizioso e
pronto alla violenza e lo schiera-
mento che lo sosteneva era quanto
di più eterogeneo si potesse imma-
ginare. Ma la lotta tra Cicerone e
Catilina non è affatto una lotta tra
il Bene e il Male, come Cicerone
vorrebbe far credere.
Ce lo lascia capire, in fondo, lo
stesso Cicerone all’inizio della pri-
ma orazione quando, affermando
che Catilina merita la morte, indica
come modello da imitare e da cui
prendere esempio, il pontefice mas-
simo Publio Scipione Nasica, il cui
merito storico era quello di aver
difeso gli interessi dei latifondisti
con il primo di una lunga serie di
delitti, quello del tribuno della ple-
be Tiberio Gracco. Ci fu anche una
strage organizzata dai latifondisti,
per difendere il latifondo e in de-
finitiva, non siamo molto lontani
dai metodi usati nel nostro secolo,
in Sicilia, dalla mafia. Roma uscì
a pezzi da questi conflitti: ci furono
nuovi ricchi, ma ci furono soprat-
tutto nuovi poveri.
A Roma quindi si era formato
un vasto schieramento di disperati,
che avevano finito per essere se-
guaci di Catilina. Costoro erano
molto diversi tra loro, ma avevano
una cosa in comune: in mancanza
di una soluzione politica dei loro
problemi, erano tutti pronti a qual-
siasi avventura. E cosa aveva fatto
lo Stato per migliorarne le condi-
zioni? Assolutamente nulla. Anzi,
peggio, proprio nel 63 a.C. era sta-
ta proposta una legge che impone-
va di assegnare una piccola por-
zione di terre ai nullatenenti.
Contro quella proposta pronunciò
una appassionata orazione (riu-
scendo a farla bocciare) il console
appena eletto, Marco Tullio Cice-
rone.
Piero Nuti, che ha scritto e di-
retto l’opera in scena ne sottolinea
la contemporaneità: «Tutte le ope-
re di Cicerone sono permeate di
politica, vedi le orazioni contro
Verre l’infame governatore della
Sicilia, che ricordano le accuse che
le leggiamo quotidianamente su la
stampa e non è un paradosso. Ci-
cerone, da moralista convinto, si
scaglia contro la corruzione e il vi-
zio e contro Catilina ha gioco fa-
cile. Ma nella Roma attraversata
da grandi e profonde tensioni so-
ciali, Catilina è anche un opposi-
tore violento alla oligarchia domi-
nante. Il nuovo contro il vecchio?
Certamente la sua azione politica
fu un tentativo di scardinare le re-
sponsabilità di una oligarchia che
concepiva il potere come un mo-
nopolio. Questo personaggio con-
serva, nonostante tutto, il fascino
del ribelle che cerca disperatamente
e caoticamente di combattere le in-
giustizie del potere».
Dopo i fortunati
“
Processo a Socrate”
e“Processo per Magia”,
Piero Nuti fino
al 21 ottobre
al Teatro Erba
di Torino, si cimenta
in una nuova vibrante
interpretazione
proponendo
“
Le Catilinarie”
(”
Orationes
in Catilinam”),
ovvero i celebri
discorsi tenuti
da Cicerone contro
Catilina, pronunciati
nel 63 a.C. in seguito
alla scoperta
e alla repressione
della congiura
che voleva minare
gli ordinamenti
repubblicani.
Congiura, appunto,
che faceva capo
proprio a Lucio
Sergio Catilina,
nobile impoverito
e pieno di debiti
che partecipava
alle sedute del Senato
tuoso e disposto a tutto per salvare
la patria, dall’altra c’è Catilina, lo
scellerato, il violento, il nemico del
popolo romano. Però ancora oggi,
a più di duemila anni di distanza,
gli studiosi si interrogano su questo
episodio e cercano di capire cosa
ci fosse dietro la congiura.
Catilina era un nobile che face-
va parte dell’aristocrazia senatoria
e pertanto partecipava alle sedute
del Senato. Ma era un nobile im-
poverito e sembra pieno di debiti.
Sallustio ci informa che Catilina
aveva un largo seguito in città: «La
plebe, vogliosa di mutamenti, era
tutta per Catilina». Pertanto è
plausibile pensare Cicerone, forte
dell’effetto sorpresa abbia esage-
rato un po’ nel delineare il ritratto
del suo nemico. Se leggiamo altre
orazioni di Cicerone, ci accorgia-
L’OPINIONE delle Libertà
DOMENICA 21 OTTOBRE 2012
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