re anni: la gita di Francesco Rutelli
fuori dal Pd è durata all’incirca poco
questo lasso di tempo. Malmenato dal ca-
so Lusi, scaricato da Pierferdinando Ca-
sini, ignorato da Gianfranco Fini (il bel
Francesco pensava davvero di trovare
sponde dal suo vecchio avversario per il
Campidoglio?), Rutelli si è trovato solo
e con le spalle al muro, a capo di una for-
za, l’Api, che è ben presto diventata una
goccia nel mare deserto dei terzopolisti.
Repubblica
ha ospitato lo sfogo-confes-
sione dell’ex sindaco della Capitale: «Alle
elezioni regionali siamo sempre andati
con il Pd - spiega - e in Sicilia sono stato
tra i primi a dichiararmi per Crocetta e
per un’alleanza di centrosinistra. Il punto
è che non si ripeta l’esperienza dell’Unio-
ne condizionata da massimalisti e popu-
listi». Amici come prima, più di prima, ti
amerò senza Vendola. Ma, caro Rutelli,
lei vuole rientrare nel Pd in questo modo?
«
All’ordine del giorno c’è un’alleanza im-
perniata sulla candidatura di Bruno Ta-
bacci alle primarie e sulla prospettiva di
un governo solido che porti avanti le ri-
forme difficili del governo Monti». Quin-
di non dentro il Pd. Posizioni ambigue?
«
Le segnalo che non c’è il bipartitismo
in Italia. Alle ultime politiche i due mag-
giori partiti hanno raccolto i tre quarti
dei voti. Adesso arriverebbero a fatica al
45%».
Verrebbe da dire: e certo, se i big
come Rutelli escono dai grandi partiti,
dopo aver perso una corsa con Alemanno
che solo lui poteva perdere… Ma insom-
ma, come si pone Rutelli oggi nel centro-
sinistra? «Dipende da come si vota. Cer-
T
cheremo di rappresentare nella coalizione
di centrosinistra il centro riformatore».
Abbandonata definitivamente l’idea di
allearsi con l’Udc? «Non voglio fare po-
lemica, perché credo che il centrosinistra
debba alla fine allearsi con l’Udc. Certo,
va ancora capito se c’è l’Udc, o se c’è un
nuovo soggetto politico che per ora mi
pare molto di là da venire. E comunque,
le scelte delle alleanze vanno dichiarate
prima, poi decide il popolo, se non c’è
maggioranza decide il Parlamento».
La parabola del bel Francesco, che do-
po il caso Lusi si è sempre più mosso dal
centro verso il Pd, sta per andare verso
la sua conclusione: l’isolamento in cui
Rutelli si era cacciato stava tramutandosi,
giorno dopo giorno, in una puntata di
Chi l’ha visto?
.
Risultato finale: rientrare
nei giochi dei grandi e candidare Tabacci
alle primarie è, in definitiva, il progetto
di Rutelli. Ma non solo di Rutelli: la can-
didatura di Tabacci è ottima mossa anche
per Bersani: difficilmente metterà i ba-
stoni tra le ruote ad una presenza che po-
trebbe, da sola, togliere un pacchetto di
voti moderati a Pupo Renzi. E siccome
la lotta per le primarie vede attualmente
Renzi messo benino è meglio tutelarsi –
prevenire è meglio che curare. Vuoi ve-
dere che alla fine il sindaco fiorentino
aveva ragione? Tutti contro di lui, tutti
contro il nuovo che avanza, tutti contro
il rottamatore, tutti contro il Pupo indi-
sciplinato ripreso dai vecchi maestri: e
questa volta ben al di là dei “compagni
che hanno sbagliato”.
ENRICO STRINA
II
POLITICA
II
Rutelli fa la pace col Pd
Il“merito”è di Lusi?
Facco lancia un partito
Il nome? Forza Evasori
Marsilio: «Un errore l’appoggio del Pdl ai tecnici»
di
PIETRO SALVATORI
ulla parete dietro la sua scriva-
nia campeggia un poster de
La
compagnia dell’anello
,
il primo li-
bro della trilogia di Tolkien
Il si-
gnore degli anelli
.
Non una locan-
dina del celebre film, ma una
tempera di fine anni Settanta. Mar-
co Marsilio, deputato del Pdl vicino
all’ex ministro Giorgia Meloni, Ci
accoglie con una polo blu, giochic-
chiando con una pallina antistress
di gomma del tutto particolare: ha
la forma di un elmetto da cantiere,
come quelli diventati noti per i ser-
vizi televisivi sui minatori del Sulcis.
«
Una delle ragione della perdita di
appeal del nostro partito – spiega
Marsilio – è la distanza siderale che
si è venuta a creare tra il gruppo di-
rigente e la base sociale che ci ha
sempre sostenuto. Una distanza che
si è acuita con il sostegno al gover-
no dei tecnici».
Appoggiare Monti è stato un erro-
re?
Di sicuro abbiamo avuto molte
difficoltà a far capire ai nostri elet-
tori il perché dell’appoggio al nuo-
vo esecutivo.
Lei è stato critico fin dall’inizio.
Io questo governo non l’avrei
nemmeno fatto nascere. Nel nostro
partito molti, la maggioranza, ha
ritenuto opportuno sostenerlo. Ero
al contrario tra quelli che volevano
andare al voto subito, per dare al
paese una guida che fosse determi-
nata dalle scelte del corpo elettora-
le. Come è noto, la mia è stata una
posizione che nelle sedi di discus-
S
sione del partito è andata in mino-
ranza, e per disciplina mi sono ade-
guato.
Una decisione sofferta?
Rispetto le regole, non mi spa-
ventano le decisioni assunte fuori
da incontri riservati e conciliaboli
ma alla luce del sole. In quell’occa-
sione gli organi decisionali del par-
tito funzionarono in modo traspa-
rente. Da quando si è insediato, ho
votato tutte le fiducie che sono state
sottoposte alla Camera.
Una scelta che, a suo avviso, vi ha
penalizzato?
I nostri elettori non la capiscono
ancora a fondo. E soprattutto non
la gradiscono. Su una lunga serie
di temi dovremmo avere posizioni
antitetiche rispetto a chi ci governa.
Penso al tema della pressione fisca-
le, ma anche a singole tasse come
l’Imu sulla prima casa. Per non par-
lare della debole riforma del lavoro
che è stata introdotta dalla Fornero.
Così mentre il ruolo assunto dal Pd
è apparso da subito abbastanza
chiaro, noi abbiamo iniziato ad in-
goiare rospi amari. E i nostri elet-
tori hanno incominciato ad aste-
nersi nelle consultazioni locali.
Prima dell’estate avete provato a ri-
lanciare su questi temi.
Abbiamo creato “Ripartire da
zero”, un movimento per lanciare
un segnale di discontinuità nel Pdl
e in tutto il centrodestra. Non at-
traverso comizi di piazza, ma tra-
mite assemblee aperte, nelle quali
ognuno può dire la sua, dove si può
trovare la nomenclatura del partito
posta sullo stesso piano del cittadi-
no comune.
Una sorta di sconfessione dei mec-
canismi che regolano la vita del
partito?
Nelle ultime amministrative il
Popolo della libertà, salvo rarissime
eccezioni, è praticamente scompar-
so. Abbiamo registrato in moltissi-
mi capoluoghi percentuali al di sot-
to del 10%, che hanno messo in
evidenza un problema enorme. Cer-
to, ci sono state scelte infelici sul
territorio in alcuni casi, ma quello
che ho evidenziato è un dato siste-
mico, che non può essere imputato
solamente ad errori locali.
Un problema di che genere?
Si riscontra diffusamente l’esi-
genza di una maggiore collegialità
dei nostri organi di autogoverno.
Angelino Alfano aveva tentato la
strada dei congressi.
Ecco, era un tentativo apprez-
zabile. Si sarebbe però dovuti arri-
vare ad un congresso nazionale che
non c’è mai stato. O, per esempio,
si sarebbero dovute rendere elettive
le cariche di responsabilità a livello
regionale, cosa che non è mai stata
fatta. Quello lanciato dal segretario
all’epoca era un percorso faticoso,
che è stato osteggiato da molti. E
avrei preferito che quell’evoluzione
fosse andata avanti per la sua stra-
da, e che, attraverso strumenti come
le primarie, personalità come quelle
di Fini, Casini, Bossi ed anche Ber-
lusconi, lasciassero il campo alle
nuove generazioni.
Tutto è rimasto come prima?
Le grandi scelte strategiche mol-
to raramente passano attraverso un
chiaro processo decisionale.
L’altra novità della quale Alfano
sembrava farsi portatore era pro-
prio quella delle primarie.
Sono favorevolissimo alle pri-
marie. È un metodo di selezionare
la classe dirigente che dovrebbe es-
sere regolamentato dalla legge, al
fine di evitarne storture e condizio-
namenti. Permetterebbe ai cittadini
di avere una reale voce in capitolo
nelle scelte dei partiti.
Non solo per la scelta del candidato
premier, dunque.
Andrebbero fatte sempre, a tutti
i livelli. Lo stesso Silvio Berlusconi,
qualora si candidasse, avrebbe tutto
da guadagnare se si sottoponesse
alle primarie.
È un discorso del tutto chiuso?
Alfano non aveva il carisma del
Cavaliere. Il suo era anche un mo-
do di cercare una più ampia legit-
timazione popolare, per questo ave-
va spinto sull’acceleratore. Era un
vero e proprio colpo d’ala rispetto
al dibattito politichese nel quale sia-
mo ripiombati negli ultimi giorni.
Ma il partito non si deve fermare
a questo.
Ma?
Politicamente il Pdl è assente, o
comunque ha abbandonato, alcuni
temi che dovrebbero essere al cen-
tro della sua azione. Si pensi all’am-
biente, con tutte le sue implicazioni
che interrogano la modernità, dal-
l’agricoltura biologica allo smalti-
mento dei rifiuti passando per le
energie rinnovabili. Stiamo parlan-
do di un modello di città e di so-
cietà che cambiano rispetto al pas-
sato. Argomenti nel codice genetico
di un moderno partito conservato-
re, che abbiamo lasciato per anni
in mano al solo centrosinistra. Pen-
so poi al bistrattato tema della pari
opportunità, sul quale molto ci sia-
mo adoperati quando eravamo al
governo. Ma anche il rapporto tra
etica e politica.
Anche il Pdl deve sollevare una que-
stione etica?
La nostra giusta battaglia anti-
giustizialista non può diventare un
alibi per il malaffare. Il disgusto del-
l’opinione pubblica per l’attuale
classe politica è alimentato a dismi-
sura perché ha la percezione che la
classe politica si preoccupi solamen-
te dei propri interessi. Non possia-
mo limitarci ad accusare le toghe
rosse, su temi come questo vedo
troppo balbettio in casa nostra.
Per il deputato azzurro
«
su molti temi
dovremmo avere
posizioni antitetiche»
«
Le primarie erano
una novità rispetto
al dibattito nel quale
siamo ripiombati»
entre i grandi partiti presentano i loro
programmi con manifestazioni nazio-
nali, in un agriturismo del Monferrato è nata
una nuova formazione per le elezioni del
2013.
Con un nome che a molti parrà un
pugno nello stomaco: Forza “Evasori” (le
virgolette sono solo sul termine di “Evaso-
ri”). A fondarlo è l’editore e giornalista Leo-
nardo Facco, già fondatore del Movimento
Libertario.
Leonardo Facco, come mai scegliere pro-
prio gli “Evasori” per il nome del nuovo
partito?
“
Evasore”, nella definizione dell’Enciclo-
pedia Treccani, è colui che fugge in cerca di
libertà. Voce del verbo “evadere”: “scappare,
fuggire da un luogo in cui si è rinchiusi”. È
chiaramente una provocazione. Però, del re-
sto, trovo ridicoli i partiti che si chiamano
“
Forza Italia” o “Italia dei Valori”. Noi non
viviamo in un Paese civile. E in un’Italia non
civile, non è neppure possibile fare una co-
municazione normale. Si è costretti a esa-
sperare il linguaggio per far capire quali sia-
no i contenuti.
Questa estate è stato lanciato anche il
manifesto di Fermare il Declino, che da al-
cuni media viene definito “turboliberista”.
Come si pone di fronte a quel progetto?
Ho fatto nascere Forza “Evasori” proprio
in contrapposizione a “Fermare il Declino”.
Conosco da anni Oscar Giannino, uno dei
suoi primi firmatari. Aveva preannunciato
la nascita di un partito, contro lo “Stato la-
dro” (erano queste le sue parole). Però il de-
calogo che ne è uscito potrebbe funzionare
in un Paese civile non in uno, come il nostro,
sull’orlo del collasso. Quel programma non
M
fermerà mai il declino, perché è intriso di
quello stesso statalismo che ci ha ridotto in
queste condizioni.
Quante tasse si dovrebbero pagare?
Si deve rivoluzionare non solo la quan-
tità, ma anche la quantità. Noi proponiamo
una tassa piatta del 15%: l’8% andrebbe al
comune (l’amministrazione più vicina al cit-
tadino), il 4% alla provincia o alla regione,
il 3% rimanente allo Stato. Prevediamo una
no tax area per i redditi inferiori ai 10mila
euro. L’Iva non sparisce, ma proponiamo
un’unica aliquota al 5%. Non devono es-
serci patrimoniali sulla prima casa. E, so-
prattutto il sistema deve essere semplificato.
Sarà necessario un “condono tombale”, per-
ché, con Equitalia, si è aperta una quantità
impressionante di contraddittori legali. In-
fine: sarebbe bene separare il potere di tas-
sazione da quello di spesa.
E sul fronte delle spese?
Il debito pubblico deve essere ridotto del
50%
in 2 anni. Si venda tutto il vendibile.
E, soprattutto: abbiamo dai 5 ai 6 milioni
di dipendenti pubblici. Almeno 2,5 milioni
devono essere lasciati a casa, con un anno
di preavviso.
Ma lei cosa direbbe ad un dipendente
pubblico, in vista del suo licenziamento?
Che gli sarà garantito un regime fiscale
molto agevolato per 10 anni: sarà detassato
per i primi 5 anni e dovrà pagare una tassa
piatta del 5% per i successivi 5. Gli direi,
prima di tutto, che lo stipendio che finora
ha portato a casa è solo una regalia. Ma che,
d’ora in poi, sarà padrone del suo futuro,
anche per la sua pensione, che sarà privata.
STEFANO MAGNI
L’OPINIONE delle Libertà
MERCOLEDÌ 12 SETTEMBRE 2012
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