II
CULTURA
II
Unamaldestra satira dell’islam
infiamma gli imamestremisti
di
DIMITRI BUFFA
rima di inoltrarci in ciò che
nessuno ha sinora avuto il co-
raggio e l’onestà intellettuale di
fare, cioè recensire il film dello
scandalo “Innocence of Islam”,
possibilmente in chiave descritti-
va, va premessa una cosa non
molto
islamically correct
:
i cri-
stiano copti in Egitto passano di
governo in governo, di dittatura
in futura teocrazia, senza che nes-
suno li protegga dagli assalti “ben
guidati” (proprio
murashiduna
,
i
“
ben guidati”, erano chiamati i
califfi che succedettero a Moham-
med) dei fanatici islamici che ne
fanno strage in continuazione. E
la polizia, come si vede anche in
una scena contenuta nel trailer
da 13 minuti e 51 secondi che è
sinora l’unica materia filmata su
cui fare una descrizione, intervie-
ne solo a cose fatte.
La disinformazione
mainstre-
am
,
subito messasi in moto con
modalità da pilota automatico in
caso di emergenza, ancora vener-
dì su
La7
,
edizione tg dell’ora di
pranzo, trasmetteva un reportage
di repertorio in cui si insisteva a
parlare di una sorta di complotto
sionista ebraico e si parlava di un
regista e di un produttore della
nota lobby israelo-ebraica statu-
nitense. Tutte ormai notorie fal-
sità.
In realtà il film sembra volere
essere, nessuno di noi ha avuto la
possibilità di vederlo nella sua in-
terezza, un
pamphlet
satirico, ma
anche un po’ disperato, dei copti
d’Egitto costretti a convivere sia
con la violenza omicida dei fana-
tici sia con l’indifferenza ipocrita
delle istituzioni che lasciano fare
per quieto vivere.
Le scene girate di per sè deno-
tano una scarsa attitudine con il
montaggio: lo stile che si tenta di
imitare è proprio quello di
Life of
Bryan
dei Monty Python, una sa-
tira per l’appunto dissacrante e
blasfema, sia pure con un lato di
tenero umorismo, della vita di Ge-
sù, che nel film si chiama Brian
che è un nome da
rock star
.
Ma il
film che viene parodiato, e qui si
potrebbe riflettere sulle coinciden-
ze e sulle eterogenesi dei fini, è il
famosissimo, nel mondo arabo,
Risala
.
Una pellicola del 1976 fi-
nanziata nientemeno che da Ghed-
dafi, in due versioni, una araba e
l’altra inglese con la regia di Mou-
P
stafà Akkad. Il film dura circa tre
ore e nella versione inglese l’attore
principale, Hamza, è Anthony
Quinn. Il film è stato girato in pa-
rallelo (
shot-for-shot
)
in due ver-
sioni diverse, una in inglese (
Il
messaggio
)
e una in arabo (
Al-ri-
sâlah
).
Ogni versione aveva un
proprio cast quindi ogni scena ve-
niva girata due volte, prima con
un gruppo di attori e subito dopo
con l’altro gruppo. Nel film non
vengono mai mostrate immagini
del profeta Maometto, in rispetto
dei dettami islamici. C’è solo la
spada a due punte del cugino Ali
che viene inquadrata mentre com-
batte. Alin che sarebbe stato am-
mazzato dopo la morte del Profe-
ta, è colui dal cui pensiero
sarebbe nata l’eresia sciita. La pel-
licola racconta con dovizia di par-
ticolari la storia dell’islam dalla
rivelazione del Corano al profeta
Maometto, alla cacciata dalla
Mecca fino alla riconquista della
stessa da parte dei musulmani. È
l’equivalente arabo dei Dieci co-
mandamenti ed è anche un bellis-
simo film. Quando Gheddafi lo fi-
nanziò pensava di poterci
veicolare il proprio personalissimo
islam, laicizzato, quello del suo li-
bro verde. Nulla a che vedere con
i tagliagole di Bin Laden, dei tale-
bani o degli attuali esponenti di
Al Qaeda nel maghreb. Lo strano
destino di questo sanguinario e vi-
sionario dittatore, che però dal
punto di vista della laicità dello
stato era stato sicuramente meglio
di quanto vediamo oggi nel ma-
ghreb, è che non solo sarebbe lui
stesso morto linciato per mano di
fanatici islamisti ma che dopo la
sua morte la parodia di un film
prodotto e finanziato da lui 46 an-
ni prima avrebbe creato altri di-
sordini e altri morti ammazzati in
nome di una religione che, almeno
per lui, non aveva niente a che ve-
dere con quella dello sceicco al
Qaradawy, la guida riconosciuta
degli “Ikhuan al muslymin” (fra-
telli mussulmani) in Egitto.
Nel trailer ci sono una decina
di scene, alcune un po’ sganghe-
rate e volgari, dal punto di vista
sessuale. Ad esempio si vede lui
Maometto che tenta di mettere la
testa tra le cosce della moglie an-
ziana Kahdija. La quale, anzi, glie-
lo chiede espressamente e gli chie-
de anche di tirare fuori il diavolo
che è dentro di lei.
Roba da film di Alvaro Vitali,
neanche molto ben recitata. Poi
c’è il
pour parler
con la mamma
della giovane Aisha, sposata da
Muhammad a sei anni, secondo
la leggenda riportata negli
hadith
della vita del Profeta.
Hadith
che
hanno la stessa attendibilità sto-
rico scientifica degli episodi nar-
rati nel Vangelo o nella Bibbia: ci
crede chi vuole crederci perchè è
un fedele. Per cui come ci sono
persone non inclini a credere alla
resurrezione di Lazzaro o alla tra-
sformazione dell’acqua in vino alle
nozze di Caana, tantissimi fedeli
islamici si sono spesso interrogati
sul significato di questa sposa
bambina, Aisha, nella vita di Mao-
metto e nei suoi insegnamenti. Al-
cuni ne hanno dedotto,
Ciceri pro
domo eorum
,
specie tra gli sceic-
chi ricchi, capricciosi e impuniti
dell’Arabia saudita e dei paesi
confinanti del Golfo, una sorta di
liceità a avere rapporti sessuali
con minori anche ragazzine. Altri
rilegano più verosimilmente la co-
sa ad allegoria della fede, non a
precetto o ad alibi per farsi dare
in sposa, come ancora oggi acca-
de, una ragazzina di pochi anni in
cambio del denaro offerto alla fa-
miglia. Liquidare tutta questa te-
matica appena illustrata con la
scena che si vede nel trailer in cui
la madre di Aisha risponde al mes-
so di Maometto chiedendo se il
suo capo è un
child molester
,
de-
nota una propensione alla satira
offensiva. Che per un film finan-
ziato da due copti in esilio negli
States va inquadrata anche nell’ot-
tica di un vero e proprio manife-
sto di autodifesa, o di legittima di-
fesa malamente intesa, di un
gruppo religioso perseguitato dalla
maggioranza islamica egiziana.
C’è anche la scena, su accennata,
in cui un gruppo di barbuti sgan-
gherati va a saccheggiare e incen-
diare le botteghe dei cristiani cop-
ti, sempre indicati allo spettatore
con vistose croci al collo, e nel far-
lo uccide una povera e bellissima
malcapitata che muore con un
sorriso, la croce copta in evidenza
sul collo e il sangue che le cola dal
lato della bocca. Dovrebbe essere
una scena drammatica. Subito ri-
dicolizzata da quello che dice do-
po un capo della polizia con faccia
americana che ferma i propri uo-
mini mentre stanno per interveni-
re: “freeze”, cioè “freddatevi”,
sbollite la vostra voglia di accor-
rere in soccorso. E poi aggiunge:
«
We’re not going to take any ac-
tion before everything is over»,
che un sottotitolista potrebbe an-
che tradurre con un «non inter-
verremmo finchè tutto è finito».
Che è esattamente la maniera di
comportarsi tenuta in decine di
occasioni dalla polizia dell’ex raiss
Mubarak quando venivano incen-
diate le chiese e i negozi dei copti
e alcuni di loro venivano trucidati
in mezzo alla pubblica via. Altre
scene fanno vedere Mohammad,
che in realtà sembra Gesù per
l’aspetto fisico, come una specie
di guerriero senza scrupoli che cita
l’episodio biblico dell’assedio di
Gerico e la torah per giustificare
le razzie di uomini, donne e bam-
bini, ma che non riesce a rispon-
dere a un possibile fedele che gli
chiede se nella Bibbia c’era anche
scritto di convertire a forza le per-
sone o altrimenti costringerle a pa-
gare un tributo che viene chiama-
to “extortion”. La scena finale è
un’altra citazione dal film prodot-
to da Gheddafi, e si vede l’attore
che interpreta Maometto brandire
la sua spada sporca del sangue de-
gli infedeli mentre l’immagine si
dissolve nel cerchio di fuoco che
è proprio quello che apre le prime
scene di
Risala
.
Copiata anche la
scena dei cammelli che corrono in
diverse direzioni con ciascuno in
groppa un messaggero del “mes-
saggio “, cioè la “risala”, di Mu-
hammad ai potenti dell’epoca, tra
cui Cosroe di Persia.
Certo l’opera non sembra un
capolavoro ma un libello in video
para ideologico dei copti per fare
conoscere il proprio pensiero ri-
spetto alla
vexata quaestio
dell’“islam religione di pace”. Ma
a parte questo non sembra più
blasfemo di un film di Godard o
di quello su ricordato dei Monthy
Python. C’è però il problema della
suscettibilità indotta, o diffusa e
“
narrata” agli stessi fedeli islamici
da parte dei loro imam (che sono
a un tempo gli istigatori all’odio
e quelli che lamentano gli episodi
di islamofobia in occidente facen-
do da sindacalisti religiosi ai fa-
natici) a fare la differenza.
“
Innocence of Islam”
sembra“Brian
di Nazareth”dei Monty
Phyton, ma il film
che viene parodiato
è in realtà il famosissimo,
nel mondo arabo,
“
Risala”. Una pellicola
del 1976 finanziata
nientemeno
che da Gheddafi,
in due versioni,
una araba e l’altra
inglese con la regia
di MoustafàAkkad.
Il film dura circa
tre ore e nella versione
inglese l’attore
principale, Hamza,
è Anthony Quinn.
Non sembra
più blasfemo di un film
di Godard, ma c’è
il problema della
suscettibilità indotta,
o diffusa e“narrata”
agli stessi fedeli islamici
da parte dei loro imam
a fare la differenza
L’OPINIONE delle Libertà
MARTEDÌ 18 SETTEMBRE 2012
7