re cittadini israeliani sono stati
uccisi a Kiryat Malachi da un
razzo lanciato da Hamas. Una fa-
miglia intera è stata distrutta. Tre
bambini sono sopravvissuti, feriti
gravemente. Si è soliti credere che
gli ordigni dei palestinesi siano ru-
dimentali e sostanzialmente inof-
fensivi. Ma la distruzione della casa
in cui viveva la malcapitata fami-
glia è la dimostrazione pratica che
i razzi Qassam e i più potenti Grad
sono lanciati per uccidere. La stra-
ge poteva essere anche peggiore:
un altro razzo ha colpito una casa
ad Ashdod, un altro ancora ha im-
pattato nelle immediate vicinanze
della scuola di Beer Tuvya. Altri or-
digni sono finiti a Ofakim e Ashke-
lon. Alcuni razzi più a lungo raggio
sono arrivati sino alle porte di Tel
Aviv, nel cuore di Israele. Se le per-
dite fra i civili israeliani sono rela-
tivamente contenute, è solo perché
le difese sono solide: in questi gior-
ni il sistema anti-missile Iron Dome
è riuscito a intercettare ben 145
razzi nemici. E il capillare sistema
di rifugi, costruiti nelle piazze e nel-
le strade delle città meridionali,
permette agli abitanti di ripararsi
dalle esplosioni. Anche l’abitudine,
ormai più che decennale, ad eva-
cuare le aree a rischio al primo se-
gnale di allarme, fa sì che gli israe-
liani riescano a sopravvivere alla
continua pioggia di ordigni. Ma
ciò non toglie che il bombarda-
T
mento di Hamas contro le provin-
ce meridionali di Israele sia costan-
te e letale. E miri a uccidere e ter-
rorizzare quelle popolazioni.
Oggi si dice che l’uccisione dei
tre cittadini israeliani sia una “rap-
presaglia” per l’omicidio mirato di
al Jabari, il leader della branca mi-
litare di Hamas. Ma si dimentica,
in questo modo, che il raid del-
l’aviazione israeliana che lo ha uc-
ciso, è avvenuto dopo il lancio di
ben 120 razzi di Hamas contro il
territorio nazionale di Israele. E
nelle ultime 24 ore questo numero
è raddoppiato. La notizia dell’uc-
cisione dei tre civili israeliani ri-
schia, inoltre, di essere oscurata,
nei media internazionale, dai 15
palestinesi uccisi nel corso della
rappresaglia dello Stato ebraico.
Ma, in questo caso, l’aviazione con
la stella di David non mirava a
massacrare civili (come invece fa
Hamas, deliberatamente): prima
degli ultimi bombardamenti, infat-
ti, gli israeliani avevano diffuso vo-
lantini, in arabo, in cui invitavano
la popolazione a stare lontana dalle
basi e dalle strutture di Hamas.
Coloro che sono rimasti vittime dei
missili piovuti su Gaza erano dun-
que stati avvertiti, come prescritto
nelle leggi di guerra.
Dovrebbe essere chiaro a tutti
chi è l’aggressore e chi l’aggredito,
chi il responsabile di vittime civili
e chi stia semplicemente sparando
in risposta ad un’aggressione. Ep-
pure gli schieramenti internazionali
non cambiano, con l’Egitto di Mo-
hammed Morsi (Fratelli Musulma-
ni) che condanna fermamente solo
Israele e i soli Stati Uniti e Regno
Unito che difendono apertamente
lo Stato ebraico. La protesta di
Morsi è stata plateale. Subito dopo
l’uccisione di Al Jabari, ha richia-
mato l’ambasciatore da Tel Aviv.
Poi ha ordinato l’apertura del va-
lico di Rafah, ufficialmente per per-
mettere l’evacuazione dei feriti di
Gaza. Ma è possibile che, a fron-
tiera aperta, nell’altra direzione
passino anche le armi. Il premier
egiziano ha annunciato ieri che vi-
siterà Gaza, per portare la solida-
rietà del governo del Cairo alla po-
polazione. C’era da attenderselo:
Israele non può più contare su un
Egitto di Mubarak, fedele alla let-
tera del trattato di pace.
(
ste.ma.)
II
ESTERI
II
I sette principi rossi che guideranno la nuovaCina
di
STEFANO MAGNI
a “democrazia” interna al Par-
tito Comunista Cinese ha par-
torito un nuovo Comitato Perma-
nente del Politburo. Che sarà ancor
più autocratico del precedente, sia
nel numero (7 membri invece che
9)
che negli elementi che lo com-
pongono, tutti conservatori e
“
principi” della rivoluzione maoi-
sta, dunque figli e nipoti di chi fece
la Rivoluzione. Non si vede alcuna
innovazione all’orizzonte. Tutto è
all’insegna della continuità. Anche
il sistema politico della Cina, come
quello dell’Urss negli anni ’70 e
’80,
potrebbe essere arrivato alla
sua fase della “gerontocrazia”.
Stupisce la precisione delle pre-
visioni degli esperti. Da un anno a
questa parte si diceva che sarebbe
stato Xi Jinping a succedere a Hu
Jintao alla massima carica della
Repubblica Popolare. E così è pun-
tualmente avvenuto. Si diceva an-
che che Li Kegiang sarebbe stato
il nuovo premier, succedendo a
Wen Jiabao. E anche qui: così è
puntualmente avvenuto. Questa
totale assenza di sorprese dimostra
che i risultati delle “elezioni” fos-
sero predeterminati e preparati da
tempo. Si è trattato di una succes-
sione a tutti gli effetti, come nelle
famiglie dinastiche. Impressione
rafforzata ancor di più dai rapporti
di parentela personali dei nuovi
membri del Comitato Permanente
con gli alti papaveri del Partito. La
riduzione del numero dei membri
è stata giustificata con la necessità
L
di una maggiore “unità del grup-
po”. Di fatto si tratta di una mi-
sura per centralizzare ulteriormen-
te il controllo in poche mani,
evitando “pericolosi deviazionismi
di sinistra” e “opportunismi di de-
stra”, come vuole la tradizione
marxista-leninista. Gli elementi più
riformatori del Partito (“opportu-
nisti di destra”) sono stati sciente-
mente esclusi dal Comitato Perma-
nente. E anche il più esagitato
“
deviazionista di sinistra”, Bo Xi-
lai, è stato cacciato con disonore
dal Partito, sua moglie processata
e condannata a morte (sentenza
sospesa) e il suo fido capo della
polizia Wang Lijun condannato a
15
anni di carcere.
I nuovi leader non hanno altro
orizzonte ideologico che il marxi-
smo ortodosso e nessuna concreta
esperienza al di fuori del Partito.
Xi Jinping è figlio di Xi Zhongzun,
veterano della Guerra Civile Cine-
se (1927-1949) in cui combatté al
fianco di Mao Tse-tung. Il celebre
padre amministrò la regione di Ya-
nan e il suo ruolo fu determinante
nel salvare l’Armata Rossa nell’ul-
tima fase della grande ritirata del
1935 (
la Lunga Marcia) che avreb-
be potuto condurre al suo annien-
tamento. Epurato comunque du-
rante la Rivoluzione Culturale
(1966-1976),
fu riabilitato dal suc-
cessivo regime di Deng Xiaoping.
Il figlio Xi Jinping non ha altret-
tanta storia. Ma ha ereditato dal
padre il “sangue blu” rivoluziona-
rio ed anche lui (come quasi tutti
gli attuali vertici del Partito) ha pa-
tito l’esilio interno a causa delle
epurazioni della Rivoluzione Cul-
turale. Come da tradizione lenini-
sta, il nuovo leader è sia un tecnico
che un “teologo” del marxismo,
perché si è laureato in ingegneria
chimica all’università di Pechino e
successivamente ha conseguito un
dottorato in teoria marxista. Ha
dunque la perfetta impostazione
culturale per pianificare l’economia
e la società cinesi. Per lo mano ha
potuto toccare con mano la realtà
del lontano Occidente in una breve
esperienza del 1985, quando fu
ospitato in una fattoria dell’Iowa.
La provincia di cui era funzionario,
lo Hebei, era gemellata con lo stato
del MidWest americano perché en-
trambe erano accomunate dall’al-
levamento dei suini. È però difficile
trovare traccia di questo contatto
occidentale nella successiva ascesa
di Xi ai vertici della Cina: essendo
capo della scuola del Partito, ha
insegnato la moralità del marxi-
smo-leninismo più ortodosso alle
nuove generazioni dei comunisti.
Tutta la sua carriera è interna al
Partito: prima a capo della sezione
della provincia di Fujan, poi in
quella del Zhejiang e infine capo
del Partito a Shanghai, dove do-
vette sostituire una classe dirigente
corrotta. Non è un caso che (pur
dopo l’epurazione del “giustiziali-
sta” Bo Xilai) Xi insista sulla mo-
ralità e sulla disciplina interna alla
struttura di potere cinese. La pro-
testa contro la corruzione dilaga
fra la popolazione e i comunisti so-
no dunque costretti a dare una ri-
sposta, sia pure limitata e formale.
Prossime epurazioni e condanne
plateali saranno molto probabili.
Xi Jinping ha ottimi rapporti con
i vertici militari ed ha assunto, da
subito, l’incarico di dirigere la
Commissione Militare Centrale. Se
in questi mesi abbiamo assistito ad
una politica estera cinese molto
muscolare, è probabile che in fu-
turo la vedremo continuare.
Li Kegiang, il prossimo premier
cinese, essendo figlio di un funzio-
nario rurale, ha un ascendente me-
no “nobile” rispetto a quello di Xi
Jinping. Laureato in legge, vanta
anche una conoscenza più appro-
fondita del sistema occidentale (an-
glo-sassone nello specifico) avendo
tradotto in cinese “Il giusto pro-
cesso” di Lord Denning, famoso
giurista britannico. Anche la sua
carriera, comunque, è tutta interna
al Partito. Prima è stato discepolo
di Hu Jintao (il presidente uscente)
nella Lega della Gioventù Comu-
nista, poi è diventato capo del Pcc
nelle province del Liaoning e infine
dello Henan, entrando a far parte
del Comitato Permanente nel
2007.
Fino ad ora gli esperti lo
considerano un “cauto riformato-
re”. Ora, però, occorrerà vederlo
all’opera.
Non hanno nulla di sia pur va-
gamente “riformatore”, invece, al-
tri tre uomini del nuovo vertice:
Zhang Dejiang, Yu Zhengsheng e
Liu Yunshan. Il primo ha ricevuto
la sua educazione, non in Cina,
bensì in Corea del Nord, il “regno
eremita” stalinista, custode della
più ortodossa tradizione marxista-
leninista. Cresciuto sotto l’ala pro-
tettiva dell’ex presidente Jiang Ze-
min, ha compiuto tutta la sua
carriera, passando illeso attraverso
lo scandalo dell’epidemia della Sars
(
dilagata nella regione del Guan-
gdong, di sua competenza) nel
2003.
Yu Zhengsheng, altro “prin-
cipe rosso” purosangue, è cresciuto
sotto l’ala protettiva di Deng. Ed
è uscito illeso persino da uno scan-
dalo internazionale, quando suo
fratello, nel 1985, defezionò negli
Usa. Chiunque altro sarebbe stato
epurato. Lui no. Liu Yunshan è
l’uomo della censura sui media e
su Internet. Sua è la responsabilità
per l’oscuramento di tutte le infor-
mazioni non gradite al Partito.
Wang Qishan e Zhang Gaoli
sono gli unici due veri “riformisti”
ed esperti di economia. Il primo è
ormai una celebrità: in qualità di
vicepremier per la finanza è il re-
sponsabile di gran parte dell’ultima
ascesa economica cinese. È anche
l’unico ad aver maturato un’espe-
rienza al di fuori del Partito, come
amministratore delegato della
Construction China Bank. L’altro
tecnico, Zhang Gaoli, è stato l’edi-
ficatore del nuovo quartiere finan-
ziario della città di Tianjin. Questi
due uomini sono l’eccezione che
conferma la regola: la Cina vuole
ancora affrontare il suo riformi-
smo economico, non per trasfor-
marsi, ma per permettere al suo si-
stema di sopravvivere e prosperare.
Finché sarà possibile mantenere il
monopolio politico del Partito.
La pioggia di razzi su Israele
miete le prime vittime civili
L’addiodiRonPaul
quale eredità lascia?
egli Usa, il deputato libertario
Ron Paul, del Texas, ha tenu-
to il suo ultimo discorso alla Ca-
mera. La sua carriera di politico al
Congresso finisce qui, a 77 anni.
Non finisce, anzi inizia solo adesso,
il movimento politico che ha la-
sciato in eredità.
Ron Paul si è distinto soprat-
tutto per i suoi “no”, su cui ha
sempre votato per impedire al go-
verno federale di espandersi. Alla
fine della sua carriera il bilancio è
fallimentare: il governo federale,
oggi, ha poteri molto più vasti e
incontrollabili rispetto al 1976, an-
no in cui il giovane texano era en-
trato per la prima volta nel Con-
gresso.
Il messaggio di addio di Ron
Paul (che potrebbe benissimo es-
sere un “arrivederci”) è un monito
per le generazioni che gli suben-
treranno: «La nostra Costituzione,
che era stata scritta per limitare il
potere e gli abusi del governo, ha
fallito. I Padri Fondatori ci aveva-
no avvertiti che una società libera
poggia su persone morali e virtuo-
se. La crisi attuale dimostra che la
loro preoccupazione fosse più che
fondata». Ron Paul si oppose al
bailout per le banche (voluto da
Bush) e ai successivi piani di sti-
molo per l’economia e l’industria
automobilistica (voluti da Obama).
Della crisi economica ha sempre
dato un’interpretazione opposta
N
rispetto a quella consueta. Invece
che al “liberismo selvaggio”, attri-
buisce la colpa a: «Statalismo, mo-
neta a corso forzoso, pianificazione
economica centralizzata, welfare
e guerre», come ha ribadito nel
suo discorso di addio.
La sua fama si è comunque
consolidata solo nell’ultimo anno,
durante la sua spettacolare (quanto
disperata) campagna per farsi no-
minare candidato presidente per i
Repubblicani. I Tea Party lo hanno
seguito solo in parte, ma attorno
alla sua candidatura è nato un mo-
vimento libertario completamente
nuovo, costituito soprattutto da
giovani. Ha perso le primarie in
quasi tutti gli stati, ma ha lasciato
in eredità il suo movimento, molto
presente su Internet e nei social
media. Ora si vedrà se questo
gruppo avrà un futuro. E quale fu-
turo. Se reggeranno le strutture isti-
tuzionali tradizionali, andrà a co-
stituire il nerbo del nuovo Partito
Repubblicano, raggruppandosi,
magari, dietro al figlio di Ron,
Rand Paul. Se la sconfitta nelle
presidenziali metterà in crisi il
Grand Old Party, però, c’è da so-
spettare che il movimento di Paul
si trasformi in una terza forza. Ma-
gari cavalcando quella grande on-
data di secessionismo che sta som-
mergendo, in queste settimane,
soprattutto il Texas.
GIORGIO BASTIANI
L’OPINIONE delle Libertà
VENERDÌ 16 NOVEMBRE 2012
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