di
SERGIO MENICUCCI
AA il Manifesto vendesi».
Un’operazione che nessun
altro giornale ha mai tentato prima,
era scritto una diecina di giorni fa
sulla prima pagina del “quotidiano
comunista” dopo dieci mesi di in-
fruttuosa amministrazione control-
lata. «Una storia gloriosa è alle bat-
tute finale», lasciata anche dai padri
e madri fondatori come Rossana
Rossanda e Valentino Parlato. Cosa
succede? Le difficoltà economiche
per
il Manifesto
,
prima uscita in
edicola il 28 aprile del 1971, ci sono
sempre state. Ora però la riduzione
delle sovvenzioni dello stato si sono
ridotte ad uno dei 3 milioni del go-
verno Berlusconi e i conti non reg-
gono più. Lo spirito di sinistra che
aveva contagiato intellettuali e ci-
neasti a partire da Umberto Eco,
prima del
Nome della rosa
,
non ha
più la forza di un tempo quando
pungolava il Pci e i fondatori del
giornale erano stati espulsi dal par-
tito di Berlinguer e Pajetta. I lettori
sono crollati da 45mila circa a
16
mila, i costi aumentati ed anche
i debiti sono diventati insopporta-
bili per la cooperativa che edita il
quotidiano che non è più quello dei
bei titoli di prima pagina e delle
analisi ideologiche di alto livello.
La lettura negli ultimi tempi è di-
ventata ardua, difficile per il lettore
medio e gli intellettuali non lo ac-
«
A
quistano più, trovando altrove ospi-
talità e recensioni favorevoli. «Entro
il 17 dicembre, era scritto sulla pri-
ma pagina del 3 dicembre, chiun-
que fosse interessato all’acquisto
può presentare una proposta vin-
colante presso uno studio notarile».
Dal direttore Norma Rangeri e dal
vicedirettore, Angelo Mastrandrea,
non filtra notizia di acquirenti. La
cooperativa va avanti aveva rispo-
sto il direttore alla lettera-commiato
di Valentino Parlato, 80 anni e più,
che aveva giustificato il suo addio
dopo quello di Rossana Rossanda
con l’affermazione che «la crisi non
è solo di soldi ma anche di soldati
e di linea. Quel che state facendo
non mi convince affatto». Più dra-
stica era stata la Rosa Luxemburg
della sinistra italiana Rossanda che
ha lasciato il quotidiano dopo 43
anni con una lettera che brucia e in
cui accusava «la direzione e la re-
dazione d’indisponibilità al dialo-
go». La stessa accusa che ha rivolto
il comitato di redazione del Tg3 alla
direttora” Bianca Berlinguer. Gli
addio eccellenti erano cominciati
con il vignettista Vauro, seguito
Marco D’Eramo e Joseph Halevi
che ha preso le distanze perché
«
non si tratta più di un collettivo
ma di un manipolo che per varie
ragioni si è appropriato del giorna-
le». È il tramonto del giornale di
lotte comuniste? Indubbiamente la
crisi economica c’entra, ma è anche
una questione di linea come osserva
Parlato. Con lo sgretolamento del
Pci- Ds il Manifesto aveva perso il
principale oggetto delle sue critiche
mentre continuava a sognare
un’improbabile rivoluzione e gli
studenti lo abbandonavano. Dopo
le elezioni politiche del 2008 e la
nascita del Pd soltanto nel
Manife-
sto
c’è la denominazione “quotidia-
no comunista”. Il mezzo privilegia-
to di dibattito comunista ora è
sull’orlo del fallimento, i lettori qua-
si scomparsi, i vecchi argomenti sor-
passati.
Il Manifesto
è stato, co-
munque, una fucina del giornalismo
di sinistra. Vi sono passati Annun-
ziata, Mineo, Lerner, Ruotolo, Ba-
renghi, Menichini, Fotia, Benni,
Riotta, Paissan, il vaticanista Nuzzi.
E molti ricordano anche le note
d’economia di Tremonti e gli scritti
di Frattini.
II
POLITICA
II
Una domenica per scongiurare il default del Pdl
di
LUCA PAUTASSO
Per il Popolo della libertà l’ultimo
fine settimana avrebbe dovuto es-
sere il momento delle primarie.
Quelle annunciate dal segretario
Angelino Alfano dopo un tormen-
tato ufficio di presidenza del par-
tito. Quelle da lui stesso difese
strenuamente nonostante il parere
contrario di Silvio Berlusconi.
Quelle poi lasciate lentamente mo-
rire d’inedia dopo la ridiscesa in
campo del Cavaliere e la fiducia
fatta mancare al governo Monti.
Paradossalmente, nonostante
tutto, forse è stato meglio così.
Meglio per il Pdl. Meglio anche
per il centrodestra, che al posto di
primarie raffazzonate all’ultimo
minuto, dal regolamento fumoso
e con una sequela di candidati ai
limiti dell’impresentabilità, si siano
celebrati non uno, ma ben due
convegni per decidere il futuro del
partito. Il primo al teatro Olimpi-
co, promosso da Alfano, dalla no-
menklatura del partito e soprat-
tutto da quei montiani del Pdl che
sono raggelati nel sentire il segre-
tario ribadire chiaramente che
l’unico candidato per il Popolo del-
la Libertà resta comunque Silvio
Berlusconi. Il secondo all’Audito-
rium di via della Conciliazione, sul
palco Giorgia Meloni e Guido
Crosetto, e davanti una platea af-
famata di novità e in disperata at-
tesa di qualcuno che glie ne sco-
dellasse davanti qualcuno.
Doveva essere il giorno delle
primarie vere, ed è stato un giorno
di primarie
sui generis
.
Il week-end
appena trascorso, infatti, è servito
a scavare un solco netto tra gli in-
novatori (folli o coraggiosi che li
si voglia considerare) e i mandarini
del partito. O perlomeno tra quei
realisti consapevoli che la vecchia
corazzata in grado di raggiungere
il 38% alle elezioni del 2008 sta
inesorabilmente affondando, e chi
ancora si illude che Berlusconi sia
rimasto lo stesso di 20 anni, e pos-
sa ancora giocare nel ruolo di
deus
ex machina
nel ribaltare la gioiosa
macchina da guerra del centrosi-
nistra con lo stesso spirito del ‘94.
Soprattutto dal podio della
Conciliazione sono arrivati alcuni
segnali significativi. In primis, sul
fatto che quello che sta accadendo
all’interno del partito non è una
guerra fratricida con ex An de una
parte ed ex forzisti dall’altra. Sul
palco delle “Primarie delle idee” si
sono avvicendati aennini, liberali,
cattolici e radicali. Lo stesso mel-
ting pot ideologico lo si poteva ri-
scontrare tra il pubblico. Segno che
la spinta fusionista nel centrodestra
non si è affatto sopita, che non è
una corsa al “si salvi chi può” nella
quale ognuno cerca di fare un pas-
so indietro per il proprio torna-
conto. Il che, tutto sommato, do-
vrebbe rassicurare quelli che nello
stesso momento, dal palco del Tea-
tro Olimpico, si sgolavano nel lan-
ciare appelli all’unità. Ma assieme
a questa spinta fusionista c’è anche
una gran voglia di nuovo, di libe-
rarsi dai grandi vecchi che, nel be-
ne o nel male, hanno fatto il pro-
prio tempo, e di lasciarsi alle spalle
le candidature fatte cadere dall’al-
tro. C’è la voglia di decidere, so-
prattutto. E restituire al popolo del
centrodestra la possibilità di deci-
dere è anche l’unica maniera per
porre un freno all’emorragia di
consensi, soprattutto verso il Mo-
vimento 5 Stelle di Beppe Grillo.
Lo si è visto anche con le primarie
del Partito Democratico, in grado
di risvegliare nell’opinione pubbli-
ca nazionale un’interesse nei con-
fronti della politica che si credeva
ormai morto e sepolto. Ma soprat-
tutto in grado di scuotere dalle
fondamenta la sicumera del M5S,
al quale la politica aveva lasciato
gioco facile nel presentarsi come
unica forza in grado di esprimere
realmente le istanze della gente.
Che fare di tutta questa voglia
di scegliere? Per imbastire delle ve-
re primarie è ormai troppo tardi.
E poi c’è l’incognita montiana.
Un’incognita per modo di dire, dal
momento che il conto alla rovescia
per la candidatura ufficiale del pro-
fessore in loden è già iniziata. Il
primo a dare la propria benedizio-
ne a Mario Monti è stato proprio
il Cav, che pur non sconfessando
il desiderio di tornare in lizza per
Palazzo Chigi si è detto pronto a
fare un passo indietro nel caso in
cui il bocconiano di ferro decida
di mettersi a capo di una grande e
onnicomprensiva compagine mo-
derata alternativa alla sinistra. Poi
è arrivato l’imprimatur delle mag-
giori cancellerie europee, quella te-
desca di Frau Merkel in testa, che
dopo l’esperienza greca stavolta
hanno giocato d’anticipo, senza
aspettare che come dalle urne di
Atene anche da quelle di Roma
uscisse un florilegio di partitini nes-
suno dei quali con una maggioran-
za sufficientemente stabile da per-
mettegli di governare il paese.
Infine, ma non ultimo, è arrivato
l’avallo del Ppe, che ha palesato la
sua netta preferenza a Monti ri-
spetto all’ennesima replica berlu-
sconiana. Manca solo un program-
ma vergato nero su bianco attorno
al quale edificare prima delle urne
la
Große Koalition
all’italiana, chi
è dentro è dentro chi è fuori è fuo-
ri, magari anche con l’ausilio di
eventuali elettori transfughi del Pd
dell’ala renziana. Basterebbe que-
sto per vincere facile. In fondo, il
compito per il quale il premier tec-
nico sono stati chiamati a Palazzo
Chigi non è ancora stato portato
a termine, ed è probabile che alla
resa dei conti nessuno se la senta
di restare con il cerino in mano.
Ma se Monti è davvero l’unico
in grado di mettere d’accordo tut-
ti tra i politici di ala moderata,
c’è da chiedersi quale sia l’appeal
di cui effettivamente gode tra gli
elettori. Perché un conto è l’essere
il premier nominato di un gover-
no tecnico di transizione, o l’es-
sere il candidato scelto a tavolino
nel tentativo di salvare capra e
cavoli. Un’altro è passare il vaglio
delle urne.
Secondo l’ultimo sondaggio di
Spincon, il gradimento degli italia-
ni nei confronti di Mario Monti si
attesta complessivamente al 35%,
con un 27,5% che giudica positi-
vamente il suo operato e un 7,5%
che ne da addirittura un giudizio
molto positivo. Soltanto a marzo,
i supporter montiani superavano
senza troppe difficoltà il 55%. Og-
gi però agli occhi della nazione
Monti è il capo di un governo che
ha scelto sì di risanare i conti mal-
conci dello stato, ma spremendo
fino all’osso il contribuente, anzi-
ché sfrondare le spese, attaccare i
privilegi ed eliminare le rendite di
posizione. E oggi più che mai
nell’opinione pubblica italiana ser-
peggia trasversalmente agli schie-
ramenti politici un malcontento
che poggia soprattutto sull’idea
che una stretta cerchia di privile-
giati riesca sempre e comunque a
sfangarla perché a pagare il conto
sono i cittadini. Un diffuso senti-
mento di pancia che opportuna-
mente cavalcato dal M5S ha per-
messo a Grillo e ai suoi di
macinare consensi enormi. E agli
occhi di una larga fetta dell’elet-
torato nazionale, Monti appare
come colui che non ha voluto
prendere di mira gli sprechi e i pri-
vilegi, o comunque non è stato in
grado di farlo.
Anche per questo domenica è
stato un giorno importante. Per ca-
pire che al centrodestra che verrà
serve meno calcolo e più coraggio.
E che perdere le elezioni e restare
all’opposizione cinque anni potreb-
be rivelarsi meno tragico che per-
dere la faccia e scomparire dalla
scena politica per sempre.
Il Manifesto in vendita
non trova un compratore
La fine del mondo
prima del weekend
uesto potrebbe essere l’ultimo
articolo da me scritto. Ma se
il mondo deve finire, finirá per tutti
mica solo per alcuni. La previsione
Maya non lascia scampo ad alcu-
no: il 21-12-2012 il mondo, “fluff”,
scomparirá, non ci sarà più e con
esso tutti i suoi abitanti (viventi e
vegetanti). Il professor Monti, per
non sapere né leggere né scrivere,
nel dubbio ci ha fatto pagare prima
l’Imu, non si sa mai... Certo, se la
previsione Maya dovesse rivelarsi
farlocca, si rimarrebbe senza un
centesimo in tasca e a gennaio ci
sono altre scadenze da onorare. Ma
é meglio non pensarci... Come è si-
curamente meglio non soffermarsi
ad immaginare a come potrá essere
una vita nell’aldilá senza gli edito-
riali di Travaglio o gli svarioni les-
sicali (e non solo) di Di Pietro. Non
sono un esperto di vita extraterrena
Q
e quindi chiedo ai lettori: ma San-
toro, Vespa, Crozza e Paragone po-
tranno offrire le loro performance
anche lassù? Mi chiedo ancora se
gli “immortali”D’Alema, Berlusco-
ni e Bindi, saranno anch’essi tra-
volti dagli eventi apocalittici previsti
o si limiteranno a controllare che
tutto si svolga come indicato dai
Maya. Signori, sta per finire il mon-
do, manca qualche ora, e voi state
ancora lì a cambiare la lampadina
fulminata in garage, a decidere il
menù della Vigilia? Abbuffatevi in
queste ore, toglietevi ogni sfizio ed
assecondate tutti (ma proprio tutti)
i vostri vizi: insomma vivete la vita
perchè poi non ce ne sará più la
possibilità. Sta per finire tutto, ma
un’ultima curiositá: nell’altro mon-
do ci sará il segnale di Sky? Nel
weekend ci sarebbe Inter-Genoa...
GIANLUCA PERRICONE
L’OPINIONE delle Libertà
MARTEDÌ 18 DICEMBRE 2012
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