II
POLITICA
II
L’eredità di Pini, poco socialista e molto craxiana
di
GIUSEPPE MELE
enuto meno ad agosto, il 75en-
ne udinese Massimo Pini, nella
diaspora socialista veniva indicato
come quello finito a destra. Per gli
altri era il socialista della mutazione,
il craxiano non azzurro, ma nero di
An.
Nell’anno della morte di Mafai,
del bombarolo di via Rasella, delle
madri di giovani uccisi da neofasci-
sti, tutti ammantati da gloria, enfasi
e retorica, per Pini c’è stato poco ri-
spetto. È stato ricordato come uo-
mo potente della prima e della se-
conda Repubblica in Rai ed Iri, poi
in Finmeccanica, come pontiere tra
Mediobanca e Ligresti, come ex ma-
rito della Boniver, come ultimo bo-
iardo di stato per Amato e Tremon-
ti. Ha avuto però più potere Miriam
di Massimo: la prima ha passato
una vita a giustificare errori su er-
rori, il secondo a chiedersi del per-
ché della vittoria perduta. Il
Fatto
e
Dagospia
hanno rappresentato le
esequie di Pini come un siparietto
di socialisti litigiosi, di assenti, di vip
UniCredit presenti. Anche avessero
voluto farlo, con la Mafai non si sa-
rebbero permessi. Ci sono giornalisti
che da un lato assillano i loro cari
di falsa demagogia, dall’altro ten-
gono le tasche piene di fango per i
nemici anche oltre l’esigenza ed il
bisogno tattici. Come i tanti che an-
cora parlano di cinghialone, Rizzo
sul Corrierone scrisse: «Ecco, un al-
tro dei socialisti che cercano dopo
la diaspora del ‘93 con ostinazione
di tornare a galla». Prendeva Pini
per socialista perché aveva le sue
medaglie al valore, i suoi bravi ar-
resti di Tangentopoli (inchiesta edi-
zioni Cosmopoli ’94). Pini però non
era mai stato iscritto al Psi. Non so-
cialista ma craxiano, e la differenza
non è da poco.
Il Pini, amico di La Russa, o con-
sigliere di Moffa presidente provin-
ciale romano, come i Robilotta ed
i Battilocchio eletti grazie al soste-
gno determinante di Storace, pon-
gono problemi che l’assassinio fa-
scista di Matteotti, cui plaudì anche
Gramsci, immancabilmente risve-
glia. Anche i missini tiravano mo-
netine a Craxi sotto lo sguardo be-
nevolo e tifoso delle tgiste rai3 oggi
in tailleur, ieri pasaradan. Spesso ta-
luni liberali rivelano anch’essi un
odio per i socialisti, inferiore solo a
quella dei radicali che a Bettino sep-
pero solo consigliare il carcere, loro
che hanno sempre voluto tutti fuori.
Che dire dei leghisti che pure per
anni hanno avuto i voti socialisti del
nord.
Sono i dilemmi che furono del
socialista filo colonialista Labriola,
del socialista storico Landolfi, delle
giravolte turatiane fra le due guerre,
del filo fascismo di Tasca, ultimo se-
gretario Psi con Saragat prima della
guerra, quando i due misero in mi-
noranza Nenni. Dilemmi per con-
verso degli Accame e degli Aleman-
no, ammiratori di Bettino. Craxi
privilegiava il Risorgimento alla Re-
sistenza. Non a caso il primo inter-
ruppe la guerra fraticida guelfoghi-
bellina, la seconda la riprese. In
famiglia il filone del socialismo tri-
colore fu la prima scommessa di
Stefania, con Roberto Chiarini, che
si divide tra presiedere studi su Cra-
xi, Turati, Mancini e sulla Rsi.
Pini era parte del nazionalismo
socialdemocratico, se non solo de-
V
dopoguerra era all’epoca così anti-
comunista come i seguaci di Saragat
e Mondolfo, ai quali si erano uniti
ex trotskisti, ancora più inveleniti
con i figli di Stalin. L’unico giorna-
lista che diceva la verità in faccia a
Togliatti era il socialdemocratico
Mangione. Perciò sul Psdi calò un
permanente martello di accuse, con-
dotto dal circo mediagiudiziario, di
una pre Mani Pulite, che lo distrusse
con lo scandalo Tanassi ’74. Allora
scioccamente il Psi ne gioì, pensando
di occuparne gli spazi. Perciò i laici
e socialdemocratici di Critica Socia-
le, Parravicini, Ferrara e Caleffi non
si fidavano dell’aiuto di Pini quando
la loro rivista nel ’75 precipitò nella
seconda chiusura per mancanza di
mezzi dopo quella del ’26. Si ricre-
dettero: Pini era, come Craxi, uomo
di socialdemocrazia patria. Non ri-
petè l’esperienza dei massimalisti
che si impossessavano del patrimo-
nio culturale di destra socialista per
poi regalarlo al Pci.
Per incarico di Bettino, il Nostro
trovò gli inserzionisti (Mondadori,
CBS Sugar, la Cariplo, Edilnord) e
la sede provvisoria presso uffici di
Berlusconi, poi sostituì il direttore
Grimaldi con Intini. A deludere è la
Cs di oggi che da una parte ringra-
zia in pompa magna Pini, e dall’al-
tra lo tradisce sostenendo Formica
ed i serratiani odierni in odio ai so-
cialisti patriottici. Pini era tenace:
non come Stefania e Sacconi che ri-
presero per un solo annetto senza
convinzione
Cuore e Critica
, primo
nome della rivista turatiana del
1891.
A buon diritto Pini si disse il bio-
grafo necessario di Craxi. Le sue
700 pagine di quotidianità ed esal-
tazione di un uomo che volevano
uccidere, vilipese come pura esegesi,
sono destinate nel tempo ad appa-
rire vere, bandiera laica, cattolica,
liberale e sociale del mondo non co-
munista e contrario ai poteri forti.
Inutile cercare simboli all’estero in
Reagan o la Tatcher: l’icona unica
della destra sociale, del realismo lai-
co e democratico patriot è solo Bet-
tino, la sua difesa del capitalismo
privato e del mix pubblico privato
di Enimont.
La lezione di Pini mostra la pro-
spettiva generale della nostra storia:
la colpevole ammuina prima di
azionisti, pattisti, repubblicani, ra-
dicali, da Valiani a Vattimo, poi la
confusione odierna dei liberali e ri-
goristi di sinistra e delle improvvi-
sate estive di Giannino. fumogeni
dove nascondere le accuse di Lom-
bardi di mutazione malata del Psi,
o di socialfascismo di Tatò.
Invece no, non si tratta di stare
a galla ad ogni costo. Pochi liberali
e socialisti si dividono la scena, a
destra come a sinistra, perché sono
gli unici che sappiano leggere e scri-
vere. Tra loro i Giannino, per vezzo
e per timore di perdere cattedra o
rubrica, cercano di nascondere
l’identità profonda. Popoli di ex
missini, moderati, nemici dello Stato
invadente, corporativi vagano senza
un mission. A dargliela, semplice,
immediata, sta l’eredità di Pini, ri-
fiuto delle ideologie o loro stravol-
gimento, il suo nazionalismo demo-
cratico e gollista. Qualcuno strillerà
di socialfascismo, fateglielo dire. So-
no 50 anni che ci imbrogliano con
gabbie di nomi e scandali strategici.
Il nostro declino sta ab initio, lì, nel-
la paura dei nomen.
Nessuno, nemmeno
i missini, nel dopoguerra
era all’epoca così
anticomunista
come i seguaci di Saragat
e Mondolfo,
ai quali si erano uniti
ex trotskisti, ancora
più inveleniti con i figli
di Stalin. L’unico
giornalista che diceva
la verità in faccia
a Togliatti
era il socialdemocratico
Mangione.
Perciò i laici
e socialdemocratici
di Critica Sociale,
Parravicini, Ferrara
e Caleffi non si fidavano
dell’aiuto di Pini quando
la loro rivista nel ’75
precipitò nella seconda
chiusura per mancanza
di mezzi dopo quella
del ’26. Si ricredettero:
Pini era, come
Bettino Craxi, uomo
di socialdemocrazia
patria. Non ripetè
l’esperienza
dei massimalisti
che si impossessavano
del patrimonio culturale
della destra socialista
per poi regalarlo al Pci
mocratico, cui non si volle e si vuole
dare un legittimo spazio. Il mutante
D’Alema, lui sì mutante, rimasto
coerente, nel rifiuto della socialde-
mocrazia, ha ragione quando sostie-
ne che il riformismo, di cui ancora
ci si riempie la bocca, era già morto
prima della nascita del Pci. Il rifor-
mismo morì con la belle epoque, poi
ci furono solo i massimalisti, i pat-
tisti, i lombardiani, i radicali ed i
vendoliani, da una parte, e dall’altra
i dirigisti, i socialfascisti, i liberalso-
ciali, i craxiani. Tutti definiti socia-
listi, nome che nel mondo è la Cuba
di Fidel, ma che in Italia significa
l’opposto.
Nessuno, nemmeno i missini, nel
L’OPINIONE delle Libertà
MARTEDÌ 21 AGOSTO 2012
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