II
ESTERI
II
Le condizioni dei talebani
per il ritiro dall’Afghanistan
di
GIORGIO BASTIANI
Talebani dettano le loro condi-
zioni per il ritiro americano. Un-
dici anni dopo l’11 settembre, quasi
undici anni dopo il rovesciamento
del regime del Mullah Omar (che
aveva offerto ospitalità, sostegno e
basi a Osama Bin Laden), gli uomini
del leader talebano si dicono pronti
ad un cessate-il-fuoco su tutto il ter-
ritorio. Ma… in cambio vogliono
veder riconosciuto un proprio ruolo
politico.
Lo rivela il Rusi, il britannico
Royal United Services Institute, do-
po aver intervistato quattro perso-
naggi ad alto livello: un ex ministro
e un ex viceministro talebani (che
tuttora mantengono contatti con la
leadership del Mullah Omar) e due
mediatori afgani, che hanno una
profonda conoscenza degli insorti
jihadisti. La proposta di cessate-il-
fuoco è tuttora informale, ma per
la prima volta viene considerata
“
concreta” e “condivisa dai vertici
e dalla base” dei combattenti. I Ta-
lebani, prima di tutto, considerano
“
un errore” l’alleanza con Al Qaeda,
che, ribadiscono, è l’unica vera re-
sponsabile dell’attacco dell’11 set-
tembre. Quale condizione prelimi-
nare per il cessate-il-fuoco, gli
jihadisti afgani si dicono pronti a
recidere ogni legame con la rete del
terrore, ormai orfana di Osama Bin
Laden. E infine promettono di non
I
permettere più ai qaedisti di entrare
in territorio afgano. Per garantire la
fine di questa decennale alleanza,
promettono anche la costituzione
di commissioni miste talebane-re-
golari afgane-Isaf. Ma il prezzo del
cessate-il-fuoco e della cacciata dei
qaedisti è molto alto. Prima di tutto,
contrariamente agli accordi finora
proposti dal governo di Kabul (so-
stenuto dall’Isaf, la missione in Af-
ghanistan a guida Nato), i Talebani
non intendono affatto riconoscere
la Costituzione afgana. Non accet-
tano la forma federale dello Stato,
perché ne vorrebbero uno centrali-
sta. Per governarlo meglio? Eviden-
temente sì, considerando che le loro
condizioni prevedono anche un vi-
cepresidente e almeno 5 ministri ta-
lebani per il futuro governo. Si di-
cono disposti a collaborare alla vita
democratica del Paese, partecipando
alle elezioni e mandando loro uo-
mini nel futuro Parlamento di Ka-
bul, ma rifiutano ogni collaborazio-
ne con tutte le forze accusate di
“
corruzione”: termine vago in cui
possono rientrare tutte le formazioni
non talebane. Rifiutano anche la
collaborazione con l’attuale presi-
dente Hamid Karzai, che ritengono
l’origine della corruzione nel Paese.
Quanto alla presenza permanente
delle truppe americane, i Talebani
si dicono pronti ad accettarla, in
modo limitato, anche fino al 2024…
purché “non compromettano l’in-
dipendenza dell’Afghanistan”, né
vengano usate per attaccare i vicini
(
leggasi: Iran e Pakistan). Nessuna
garanzia sul futuro sociale del Paese.
I Talebani non accettano un’educa-
zione mista per maschi e femmine,
anche se si dicono più “flessibili”
sull’introduzione di materie contem-
poranee (come le scienze e la mate-
matica) nelle scuole coraniche.
In sintesi: i Talebani vogliono
tornare al comando, in cambio della
rottura dei legami con Al Qaeda.
Gli americani accetteranno questo
compromesso? Per ora si limitano
a cedere la prigione di Bagram
(
quella delle polemiche sul Corano
bruciato) alle autorità di Karzai.Wa-
shington (chiunque vinca le prossi-
me elezioni) mira decisamente al ri-
tiro da un conflitto ormai
ultra-decennale.
Romney fa marcia indietro sull’Obamacare
K
Mentre Obama si gode il successo della Convention di
Charlotte, Romney fa marcia indietro sull’Obamacare. Dichiara di
volerne conservare alcuni elementi
Iraq, vicepresidente
in fuga per la vita
Rompere ogni legame
conAl Qaeda in cambio
di un ritorno al potere.
Su queste basi,
i combattenti del Mullah
Omar si dicono pronti
ad accettare
un cessate-il-fuoco
Belgio,LeonardCohen rifiuta
una laurea dagli antisionisti
vere un vicepresidente (secon-
da carica dello Stato) in fuga,
con una condanna a morte che
pende sulla sua testa, non è pro-
priamente un indice di stabilità po-
litica. Ebbene: questo è l’Iraq di
oggi. Il vicepresidente Tariq al Ha-
shemi è fuggito in Turchia l’anno
scorso, quando è iniziato un pro-
cesso a suo carico per terrorismo
e banda armata. Al Hashemi, un
sunnita laico e leader del partito
Al Iraqiya, è sospettato per la con-
duzione di atti di terrorismo e
guerriglia contro la maggioranza
sciita del Paese. Nel corso delle
violenze settarie del 2004 e oltre,
avrebbe contribuito a formare
squadroni della morte, intenti a
terrorizzare e massacrare i civili
sciiti. L’equilibrio fra sunniti e sciiti,
benché instabile, ha retto (nel sen-
so che non ha dato adito ad una
vera e propria guerra civile) finché
sul territorio erano presenti le trup-
pe anglo-americane e gli altri con-
tingenti alleati. La crisi attuale è
figlia del ritiro statunitense: dopo
la partenza delle ultime truppe
combattenti nel 2011, lo scontro
latente è arrivato sino alle massime
cariche dello Stato. E rischia, a
questo punto, di dividere il Paese.
Il primo ministro sciita, Nouri al
Maliki, è stato uno dei più accesi
sostenitori del processo ad Al Ha-
shemi. Il verdetto emesso la setti-
mana scorsa non dà scampo: con-
A
danna a morte. E intanto, anche
senza aver bisogno di sentenze, i
morti negli scontri settari conti-
nuano a crescere. Solo la scorsa
domenica sono morti 92 civili ira-
cheni e altri 350 sono rimasti feriti
in una serie di attentati. I sunniti
temono di aver perso del tutto la
loro cittadinanza: erano al potere
ai tempi di Saddam Hussein, ora
sono una minoranza. Accusano
Maliki di voler negare loro le ri-
sorse petrolifere (che sono soprat-
tutto nel Sud sciita) e di non rap-
presentare i loro interessi in sede
istituzionale. Dal suo esilio volon-
tario in Turchia, al Hashemi, ieri,
ha lanciato strali contro la nuova
leadership irachena. Ha accusato
la magistratura irachena di non es-
sere indipendente, ma uno stru-
mento nelle mani del governo scii-
ta. Per questo motivo, si è detto
disposto ad affrontare un processo
equo, ma non in Iraq. Ha accusato
gli americani di voler chiudere un
occhio sulla “condotta disastrosa”
di Maliki, solo per motivi interni,
elettorali. Ed ha lanciato un’accusa
all’Iran, che pure non ha nominato
esplicitamente, quando ha parlato
di “potenze straniere” che condi-
zionano gli affari interni dell’Iraq.
L’Iran ha sempre tenuto un piede
nella porta del vicino, anche ar-
mando le milizie sciite nei peggiori
momenti di guerriglia civile.
(
ste. ma.)
è pure chi argomenta che “lui
se lo può permettere”. Lui è
Leonard Cohen, un mito ebraico
del rock e della poesia. E quello che
si sarebbe potuto permettere è stato
il rifiutare una laurea honoris causa
da un’università non propriamente
filo Israele, anzi spesso in prima li-
nea in discutibili campagne di boi-
cottaggio accademico e commer-
ciale. E con un sito che rimanda a
quello di Hamas.
Tale università è in Europa, a
Gand, in Belgio, e Cohen si è detto
desolato di non potere accettare si-
mile onorificenza da parte di un’isti-
tuzione che da anni nella propria
home page ospita link con uno dei
siti più ferocemente anti israeliani
del mondo. Cioè quello di Hamas.
E difatti sfogliando il sitoweb della
Facoltà di Lettere dell’Università di
Gand,è possibile raggiungere la pagina
dex.htm, Centro per l’Islam in Eu-
ropa (Centrum voor Islam in Eu-
ropa Universiteit Gent). Questo
centro legato all’università, offre
agli utenti un collegamento al sito
(come wi-
kipedia totalmente dedicato al sio-
nismo).
Ad esempio ci troviamo il fa-
migerato antisemita che si firma
Israel Shamir, ma che non è di cer-
to un vero ebreo, o David Duke
(
KKK), che pubblicizza il suo libro
“
supremazia ebraica”. E altre pro-
C’
vocazioni di questo tipo.
Questi collegamenti sono tanto
più deprecabili in quanto si trovano
su un sito web finanziato con fondi
pubblici. Il Centro per le pari op-
portunità belga è stato allertato, ma
dopo la rimozione della pagina
principale, ci sono ancora i colle-
gamenti a questi siti negazionisti e
antisemiti, compresi siti web legati
ad Hamas. Una denuncia è stata
presentata contro il direttore del
Centro per l’Islam in Europa e il
webmaster del sito. Continuano pe-
rò a esserci questi argomenti: omi-
cidio e genocidio nella legge religio-
sa ebraica, presentati da Israel
Shahak. Insomma si tende a far cre-
dere a un razzismo ebraico per vei-
colare l’antisemitismo.
Come se non bastasse, il sinda-
co di Gand, Daniël Termont, ogni
anno permette ai famosi festival di
conferenze anti-israeliane di tenersi
nella propria cittadina. Uno di essi
è rimasto famoso per il gioco in cui
si consentiva ai bambini di Gand
di abbattere a pietrate i fantocci dei
soldati israeliani. Per difendersi dal-
le critiche il webmaster dei link le-
gati all’università della cittadina
belga ha anche fatto diffondere un
comunicato che letteralmente, e un
po’ ipocritamente, recita: «in qua-
lità di webmaster, siamo consape-
voli che il “Movimento internazio-
nale per una pace giusta fra Israele
e (la ancora occupata) Palestina” è
compromessa da parte degli indi-
vidui e/o organizzazioni in possesso
di un fine nascosto antisemita e/o
di un’agenda negazionista. Faccia-
mo distinzioni tra ebraismo e sio-
nismo, e tra antisemitismo e anti-
sionismo, pur respingendo
l’affermazione che la critica delle
politiche di Israele sarebbe di per
sé una sorta di (”nuovo”) antise-
mitismo».
Tutti questi motivi e altri ancora
hanno convinto Leonard Cohen,
che si trovava in tournée in Belgio,
a declinare l’invito di una laurea
honoris causa da un’università e da
un paese che sembrano uscire da
un film di Sacha Baron Cohen (tipo
“
Borat” o “Il dittatore”), cioè posti
dove si raggiungono grotteschi li-
velli di odio anti-ebraico.
DIMITRI BUFFA
L’OPINIONE delle Libertà
MARTEDÌ 11 SETTEMBRE 2012
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