II
POLITICA
II
Passata la buriana, il costodella politica non calerà
di
GIUSEPPE MELE
n sintesi, stringatissima: all’ini-
zio baruffe e scontri interni al
Pdl laziale gli impedirono di pre-
sentarsi al voto sulla piazza più
importante della regione, quella
di Roma. Dopo due anni e mez-
zo, la fine del governo regionale
del centrodx si è consumata su
scontri , accuse e superficialità in-
terne ad un Pdl territoriale già re-
so ombra di se stesso. Su questo
cerchio, di rimpianto e di ridico-
lo, è calata anche la ciliegina del
segretario Pdl Alfano. La sua con-
danna a incandidabile per l’intera
compagine regionale eletta o no-
minata Pdl, è stata superficiale e
frettolosa, dettata dalla stessa in-
dignazione generale che a preteso
la galera per l’ex presidente del
gruppo regionale Fiorito. Il segre-
tario per voler essere mondo tra
i mondi si è comportato secondo
i crismi del ricordato Maltese che
pretendono qualificare come su-
bumani culturali, sociali e delin-
quenziali tutti gli antagonistii del-
la sinistra italiana. Come una
valanga, l’autodefenestrazione, le
reciproche accuse e prese di di-
stanza all’interno della compagine
destra regionale , ha sotterrato
definitivamente prima l’immagine
del Pdl laziale, poi di tutta la de-
stra regionale, infine di tutto il
Pdl nazionale. Contemporanea-
mente da lì si è diffusa la vergo-
gna sul consiglio regionale del La-
zio, poi sui consigli delle regioni
governate dal centrodestra, infine
I
su tutti i consigli e quindi sulle
regioni
tout court
.
La vergogna
attiene al lauto finanziamento au-
tonomo erogatosi dai gruppi re-
gionali partitici. Oltre ed a parte
gli arricchimenti personali, si trat-
ta di un doppione del già ricco fi-
nanziamento partitico nazionale.
Polticamente, questo finanzia-
mento spiega la realtà di un mon-
do di componenti politiche fram-
mentate, anche quando raccolte
dal contenitore bandiera. La loro
divisione e sfiducia reciproca fa
sì che ciascun pezzo cerchi sosten-
tamento e fondi in modo autono-
mo, ai diversi livelli istituzionali.
Ai pezzi partitici si uniscono poi
le molteplici fondazioni personali
e non, più o meno legate ad altre
fondazioni universitarie e banca-
rie. In un momento di crisi e di
massima tassazione, risulta odio-
so l’uso dei miliardi per il finan-
ziamento pubblico dei partiti na-
zionali sommato ai milioni di
quello dei gruppi locali ed all’ul-
teriore flusso milionario indiretto
delle fondazioni.
C’è bisogno dell’abbuffata di-
sdicevole, del quadro urtante, per
far scattare la rabbia dei più. Se
no, si resta rassegnati di fronte a
svariati livelli di finanziamento
partitico, corporativo e di meri
gruppi di pressione. Paradossal-
mente tutto è colpa dell’etica. La
lunga epoca di moralizzazione
vissuta per 30 anni ha voluto eli-
minare la forma partito tradizio-
nale, gli iscritti., le sezioni, le se-
lezioni, le cooptazioni interne ed
i congressi con relative ideologiz-
zazini della soluzione dei proble-
mi concreti. L’etica ha identificato
in questa forma partito, la corru-
zione, l’alterazione del mercato
ed un parlamentarismo voluta-
mente indeciso ed imbelle. In re-
altà senza il tessuto connettivo di
enti politici privati che controlli-
no l’operato di eletti e propagan-
disti, i legami interni tra centro e
periferia e la suddivisione delle
relative risorse, si ottengono solo
miriadi di piccoli e grandi piran-
ha che, tra un voto e l’altro, cer-
cano di riprodursi mangiando il
più possibile, ingoiando qualun-
que cosa gli si pari dinanzi, anche
fosse un soggetto della stessa spe-
cie.
Mentre cala la vergogna sul
Lazio, pari sprechi si segnalano
in Lombardia, Piemonte, Calabria
ed Emilia. Della Sicilia inutile di-
re, dato che il clima elettorale in-
duce a peggiorare l’impeggiora-
bile.
Uguali segnali vengono dalla
Puglia, e dalle gestioni passate e
presenti campane. La vicenda del
discredito regionale viene e verrà
utilizzata per affossare del tutto
il lento cammino federalista, am-
piamente stoppato dal governo
Monti al suo apparire. Per con-
seguenza si riaccendono gli animi
separatisti e antistatali in Lom-
bardia e soprattutto in Veneto.
Altra conseguenza è lo scontro
al calor bianco tra i fautori dei
referendum e delle decisioni d’au-
togoverno delle piccole comunità
e tra i parlamentaristi che vorreb-
bero tornare, in nome della re-
sponsabilità europea e della guida
soffiocante di Monti, a decisioni
di palazzo sulle massime nomine
governative e presidenziali sfug-
gendo ai vincoli del bipolarismo.
Il costo della politica tocca
complessivamente una decina di
miliardi. Passata la buriana ed i
fiorito non calerà, malgrado i
provvedimenti annunciati dal go-
verno, che comunque restano nel-
la piena disponibiltità decisionale
e normativa delle regioni. Questo
spreco si interrompe ridando con-
tenuti a forme partito e chiuden-
do le forme spurie partitiche, da
signori della guerra, delle fonda-
zioni e dei gruppi persionali, ter-
ritoriali e familistici.
Buttando nel cestino tutto
l’impeto delle cose buone, etiche,
e degli antichi costumi, della mo-
ralità. Il bipolarismo italiano non
si giustifica nella divisione tra de-
stra e sinistra; ma tra chi vuole
poter decidere razionalmente e
chi vuole l’indecisione permanen-
te contraddittoria.
Dalla parte della seconda sta
larga parte delle strutture giuri-
diche, culturali e mediatiche, che
sono un vulnus marscescente sen-
za speranza di rimedio.
Si pensi alla Lombardia, mi-
gliore best practise istituzionale,
attaccata, a prescindere dai fatti
soprattutto da parte delle cosid-
dette migliori anime laiche. Si
pensi all’occasione storica di con-
cretizzare Roma Capitale appro-
fittando della in labilità dell’isti-
tuto regionale.
Il sindaco Alemanno, attacca-
to da destra e sinistra, è riuscito
a proteggere partito e Campido-
glio subissati di inchieste giudi-
ziarie. Ora potrebbe fondere
Campidoglio e Pisana, rialzando
la Polverini in una comune opera
effettiva di semplificazione ge-
stionale e di creazione della pri-
ma Grand Ville italiana, secondo
le norme del ’90.
Questa è la politica che serve,
la Roma Capitale attesa, risposta
all’aggressione al federalismo ed
allo sfaldamento della politica
territoriale.
Molto meglio di mille grup-
petti riuniti sotto un grande om-
brellone in nome di tutto e del
suo contrario.
C’era davvero bisogno
di un’abbuffata
disdicevole per far
scattare la rabbia dei più
Altrimenti si resta
rassegnati di fronte
all’enorme flusso
di denaro alla politica
Ma le Regioni servono veramente a qualcosa?
a un sondaggio recentemente
realizzato e commentato da
Renato Mannheimer sul
Corriere
delle Sera
di domenica scorsa,
emerge che, a causa degli scandali
provocati dalla diffusa corruzione
su cui sta indagando la magistra-
tura, due italiani su tre non ap-
prezzano le regioni e le conside-
rano istituzioni in cui avviene la
dissipazione del pubblico denaro.
Il governo Monti, sull’onda
della indignazione popolare, ha
intenzione di rafforzare i control-
li sulla gestione del denaro pub-
blico da parte delle regioni, ed ha,
soprattutto, la volontà politica di
inasprire le sanzioni nei riguardi
di quanti adoperino le risorse, de-
stinate alla regioni, per fini che
oltrepassino ed esulino dalle at-
tività istituzionali. In base alla
modifica del titolo V della Costi-
tuzione, introdotta dal centro si-
nistra, sembrava che nel nostro
paese il ruolo istituzionale delle
regioni dovesse mutare, dando vi-
ta ad uno stato federale.
In realtà questo non è avvenu-
to. Infatti negli Stati Uniti, dove
il federalismo è sorto, gli stati
avevano una autonoma esperien-
za di governo, che ha preceduto
la nascita dello stato federale. Di-
versamente le nostre regioni sono
istituzioni artificiali, che non
coincidono, salvo qualche ecce-
zione, con gli stati preunitari, esi-
stenti prima che si pervenisse al-
l’unità nazionale. Inoltre non vi
è un sentimento di appartenenza
da parte dei cittadini verso le re-
D
gioni, poiché per i cittadini è il
comune, che storicamente ha avu-
to una durata pluri centenaria, a
rappresentare l’autorità dello sta-
to.
A questo proposito occorre ri-
conoscere che, se in seguito al
successo elettorale della Lega
Nord la riforma in senso federale
dello stato ha dominato la vita
politica per tutta la seconda re-
pubblica, in realtà, nel nostro si-
stema istituzionale si è attuata
una semplice devoluzione dei po-
teri dello stato alle regioni.
A questo proposito occorre in-
terrogarsi sui risultati che questo
cambiamento istituzionale, intro-
dotto con la modifica del titolo
V della costituzione, ha reso pos-
sibile. In primo luogo occorre
constatare che la spesa regionale
è esplosa raggiungendo livelli in-
sostenibili, se solo si consideri il
costo annuale della spesa sanita-
ria: 10 miliardi di euro.
Complessivamente i costi delle
regioni rappresentano una parte
notevole del bilancio dello stato.
Inoltre le regioni hanno dimostra-
to di non sapere esercitare i po-
teri e le competenze in materia di
energia ed ambiente, ottenuti in
attuazione della devoluzione. La
gestione della chiusura della di-
scarica di Malagrotta a Roma e
quella legata all’inceneritore di
Parma costituiscono casi emble-
matici e esemplari della difficoltà
delle regioni a risolvere il proble-
ma dei rifiuti prodotti nelle nostre
città metropolitane. Per tali ra-
gione e motivi, secondo alcuni
studiosi, deve cambiare e mutare
radicalmente l’articolazione dello
Stato sul territorio, privilegiando
ciò che funziona rispetto alla
astrazione dei principi generali,
legati alla pura esaltazione del
modello federale e del ruolo degli
enti locali.
Da questo punto di vista, con-
siderata la incapacità delle regioni
ad assumere decisioni capaci di
individuare soluzioni per proble-
mi delicati, come la gestione dei
rifiuti, è giusto che siano nazio-
nalizzate le competenze in mate-
ria di ambiente ed energia, sicchè
sia lo stato a scegliere dove creare
le discariche e gli inceneritori, co-
me avviene nella maggiori demo-
crazie Europee.
Inoltre, per impedire che la
corruzione e il malaffare dilagan-
te comportino la dissipazione di
pubblico denaro, è necessario tra-
sferire la titolarità delle innume-
revoli concessioni e la proprietà
pubblica delle aziende dei servizi
dai comuni e dalle regioni allo
stato, perché li privatizzi, trasfor-
mandole in imprese che siano ca-
paci di offrire servizi di alta qua-
lità.
Non bisogna trascurare la cir-
costanza grave e decisiva che in
passato, come hanno svelato le
inchieste della magistratura, la
criminalità di è annidata proprio
nelle società dei servizi, di cui so-
no titolari i comuni e le regioni.
Ovviamente, questo non significa
che bisogna pensare di abolire e
cancellare le regioni. Tuttavia il
territorio è destinato a mutuare
in futuro e già si parla con insi-
stenza della necessità di dare vita
alle aree metropolitane intorno
ai grandi comuni, sicchè sia pos-
sibile pervenire alla creazione dei
coordinamenti forti a livello delle
macroregioni sui temi ambientali
e su quelli della energia.
Pur riducendo la spesa pubbli-
ca delle regioni e ridisegnandone
il ruolo, in modo da dare attua-
zione al principio costituzionale
delle autonomie locali e territo-
riali, è fondamentale preservare
le competenze della regioni in
materia sanitaria. A questo pro-
posito è giusto rilevare che vi è
stato u ulteriore fallimento delle
regioni, in quanto enti che eroga-
no il servizio sanitario nazionale.
Infatti nelle regioni del nord le
cure mediche offerte ai cittadini,
per livello di qualità, corrispon-
dono agli standard minimi di ef-
ficienza, mentre nelle regioni del
sud accade il contrario con un
aggravio dei costi pubblici del
servizio.
Molto spesso i cittadini del
sud colpiti da malattie, per tale
ragione, sono costretti a recarsi
al Nord per ricevere le cure di cui
hanno bisogno, visto che al sud
il servizio sanitario non è orga-
nizzato in base a parametri di ef-
ficienza.
Per ovviare a questo proble-
ma, è necessario un percorso gra-
zie al quale lo stato recuperi il
suo ruolo nel definire gli stan-
dard nazionali (livelli minimi di
assistenza), in modo più efficace
di quanto sia accaduto finora, e
possa commissariare le regioni
che, per il servizio sanitario, si
trovino sotto gli standard prede-
finiti.
Nel caso in cui una regione
non sia in grado di offrire un ser-
vizio sanitario corrispondente agli
standard minimi di efficienza, è
giusto che sia commissariata, che
lo stato subentri nei suoi poteri e
che l’assemblea regionale sia
sciolta e siano convocate le ele-
zioni. Per quel che riguarda i tra-
sporti, soprattutto in riferimento
alla gestione dei grandi aereo por-
ti come Fiumicino e Malpensa, è
fondamentale che sia lo stato ad
avere una competenza esclusiva
su questo servizio essenziale nel-
l’era della globalizzazione e del
flusso costante dei viaggiatori, per
evitare disservizi e inutili disagi.
Secondo questa riflessione, le
regioni è giusto che continuino
ad avere un ruolo nel nostro or-
dinamento costituzionale, anche
se ne deve essere ripensato il pro-
filo istituzionale e ridimensionate
le competenze, per evitare sprechi
di denaro pubblico e la possibilità
che diventino fonti di corruzione
e malaffare.
Si spera che la discussione sul-
le riforme istituzionali, che si do-
vrà riaprire nella prossima legi-
slatura, sappia avviare una
riforma efficace delle autonomie
locali, di cui c’è urgente bisogno.
GIUSEPPE TALARICO
L’OPINIONE delle Libertà
MERCOLEDÌ 10 OTTOBRE 2012
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