II
        
        
          ESTERI
        
        
          II
        
        
          Index 2013: siamomoltomeno liberi del Ghana
        
        
          di
        
        
          
            STEFANO MAGNI
          
        
        
          il momento della verità sulla
        
        
          libertà economica, nel nostro
        
        
          Paese e nel mondo. È uscita l’ulti-
        
        
          ma edizione dell’Index of Econo-
        
        
          mic Freedom, edito da Heritage
        
        
          Foundation e Wall Street Journal.
        
        
          L’Italia è all’83° posto, su 177 Paesi
        
        
          esaminati. Siamo l’83° Paese più li-
        
        
          bero del mondo e uno dei 2 meno
        
        
          liberi d’Europa, assieme alla Grecia.
        
        
          Nel fanalino di coda dell’Unione
        
        
          Europea. E occorre fare anche una
        
        
          tara, al negativo, sulla valutazione
        
        
          dell’Index. Perché l’Italia risulta es-
        
        
          sere leggermente più libera rispetto
        
        
          all’anno scorso. Mentre chiunque
        
        
          viva nel “Bel Paese” sa che la liber-
        
        
          tà economica non è affatto aumen-
        
        
          tata. Anzi. Quel che permette agli
        
        
          analisti della Heritage una parziale
        
        
          promozione è, sostanzialmente, la
        
        
          leggera riduzione dei costi dello
        
        
          Stato. Ma chiunque segua l’attività
        
        
          del governo, sa che anche sotto
        
        
          Monti la “spending review” è stata
        
        
          più un’operazione cosmetica che
        
        
          un vero e proprio ridimensiona-
        
        
          mento del peso dello Stato. Le tas-
        
        
          se, secondo l’Index, pesano sulle
        
        
          nostre tasche per un massimo del
        
        
          43%.
        
        
          Ma la pressione reale (som-
        
        
          mando tutti i tipi di tasse e impo-
        
        
          ste) è ben al di sopra del 50% e
        
        
          certe attività commerciali pagano
        
        
          anche il 70%. L’Index non vede il
        
        
          vero aumento della pressione fisca-
        
        
          le. E sopravvaluta la reale entità del
        
        
          taglio della spesa pubblica, consi-
        
        
          derando ancora un debito pubblico
        
        
          del 120% sul Pil (mentre invece è
        
        
          cresciuto). La maggior preoccupa-
        
        
          zione per l’Italia, secondo questa
        
        
          classifica, resta la corruzione, la
        
        
          stagflazione, la scarsa libertà nel
        
        
          mercato del lavoro e nel commer-
        
        
          cio. L’effetto Monti, insomma, è
        
        
          riuscito a convincere anche i severi
        
        
          analisti americani dell’Index: par-
        
        
          tito Berlusconi credono che l’Italia
        
        
          sia un posto un po’ migliore in cui
        
        
          vivere.
        
        
          Anche fatta questa tara, la no-
        
        
          
            È
          
        
        
          stra non è certo una situazione in-
        
        
          vidiabile. Siamo, appunto, il Paese
        
        
          meno libero dell’Unione Europea.
        
        
          Dopo di noi c’è solo la Grecia. As-
        
        
          sieme a noi, nel resto del mondo,
        
        
          c’è l’Arabia Saudita, lo Sri Lanka
        
        
          (
        
        
          che, da un punto di vista econo-
        
        
          mico, è leggermente più libero) e la
        
        
          Namibia (leggermente meno libe-
        
        
          ra). Il Ghana? Molto più libero di
        
        
          noi. Già lo avevamo raggiunto nel-
        
        
          la classifica della Transparency In-
        
        
          ternational sulla corruzione, ora
        
        
          sappiamo che lo abbiamo superato
        
        
          di ben 6 posizioni in fatto di man-
        
        
          canza di libertà economica.
        
        
          Questo per quanto riguarda
        
        
          l’Italia. Ma il resto del mondo? Do-
        
        
          ve si vive e si lavora più liberamen-
        
        
          te? Dove, invece, non si muove una
        
        
          foglia senza che lo Stato ci metta il
        
        
          becco? Il Paese economicamente
        
        
          più libero del mondo è e resta
        
        
          Hong Kong. Seguito da Singapore.
        
        
          Due città-Stato, una delle quali
        
        
          nemmeno indipendente (Hong
        
        
          Kong è ufficialmente parte della Ci-
        
        
          na, un regime al 136°, fra i meno
        
        
          liberi) sono i due fari del liberismo.
        
        
          Subito dietro alle due piccole realtà
        
        
          asiatiche, si collocano l’Australia e
        
        
          la Nuova Zelanda, che riconferma-
        
        
          no il loro ruolo di Paesi liberi e
        
        
          prosperi, lontani dal resto di un
        
        
          mondo in crisi. E al quinto posto
        
        
          c’è la Svizzera, che resta, imperter-
        
        
          rita, un esempio di libertà istituzio-
        
        
          nale, economica e individuale in
        
        
          tutta Europa. Forse proprio perché
        
        
          resta fieramente al di fuori del-
        
        
          l’Unione Europea e delle sue buro-
        
        
          crazie. C’è una caratteristica che
        
        
          accomuna tutte queste società: le
        
        
          loro dimensioni ridotte. L’Australia
        
        
          è grande quanto un continente, ma
        
        
          la sua popolazione è la metà di
        
        
          quella italiana. La Nuova Zelanda
        
        
          è un Paese grande quanto l’Italia,
        
        
          ma con una popolazione di 4,4 mi-
        
        
          lioni di abitanti. Hong Kong e Sin-
        
        
          gapore, come detto, sono città-Sta-
        
        
          to. La Svizzera è il piccolo forziere
        
        
          d’Europa. Piccolo è bello, come si
        
        
          dice da un pezzo. Le dimensioni
        
        
          contano, ma non bastano. La cul-
        
        
          tura, la storia e le leggi fanno il re-
        
        
          sto. Sia Singapore che Hong Kong
        
        
          sono ex colonie britanniche e han-
        
        
          no mantenuto viva la tradizione li-
        
        
          berale del vecchio Impero. Australia
        
        
          e Nuova Zelanda sono ex domi-
        
        
          nion dello stesso Impero e hanno
        
        
          conservato la sua struttura molto
        
        
          meglio della stessa madre patria.
        
        
          La Svizzera è un modello di fede-
        
        
          ralismo e liberalismo sin dal Medio
        
        
          Evo e ha fatto da ispiratrice anche
        
        
          per gli stessi primi liberali classici
        
        
          del XVII e XVIII Secolo.
        
        
          Quali sono, invece, i Paesi in cui
        
        
          lo Stato domina completamente
        
        
          l’economia? In fondo alla classifica
        
        
          ne troviamo sempre uno: la Corea
        
        
          del Nord. Il peggio del peggio. Su-
        
        
          bito prima del regime di Pyongyang
        
        
          c’è Cuba, l’ultimo “paradiso comu-
        
        
          nista” dei Caraibi. Nonostante le
        
        
          riforme promesse da Raul Castro,
        
        
          la sua posizione è migliorata di ap-
        
        
          pena 0,2 punti (secondo il punteg-
        
        
          gio usato dall’Index) e dunque resta
        
        
          al 176° posto su 177. Il terzo Paese
        
        
          meno libero del mondo è lo Zim-
        
        
          babwe, dominato dal dittatore ter-
        
        
          zomondista Robert Mugabe. E su-
        
        
          bito prima troviamo il Venezuela
        
        
          del populista Hugo Chavez. Il pro-
        
        
          blema che accomuna tutti questi
        
        
          Paesi in fondo alla classifica è uno
        
        
          solo ed è ben visibile: l’ideologia
        
        
          socialista nelle sue varie declinazio-
        
        
          ni. Cuba e Corea del Nord, infatti,
        
        
          sono gli unici Stati ancora ufficial-
        
        
          mente marxisti-leninisti ortodossi
        
        
          e ricalcano tuttora la struttura della
        
        
          defunta Unione Sovietica. Lo Zim-
        
        
          babwe, benché non ortodosso, ha
        
        
          adottato nel corso degli ultimi 30
        
        
          anni (dopo la fine della Rhodesia
        
        
          britannica) un modello socialista
        
        
          dell’economia, fondato sugli espro-
        
        
          pri delle proprietà dei bianchi e la
        
        
          collettivizzazione delle terre. Il Ve-
        
        
          nezuela di Chavez, negli ultimi 14
        
        
          anni, si è anch’esso basato sugli
        
        
          espropri e sulle nazionalizzazioni
        
        
          della libera impresa.
        
        
          Un discorso diverso vale per tut-
        
        
          ti quei Paesi che sono usciti, stanno
        
        
          uscendo, o vorrebbero uscire dal
        
        
          socialismo reale. Le ex repubbliche
        
        
          sovietiche del Turkmenistan, del-
        
        
          l’Uzbekistan, dell’Ucraina (da quan-
        
        
          do c’è il presidente post-sovietico
        
        
          Yanukovich) e della Bielorussia, so-
        
        
          no ancora tutti classificati “repres-
        
        
          si”, in fondo alla classifica. La Rus-
        
        
          sia, che ha accolto Gerard
        
        
          Depardieu (in fuga dalle tasse fran-
        
        
          cesi) è decisamente messa meglio.
        
        
          È al 139° posto, fra i Paesi “par-
        
        
          zialmente non liberi”. In una zona
        
        
          grigia che l’accomuna ad altri Stati
        
        
          dal comunismo riformato, quali la
        
        
          Cina, il Vietnam, il Laos. Quei Paesi
        
        
          che, al contrario, vogliono uscire
        
        
          dal comunismo e tagliare col pas-
        
        
          sato, stanno diventando un esem-
        
        
          pio per i liberisti di tutto il mondo.
        
        
          Estonia, Lituania, Georgia, soprat-
        
        
          tutto, rientrano nel gruppo dei Pae-
        
        
          si più liberi del mondo.
        
        
          Ma gli Stati Uniti, in tutto que-
        
        
          sto? La “terra della libertà”, che ci
        
        
          si aspetterebbe sempre al primo po-
        
        
          sto in classifica, è invece ferma al
        
        
          10
        
        
          °. Una buona posizione, non c’è
        
        
          che dire. Ma il quadriennio di Oba-
        
        
          ma (e gli 8 anni precedenti di Ge-
        
        
          orge W. Bush) non hanno fatto be-
        
        
          ne alla libertà. Anche nell’Index di
        
        
          quest’anno, gli Usa risultano leg-
        
        
          germente peggiorati, di 0,3 punti,
        
        
          rispetto alla classifica del 2012.
        
        
          Ma è anche inutile fare gli schiz-
        
        
          zinosi sulla mancanza di libertà
        
        
          economica negli Usa. Noi siamo
        
        
          più repressi del Ghana.
        
        
          L’Index of Economic
        
        
          Freedom dà un giudizio
        
        
          benevolo sull’Italia
        
        
          di MarioMonti.
        
        
          Nonostante tutto
        
        
          risultiamo all’83° posto
        
        
          su 177 nella classifica
        
        
          della libertà economica
        
        
          K
        
        
          
            Mario MONTI
          
        
        
          Hong Kong, assieme
        
        
          a Singapore, è ancora
        
        
          il faro della libertà
        
        
          economica del mondo.
        
        
          Le due città-stato
        
        
          asiatiche, di tradizione
        
        
          giuridica britannica
        
        
          guidano la classifica
        
        
          
            segue dalla prima
          
        
        
          
            Monti e i keynesiani
          
        
        
          Ma in realtà, al buon Sechi sfuggono alcuni
        
        
          particolari di non poco conto. In primis, il
        
        
          carattere distorsivo e disincentivante di una
        
        
          simile impostazione. Infatti, come molto cor-
        
        
          rettamente ha scritto il grande Friedrich von
        
        
          Hayek, possiamo immaginare ogni sistema
        
        
          economico come una sorta di fondo comune
        
        
          a cui i più bravi -o i più furbi, come troppo
        
        
          spesso avviene in Italia- attingono maggiori
        
        
          risorse. Ebbene, se attraverso gli eccessi re-
        
        
          distributivi che si celano dietro le ricette key-
        
        
          nesiane si aumenta la platea dei consumatori,
        
        
          restringendo specularmente quella dei pro-
        
        
          duttori, il risultato finale è quello di una so-
        
        
          stanziale paralisi dell’attività economica. E
        
        
          dato che l’attuale eccesso di spesa pubblica
        
        
          e di tassazione sta portando alle massime
        
        
          conseguenze proprio questa evidente disar-
        
        
          ticolazione dell’intera organizzazione pro-
        
        
          duttiva, se si continuasse a perseguire la ci-
        
        
          tata ricetta le cose non potrebbero che
        
        
          peggiorare.
        
        
          Il problema, che Mario Sechi non compren-
        
        
          de, è che l’economia dovrebbe poter crescere
        
        
          attraverso l’offerta. Ovvero attraverso lo svi-
        
        
          luppo dinamico che le fondamentali leggi di
        
        
          mercato determinano nell’azione umana. In
        
        
          parole povere, ciò si estrinseca nella ricerca
        
        
          produttiva, fatta anche di molti tentativi a
        
        
          vuoto, di beni e servizi che siano appetibili
        
        
          sul mercato. Il resto è socialismo reale.
        
        
          
            CLAUDIO ROMITI
          
        
        
          
            L’invasione cinese
          
        
        
          Se il controllo di queste aziende definite
        
        
          “
        
        
          strategiche” dovesse passare in mano stra-
        
        
          niera, il paese subirebbe non solo danni eco-
        
        
          nomici incalcolabili ma anche, di fatto, una
        
        
          consistente perdita di sovranità. Proprio come
        
        
          nel caso di un’invasione militare.
        
        
          L’Italia, ammoniva a luglio la Consob, è in
        
        
          forte ritardo nell’adozione delle contomisure
        
        
          necessarie ad evitare la capitolazione, e il poco
        
        
          che ha fatto lo ha fatto male. «Diversamente
        
        
          dalla Francia e dalla Germania, anche negli
        
        
          anni di massima espansione dell’operatività
        
        
          dei fondi sovrani, l’Italia ha preferito non
        
        
          dettare una disciplina generale a tutela delle
        
        
          imprese strategiche nazionali, intervenendo
        
        
          in tal senso soltanto recentemente, con l’ema-
        
        
          nazione del decreto legge 15 marzo 2012 n.
        
        
          21»,
        
        
          citava infatti il report della commissione
        
        
          di vigilanza sulle borse. Prima del Dl 27/2012
        
        
          esisteva una legge del 1994, poi modificata
        
        
          nel 2003, che conferiva all’autorità statale
        
        
          “
        
        
          poteri speciali” sulle privatizzate ritenute
        
        
          strategiche. Ma la genericità di questi poteri
        
        
          attribuiti in capo allo stato è costata al nostro
        
        
          paese ben due procedure di infrazione da par-
        
        
          te della Commissione europea per «violazione
        
        
          delle disposizioni inerenti la libertà di movi-
        
        
          mento di capitali e di stabilimento».
        
        
          Dopo il Medioriente, ecco la Cina. Un av-
        
        
          versario ancor più pericoloso dal momento
        
        
          che, oltre a poter contare su possibilità eco-
        
        
          nomiche pressoché sconfinate, gioca ancora
        
        
          più sporco, e senza andare troppo per il sot-
        
        
          tile. I cinesi, infatti, hanno da tempo eletto
        
        
          a prassi pratiche scorrette e illegali quali il
        
        
          dumping monetario (ovvero la sottovalu-
        
        
          tazione forzata e la non convertibilità dello
        
        
          Yuan, moneta nazionale cinese), concorren-
        
        
          za sleale, invasione dei mercati stranieri at-
        
        
          traverso la vendita sottocosto dei prodotti
        
        
          cinesi (dumping commerciale), ma anche
        
        
          contraffazione, delocalizzazione, barriere
        
        
          commerciali. Pratiche contro le quali, in Ita-
        
        
          lia così come nel resto d’Europa, non si è
        
        
          mai fatto granché, se non sporadiche quanto
        
        
          inutili proteste verbali.
        
        
          Insomma:
        
        
          
            à la guerre comme à la guerre
          
        
        
          .
        
        
          E
        
        
          se la Cina sta dimostrando di prendere la
        
        
          sfida estremamente sul serio, in Italia non
        
        
          ci siamo nemmeno ancora accorti di essere
        
        
          sotto attacco.
        
        
          
            LUCA PAUTASSO
          
        
        
          K
        
        
          
            Hong Kong
          
        
        
          
            Direttore Responsabile:
          
        
        
          ARTURO DIACONALE
        
        
        
          
            Condirettore:
          
        
        
          GIANPAOLO PILLITTERI
        
        
          
            Vice Direttore:
          
        
        
          ANDREA MANCIA
        
        
          
            Caposervizio:
          
        
        
          FRANCESCO BLASILLI
        
        
          
            AMICI DE L’OPINIONE soc. coop.
          
        
        
          
            Presidente
          
        
        
          ARTURO DIACONALE
        
        
          
            Vice Presidente
          
        
        
          GIANPAOLO PILLITTERI
        
        
          Impresa beneficiaria per questa testata dei contributi
        
        
          di cui alla legge n. 250/1990 e successive modifiche e integrazioni.
        
        
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            Sede di Roma
          
        
        
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            Ufficio Diffusione
          
        
        
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            Progetto Grafico:
          
        
        
          EMILIO GIOVIO
        
        
          
            Tipografia
          
        
        
          L’OPINIONE S.P.A. - VIA DEL CORSO 117, 00186
        
        
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            Organo del movimento delle Libertà per le garanzie e i Diritti Civili
          
        
        
          Registrazione al Tribunale di Roma n.8/96 del 17/01/’96
        
        
          
            L’OPINIONE delle Libertà
          
        
        
          DOMENICA 13 GENNAIO 2013
        
        
          
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