II
        
        
          POLITICA
        
        
          II
        
        
          Non si saperché,mauna sinistradeve pur esserci...
        
        
          di
        
        
          
            GIUSEPPE MELE
          
        
        
          algrado la dispersione del-
        
        
          l’area di destra, la sinistra
        
        
          italiana non ha ancora trovato il
        
        
          bandolo della matassa. Il partito di
        
        
          riferimento, il Pd, viaggia nelle pre-
        
        
          visioni attorno al 30 per cento,
        
        
          quasi il doppio di ogni formazione
        
        
          concorrente. Sette commentatori,
        
        
          analisti, potenti ed intellettuali su
        
        
          10,
        
        
          più o meno decisamente o tie-
        
        
          pidamente, lo sostengono o lo con-
        
        
          siderano il meno peggio, il gruppo
        
        
          più moderato, responsabile, realista
        
        
          nelle condizioni date di scelta in-
        
        
          terna ed internazionale per l’Italia.
        
        
          Malgrado ciò, cresce l’agonia,
        
        
          l’ansia e la frustrazione della sini-
        
        
          stra italiana. Proprio perché sa che
        
        
          il Pd non è di sinistra. Non lo è per
        
        
          la componente blariana di Renzi,
        
        
          né per l’apparato tradizionale, rap-
        
        
          presentativo del lavoro garantito,
        
        
          pubblico come delle imprese e delle
        
        
          banche di area, impegnato, e dispo-
        
        
          sto a tutto nello scopo, a combat-
        
        
          tere i suoi nemici personali.
        
        
          Così a vent’anni dalla fine del
        
        
          Pci, la sinistra non solo non ha tro-
        
        
          vato il modo per realizzare i suoi
        
        
          obiettivi, ma non sa nemmeno qua-
        
        
          li essi siano.
        
        
          Per dare voce alla sinistra, in ge-
        
        
          nere i media scelgono alcune ma-
        
        
          schere o topoi: i leader del sinda-
        
        
          cato rosso Cgil, e negli ultimi tempi
        
        
          quelli della sua categoria più di si-
        
        
          nistra, la Fiom; oppure i capi delle
        
        
          fazioni assimilabili ai più nostalgici
        
        
          del Pci o all’estremismo a sinistra
        
        
          del Pci. Tutti costoro sono paladini
        
        
          dei meno abbienti, del lavoro di-
        
        
          pendente e della difesa dei luoghi
        
        
          di lavoro, vale a dire l’industria.
        
        
          Pur non considerando sufficienti
        
        
          né il welfare attuale, né i risultati
        
        
          della contrattazione, da cui dipen-
        
        
          dono i livelli medi di salari e pen-
        
        
          sioni, difendono entrambi dai tagli
        
        
          della spesa sociale. Pur non ipotiz-
        
        
          zando più la presa del potere della
        
        
          produzione da parte degli operai,
        
        
          difendono le fabbriche, vedendo
        
        
          
            M
          
        
        
          nel potere finanziario un nemico
        
        
          peggiore dell’avversario di sempre,
        
        
          il produttore capitalista.
        
        
          Qui però casca l’asino. Tutti
        
        
          questi leader ed il loro seguito han-
        
        
          no interiorizzato i contenuti delle
        
        
          battaglie antigerarchiche, legalitarie
        
        
          ed ambientali, accolte solo tattica-
        
        
          mente negli anni ’60-’70 dalla si-
        
        
          nistra tradizionale. Le battaglie am-
        
        
          bientali sono riuscite a marchiare
        
        
          profondamente nell’opinione delle
        
        
          masse più povere, di destra come
        
        
          di sinistra, interi settori economici,
        
        
          i più grandi e pervasivi, cioè i più
        
        
          industriali.
        
        
          Ugualmente quelle legalitarie
        
        
          sono riuscite a far identificare la
        
        
          grande economia, come la grande
        
        
          burocrazia, insita nell’intervento
        
        
          pubblico, come grandi alibi per ma-
        
        
          fie e corrutele.
        
        
          La difesa della voce isolata, del-
        
        
          la minoranza, dell’antagonismo so-
        
        
          ciale chiama poi tutti questi leader
        
        
          ad un desiderio inespresso di de-
        
        
          mocrazia diretta.
        
        
          La democrazia diretta, che un
        
        
          tempo il Pci avrebbe condannato
        
        
          come egoismo individuale piccolo-
        
        
          borghese, suona come il contrario
        
        
          della rappresentanza collettiva e di
        
        
          classe. È contraria per sua natura
        
        
          all’organizzazione dei corpi inter-
        
        
          medi e delle forze sociali.
        
        
          Né i leader di sinistra se la sen-
        
        
          tono, come avrebbero fatto un tem-
        
        
          po, di rivendicare l’importanza
        
        
          maggiore del lavoratore, produttore
        
        
          di reddito, a fronte dei rentier o dei
        
        
          ceti improduttivi. La retorica della
        
        
          difesa degli esclusi gli si è ritorta
        
        
          contro. Non è più il puro che epu-
        
        
          ra, ma il più escluso che esclude.
        
        
          Se poi guarda allo scenario in-
        
        
          ternazionale, all’
        
        
          
            homme de gauche
          
        
        
          cadono le braccia. Gli europei sono
        
        
          l’8 per cento della popolazione
        
        
          mondiale, producono un quarto dei
        
        
          70
        
        
          trilioni (migliaia di miliardi) di
        
        
          dollari che costituiscono la ricchez-
        
        
          za del globo e si consumano il 25
        
        
          per cento della sanità e delle pen-
        
        
          sioni del welfare terracqueo.
        
        
          Può la sinistra difendere una di-
        
        
          suguaglianza simile? Deve farlo, se
        
        
          vuole rimanere al suo posto di pa-
        
        
          ladina dei più poveri europei. Non
        
        
          riesce a farlo del tutto, però, pro-
        
        
          prio per la sua storia, fortemente
        
        
          terzomondista.
        
        
          I nuovi popoli, accrescono ogni
        
        
          anno la propria fetta di ricchezza.
        
        
          Assaltano il primato delle percen-
        
        
          tuali europee.
        
        
          Erodono velocissimamente quel-
        
        
          la della popolazione, ma la sinistra
        
        
          ha fatto sue le battaglie dell’aborto
        
        
          (16
        
        
          milioni di nati in meno) e del-
        
        
          l’immigrazione (5 per cento degli
        
        
          italiani oggi). I nuovi popoli ero-
        
        
          dono rapidamente produzione e Pil
        
        
          europei, con dirigismo autoritario
        
        
          e capitalismo selvaggio, che i sini-
        
        
          stri non condannano proprio come
        
        
          non vedeno le mafie, le illegalità,
        
        
          l’evasione fiscale imperanti tra 30
        
        
          milioni di immigrati in Europa.
        
        
          Malgrado la lentezza con cui i
        
        
          nuovi popoli espandono il welfare;
        
        
          nondimeno la loro crescita mette
        
        
          sotto minaccia il nostro, “linea ma-
        
        
          ginot” della sinistra. I welfare eu-
        
        
          ropeo ed italiano pesavano il 26
        
        
          per cento dei reciproci Pil (11,5 e
        
        
          2,2
        
        
          trilioni di euro). La spesa sani-
        
        
          taria procapite di tremila dollari in
        
        
          Italia, di più di ottomila dollari ne-
        
        
          gli Usa, precipitava ai mille nel
        
        
          mondo.
        
        
          Fino al 2009; dopo è stata ca-
        
        
          duta libera ovunque. La sinistra ve-
        
        
          de illuminarsi tre volte di seguito
        
        
          il refrain sinistro di un numero -
        
        
          15
        
        
          milioni: i mai nati, tanti, i pen-
        
        
          sionati, troppi, i giovani, troppo
        
        
          pochi.
        
        
          Allora i sinistri vanno per vie
        
        
          traverse. Enfatizzano i guai dei 2
        
        
          milioni di precari, le cui difficoltà
        
        
          stanno nella difesa ad oltranza di
        
        
          8
        
        
          milioni di lavoratori garantiti. Di-
        
        
          fendono l’esigua minoranza di gay
        
        
          e lesbiche, il cui desiderio di fami-
        
        
          glia è schiacciato dall’aumento
        
        
          massivo di rinunce a metter su fa-
        
        
          miglia.
        
        
          Fanno dei magistrati i propri
        
        
          eroi, da Violante a Caselli, Di Pie-
        
        
          tro, De Magistris, Ingroja. Li scam-
        
        
          biano per poveri tribuni plebis
        
        
          quando sono ricchi, burocrati, az-
        
        
          zeccagarbugli, nicchia corporativa
        
        
          cresciuta tra le contraddizioni della
        
        
          parte più arretrata, meno industria-
        
        
          lizzata e affatto europea del paese.
        
        
          L’ex girotondino prof Ginsborg
        
        
          denuncia che i segretari di Rifon-
        
        
          dazione e dei Verdi, Ferrero e la Fe-
        
        
          derazione della Sinistra, i Pardo
        
        
          confluiti nell’Idv di Di Pietro hanno
        
        
          occupato le liste del movimento
        
        
          arancione di Rivoluzione Civile di
        
        
          Ingroia, scacciandone i puri giusti-
        
        
          zialisti. La sinistra però deve pur
        
        
          esistere; magari nascosta dietro le
        
        
          ambigue figure del magistrato e di
        
        
          Vendola, oppure impacciata dietro
        
        
          il dirigismo debole del capitalismo
        
        
          delle regioni rosse.
        
        
          Senza comunismo, senza pro-
        
        
          duttori, senza operai, quasi senza
        
        
          voce ora che i suoi giornali muiono
        
        
          uno dopo l’altro per consunzione
        
        
          spontanea.
        
        
          Deve pur esistere; non può am-
        
        
          mettere che la vera sinistra sia la
        
        
          Lega, o la destra sociale o la voglia
        
        
          di Iri di Tremonti. Il prof Ginsborg,
        
        
          inglese ma docente a Firenze, non
        
        
          è operaio, né (in senso letterale)
        
        
          produttore, né comunista.
        
        
          Accanto a lui come lui, prote-
        
        
          stano la Guzzanti, Freccero, Viale.
        
        
          Poi spunta anche Cremaschi. Ap-
        
        
          punto, non si sa perché ma la sini-
        
        
          stra deve esserci.
        
        
          Malgrado il problemi
        
        
          della destra e i sondaggi
        
        
          favorevoli al Pd,
        
        
          nella sinistra italiana
        
        
          crescono l’agonia,
        
        
          l’ansia e la frustrazione.
        
        
          Proprio perché il Pd
        
        
          non è affatto di sinistra
        
        
          K
        
        
          
            Militanti della FIOM
          
        
        
          Pur non ipotizzando
        
        
          più la presa del potere
        
        
          della produzione
        
        
          da parte degli operai,
        
        
          la sinistra difende
        
        
          le fabbriche: il potere
        
        
          finanziario è un nemico
        
        
          peggiore del capitalismo
        
        
          
            segue dalla prima
          
        
        
          
            Quel matrimonio
          
        
        
          
            d’interesse
          
        
        
          (...)
        
        
          Sempre che, ovviamente, la Lega non
        
        
          si lasci trascinare dall’entusiasmo per la
        
        
          possibilità di dare vita alla macroregione
        
        
          del Nord e decida di tornare a parlare di
        
        
          secessione e di rottura dell’unità dello sta-
        
        
          to. E sempre che, ovviamente, il Pdl non
        
        
          si lasci trascinare nella deriva localistica
        
        
          dei leghisti e dimentichi di essere un par-
        
        
          tito di dimensione e di vocazione nazio-
        
        
          nale evitando di affiancare al cosiddetto
        
        
          “
        
        
          patto per il Nord” un analogo “patto per
        
        
          il Sud” con le forze politiche più radicate
        
        
          nelle regioni meridionali.
        
        
          Se la Lega dovesse
        
        
          rinunciare ai propo-
        
        
          siti secessionisti ed il
        
        
          Pdl riuscisse a chiu-
        
        
          dere patti simili a
        
        
          quello con la Lega
        
        
          anche con “Grande
        
        
          Sud” di Gianfranco
        
        
          Miccichè e con le li-
        
        
          ste della società civi-
        
        
          le nate spontanea-
        
        
          mente
        
        
          nel
        
        
          Mezzogiorno, la pro-
        
        
          spettiva potrebbe
        
        
          tornare ad essere
        
        
          non più quella del-
        
        
          l’onorevole sconfitta
        
        
          del 2006 ma quella
        
        
          di una possibile vit-
        
        
          toria parziale.
        
        
          In due mesi di tempo
        
        
          recuperare i voti sfuggiti verso l’astensione
        
        
          potrebbe non essere impossibile. In fondo
        
        
          di Berlusconi si può dire tutto il male pos-
        
        
          sibile.
        
        
          Tranne che non sappia fare campagna elet-
        
        
          torale e non sappia compiere le rimonte.
        
        
          Anche quelle più difficili!
        
        
          
            ARTURO DIACONALE
          
        
        
          
            Anno nuovo,
          
        
        
          
            squallore vecchio
          
        
        
          (...)
        
        
          E Monti? Tutto, o quasi, avrebbe po-
        
        
          tuto fare il professore entrando in politica.
        
        
          E invece sulla scheda per la Camera trove-
        
        
          remo associati al simbolo che porta il suo
        
        
          cognome quelli di Casini e Fini. Ha scelto
        
        
          un’operazione centrista, neo-democristiana
        
        
          di rito moroteo, cioè destinata a guardare
        
        
          a sinistra dopo il voto, offrendosi come zat-
        
        
          tera di salvataggio per il duo Casini-Fini.
        
        
          Altro che scelta civica, una scelta cinica,
        
        
          con un’agenda che più che un programma
        
        
          elettorale o un manifesto politico somiglia
        
        
          ad una lezioncina per l’apertura dell’anno
        
        
          accademico.
        
        
          
            FEDERICO PUNZI
          
        
        
          K
        
        
          
            Paul GINSBORG
          
        
        
          
            Direttore Responsabile:
          
        
        
          ARTURO DIACONALE
        
        
        
          
            Condirettore:
          
        
        
          GIANPAOLO PILLITTERI
        
        
          
            Vice Direttore:
          
        
        
          ANDREA MANCIA
        
        
          
            Caposervizio:
          
        
        
          FRANCESCO BLASILLI
        
        
          
            AMICI DE L’OPINIONE soc. coop.
          
        
        
          
            Presidente
          
        
        
          ARTURO DIACONALE
        
        
          
            Vice Presidente
          
        
        
          GIANPAOLO PILLITTERI
        
        
          Impresa beneficiaria per questa testata dei contributi
        
        
          di cui alla legge n. 250/1990 e successive modifiche e integrazioni.
        
        
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            Ufficio Diffusione
          
        
        
          TEL 02.6570040 / FAX 02.6570279
        
        
          
            Progetto Grafico:
          
        
        
          EMILIO GIOVIO
        
        
          
            Tipografia
          
        
        
          L’OPINIONE S.P.A. - VIA DEL CORSO 117, 00186 ROMA
        
        
          
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            Organo del movimento delle Libertà per le garanzie e i Diritti Civili
          
        
        
          Registrazione al Tribunale di Roma n.8/96 del 17/01/’96
        
        
          
            L’OPINIONE delle Libertà
          
        
        
          MERCOLEDÌ 9 GENNAIO 2013
        
        
          
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