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SOCIETÀ
II
Alla John Cabot University,
dove l’Italia incontra gli Usa
di
UMBERTO MUCCI
no dei “pezzi di America” nel
nostro Paese è sicuramente la
John Cabot University, nella quale
si respirano Stati Uniti a pieni pol-
moni pur essendo nel quartiere più
caratteristico di Roma, Trastevere.
Nel nostro viaggio alla scoperta dei
rapporti tra Italia e Usa, incontria-
mo il presidente dell’ateneo ameri-
cano, il professor Franco Pavoncel-
lo.
Professor Pavoncello, lei è il pri-
mo italiano ad essere eletto presi-
dente di una istituzione universita-
ria americana.
Sì, credo di essere il primo ita-
liano senza doppia cittadinanza,
perché in effetti fra gli italoameri-
cani alcuni già hanno avuto il pia-
cere di presiedere università ameri-
cane.
Sono
chiaramente
onoratissimo di questa cosa, ma
d’altro canto avendo passato dieci
anni negli Stati Uniti, in un certo
senso una parte importante di me
si sente anche americana e così mi
considerano in parte coloro che mi
conoscono. Sono stato negli Usa
dal 1974 al 1984, tra i miei 23 e i
33
anni, e ciò mi ha formato defi-
nitivamente e inequivocabilmente.
Ho un dottorato conseguito in Mi-
chigan e ho lavorato ad Harvard
con Robert Putnam. Mio nonno
era minatore in West Virginia tra il
1904
ed il 1914, dove arrivò sbar-
cando a Ellis Island. Sono stato
Rettore (Dean of Academic Affairs),
alla John Cabot dal 1996 al 2005:
quando iniziai c’erano qui 151 stu-
denti, oggi sono 1.200, che è anche
circa il numero dei ragazzi che fino
ad oggi si sono laureati con noi da
quando siamo nati. Sento di dovere
tantissimo all’America, un grande
e forte paese nel quale si respira li-
bertà, cosa importantissima per i
ragazzi che oggi forse lo danno un
po’ per scontato. È per questo che
qui alla Jcu insegniamo ai nostri
studenti prima di tutto ad essere li-
beri. Sono anche membro del Co-
mitato Direttivo dell’Associazione
Amici dell’Accademia dei Lincei,
per il quale curo i rapporti con gli
Usa, nei quali vorremmo istituire
un chapter americano dell’associa-
zione stessa, e sono contento di aver
contribuito a far si che la Niaf in
occasione del prossimo gala di metà
ottobre onori l’Accademia dei Lin-
cei.
La John Cabot University è uno
dei due atenei americani storici in
U
Italia. Siete a Roma, in una bellis-
sima sede a Trastevere.
La Jcu è autorizzata ad operare
come College americano dal 1976.
Nel dicembre del 2011 il Ministero
dell’Istruzione ci ha confermato che
i nostri diplomi possono essere am-
messi al fine di accedere alla laurea
magistrale (il +2) nelle Università
italiane, e anche per i concorsi pub-
blici. Siamo parte dell’Associazione
che riunisce le Università Americane
all’estero, la Association of Ameri-
can International College & Uni-
versities, che forma circa 100mila
studenti ogni anno. Siamo accredi-
tati con la Middle States Associa-
tion, che è una delle sei istituzioni
regionali nelle quali si dividono gli
Stati Uniti per la policy di rilascio
di diplomi validi per il sistema for-
mativo americano: diversi nostri
alunni hanno proseguito gli studi
(
i cosiddetti Graduate Studies) con-
seguendo Master’s degree e Ph.D.
in alcune delle più prestigiose uni-
versità americane.
Abbiamo un campus a Via della
Lungara, e un altro sul Lungoteve-
re. E abbiamo preso un bellissimo
residence di 240 posti per i nostri
ragazzi sempre qui a Trastevere sa-
lendo verso il Gianicolo.
Abbiamo molti studenti che do-
po un po’ di tempo da noi vanno
a fare stage in azienda e sono molto
apprezzati: i nostri ragazzi vengono
da più di 130 paesi nel mondo, e
quelli americani provengono da tut-
ti gli Stati Uniti. Abbiamo circa 600
degree seeking students e altrettanti
visiting students, che stanno per un
semestre (solo il 10% rimane un
anno), e puntiamo ad assestarci in-
torno ai 1.400 alunni. Oggi sono
italiane 60 nuove matricole al pri-
mo anno, e in totale gli italiani sono
circa 250.
Quali sono le facoltà presenti alla
Jcu?
Abbiamo 13 corsi di laurea. I
principali sono Affari Internazio-
nali, Business Administration e
Communication. Poi abbiamo Sto-
ria dell’Arte, Letteratura Inglese con
un importantissimo centro per la
scrittura creativa in inglese che ha
avuto quest’estate come Novelist-
in-Residence Joyce Carol Oates,
forse la più famosa scrittrice di nar-
rativa americana vivente. Un’altra
nostra facoltà molto prestigiosa è
quella di marketing: stiamo lancian-
do un Leadership and Enterpre-
neurship Institute nel quale credia-
mo molto al fine di educare i
ragazzi a fare impresa.
Offrite borse di studio?
Sì, abbiamo diverse soluzioni.
Gli italiani con 100/100 alla matu-
rità fanno gratis il primo anno da
noi, e se poi mantengono una me-
dia alta negli anni successivi lo
sconto si assesta tra l’80 e il 50%.
L’8% del nostro bilancio va in bor-
se di studio. Inoltre, per policy dob-
biamo avere ogni anno almeno uno
studente completamente spesato
dalla John Cabot: quest’anno si
tratta di una studentessa del Sud
Sudan, alla quale offriamo l’assi-
stenza per i documenti di visto, lo
studio, i libri, il vitto e l’alloggio. È
una ragazza stupenda e merita de-
cisamente il nostro supporto.
Quest’anno la John Cabot celebra
il suo quarantesimo anniversario.
Cosa avete organizzato per la ricor-
renza?
Faremo un galà a New York il
12
novembre, che sarà un po’ il
compimento finale di un anno di
celebrazioni. Uno dei punti chiave
è stata la laurea honoris causa al
Ministro degli Esteri Giulio Terzi
di Sant’Agata. Avremo un
presiden-
tial gala
con gli
alumni
,
sempre qui
a Roma, e ci sarà un party per il
quarantennale in occasione della
election night
a inizio novembre.
L’Italia è il Paese non anglofono che
attrae il maggior numero di studen-
ti americani. Ogni anno sono circa
35
mila. Qual è a suo avviso il se-
greto di questo successo?
Credo ci siano più motivi. Cer-
tamente, la ricchezza storica e cul-
turale del nostro paese è enorme ed
esercita un grandissimo fascino su-
gli americani: la possibilità di stu-
diare e vivere per un periodo in cit-
tà straordinarie come Roma e
Firenze è una componente fonda-
mentale. Poi c’è anche una grande
ricchezza di contenuti educativi: ol-
tre alle due università americane
con un proprio campus qui, ci sono
circa 150 programmi di altre uni-
versità americane che ogni anno in-
viano studenti nel nostro paese. Pe-
rò non dimenticherei anche la
grande capacità di noi italiani ad
accogliere lo straniero, di farlo sen-
tire a proprio agio: in questo, devo
dire che Roma è magnetica e chiun-
que ci passi un po’ di tempo finisce
per portarsela dentro per sempre.
Se le chiedessimo una cosa, nel
mondo dell’educazione e della for-
mazione, che l’Italia dovrebbe im-
parare dagli Usa, e una che invece
Intervista a Franco
Pavoncello, presidente
della John Cabot
University: «Il sistema
universitario è uno
dei grandi elementi
di successo degli Stati
Uniti. Il concetto
di università secondo
lo schema delle arti
liberali si sta affermando
anche in Italia
e un po’ ovunque nella
società globale di oggi.
Dal punto di vista
inverso, è molto
importante l’attenzione
italiana al livello
di educazione primaria
e secondaria.
Per le età più giovani
c’è una preparazione
più approfondita
in Italia rispetto agli Usa,
dove l’approccio
è più pratico»
potremmo insegnare loro, cosa ci
direbbe?
Indubbiamente il sistema uni-
versitario americano è uno dei
grandi elementi di successo degli
Stati Uniti. Il concetto di università
secondo lo schema delle arti liberali
tipicamente statunitense si sta af-
fermando anche in Italia e un po’
ovunque nella società globale di og-
gi. Dal punto di vista del percorso
inverso, è molto importante l’atten-
zione italiana al livello di educazio-
ne primaria e secondaria: forse c’è
una preparazione più approfondita
nelle più giovani età, in Italia, ri-
spetto a quanto accade negli Usa,
dove c’è un approccio molto prati-
co e meno teorico. È un discorso
generale, ma forse di media la ca-
pacità analitica dei ragazzi italiani
che escono da buoni licei del nostro
paese è leggermente superiore ri-
spetto a quella dei loro corrispettivi
americani. Tutto sommato qui alla
Jcu verifichiamo come sia vincente
il modello che vede uno studente
con una formazione di tipo italiano
fino alla educazione secondaria, che
poi prosegue con un imprinting
universitario di modello americano.
Una delle cose importanti che ci dif-
ferenzia forse da alcune università
italiane, è la struttura e la tempistica
degli studi: finire in 3 anni piuttosto
che in 5/6 significa avere un ap-
proccio dinamico verso le oppor-
tunità che la giovane età incrocia,
le occasioni che la vita mette da-
vanti ai ragazzi. Alla John Cabot
gli studenti sono molto seguiti e an-
che per questo si riesce a non per-
dere il ritmo che prevede l’uscita
dopo i tre canonici anni, evitando
così il fenomeno del parcheggio del-
le menti all’università che produce
frustrazione e guai. Un altro ele-
mento che ritengo sia parte fonda-
mentale del successo del sistema
americano è quello del costo delle
rette: l’impegno è quasi sempre pro-
porzionale al dispendio affrontato
per laurearsi, e siccome il secondo
non è mai basso anche il primo è
alto e forma professionisti capaci
ma anche allenati a lavorare dura-
mente per meritarsi il successo. Nel
sistema italiano forse le basse rette
per tutti – che comunque generano
costi nascosti in termini di tassa-
zione spalmata su tutta la popola-
zione – non aiutano a spingere i ra-
gazzi ad impegnarsi: alcuni
ovviamente lo fanno, ma il sistema
fa poco per spronarli e accendere
un po’ di sana competizione.
L’OPINIONE delle Libertà
VENERDÌ 21 SETTEMBRE 2012
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