II
CULTURA
II
La sinistra e il declino dell’intellettuale organico
di
CORRADO OCONE*
ei giorni scorsi ho parteci-
pato ad una riunione a por-
te chiuse con filosofi, storici ed
editorialisti di area progressista
organizzata dal Centro Studi del
Pd, alla presenza del segretario
nazionale Pier Luigi Bersani e del
vicesegretario Enrico Letta. Tutti
i partecipanti si sono espressi il-
lustrando, nei minuti che avevano
a disposizione, cosa si aspettano
dal partito e quali ritengono sia-
no le urgenze che dovrebbero im-
pegnare una forza politica di cen-
trosinistra che aspira al governo.
Ho condiviso in pieno il senso
generale dell’iniziativa, così come
illustrato all’inizio dei lavori dal
responsabile del Centro Studi,
Gianni Cuperlo: è il tempo di
ascoltare altre competenze intel-
lettuali, e in primo luogo quella
dei filosofi, per non appiattire il
dibattito intellettuale pubblico
sulla voce di economisti e polito-
logi. Ho anche molto apprezzato
la presenza costante e attiva ai
lavori, che sono durati un’intera
giornata, del segretario.
Ciò che mi ha forse meno
convinto è la convergenza di opi-
nioni che mi è sembrata a un cer-
to crearsi fra i rappresentanti di
una prospettiva filosofica di etica
pubblica, lungo la direttrice di
pensiero Habermas-Rawls, e un
certo modo di intendere la poli-
tica che non è oggi riproponibile.
Quasi nessuno dei filosofi presen-
ti ha avuto la forza di dire, con
l’enfasi necessaria, che una forza
responsabile di sinistra, anche se
qualora prendesse direttamente
in mano le leve del governo, non
può che continuare l’opera di ri-
sanamento avviata dal cosiddetto
“governo tecnico”. In questo mo-
mento, e temo ancora per molto
tempo ancora, non si può che
realisticamente accettare le prio-
rità e il quadro di azione indivi-
duato da Monti. E di questo an-
che i filosofi dovrebbero essere
consapevoli. Al contrario, nell’in-
contro, si è molto insistito (anche
da parte del gruppo dei filosofi
“conflittualisti”) sulle virtù di
una giustizia sociale che, per co-
me è stata proposta, mi è sembra-
ta essere concepita in modo del
tutto astratto.
Non solo, voglio dire, non si
teneva conto delle attuali e non
certo rassicuranti contingenze
economico-finanziarie, ma nem-
meno dell’emergere di nuovi sog-
getti deboli (in primis i giovani e
i precari) che reclamano a diritto
politiche di garanzia più univer-
sali rispetto a quelle che darebbe
oggi il vecchio Welfare State. Cer-
to, è stato positivo che si sia fatto
riferimento da parte di alcuni a
quello che potrebbe essere un in-
sieme di idee in qualche modo
più utile all’opera di ricostruzione
di una cultura politica della sini-
stra: quello della tradizione ita-
liana di pensiero realistico e sto-
ricistico. Da Machiavelli a
Gramsci passando per Bruno, Vi-
co e Croce, per intenderci.
Quello della nostra “filosofia
civile” è in effetti un orientamen-
to di pensiero che ha oggi ha la
possibilità di riconquistare un
proprio ruolo e di riproporre, ov-
viamente in modo critico e rin-
N
novato, le virtù di un modo di
pensare “impuro” e legato in mo-
do stretto alle forze della vita (in
primo luogo la politica e la sto-
ria).
Mai come ora, infatti, la situa-
zione è propizia: le tradizioni di
pensiero neoilluministiche da una
parte e “deboliste” dall’altro si
sono svuotate ed esaurite.
Qui però sorgono una serie di
conseguenze, che ho cercato di
mettere in luce nel mio interven-
to: prima di tutto per
Italian
Theory
si deve intendere in senso
stretto la tradizione suddetta,
senza indebite estensioni a pen-
satori anticapitalisti come Tronti
o Agamben (secondo il modello
che Roberto Esposito ha esposto
nel suo
Pensiero vivente
); in se-
condo luogo, bisogna essere con-
sapevoli che la vicenda di cui ci
si propone di riannodare le fila
si è interrotta nel secondo dopo-
guerra per motivi politici (e di
politica culturale) ben precisi; in-
fine,
last but not least
, si deve
prendere atto del fatto che ogni
tipo di “filosofia della storia”,
anche la più sottintesa o implici-
ta, non è oggi proponibile. Il tem-
po degli intellettuali organici è fi-
nito per sempre. E per fortuna.
Né i filosofi possono dare “ricet-
te” da “applicare” ai politici.
La filosofia non ha alcuna pri-
mazia: sarebbe presuntuoso e po-
co filosofico già solo pensarlo.
Ecco, se un senso può avere la fi-
losofia per la politica è quello ri-
chiamare sempre alla complessità
delle situazioni, alla necessità di
uscire dalla crisi non con irreali-
stiche “scosse” o con la semplifi-
cazione e la demagogia populisti-
che. Se il “ritorno alla politica”
deve avere un senso, non può
non essere che questo. Bisogne-
rebbe dire con più coraggio che
la politica democratica è basata
sulla mediazione e sui passi lenti.
La parola riformismo è out solo
per i modaioli, non può esserlo
per chi pratica con intensità l’arte
del pensiero. Perché nell’incontro
romano nessuno l’ha pronuncia-
ta? L’impressione, di cui il Pd e il
suo segretario non hanno alcuna
responsabilità, è che i filosofi di
area siano tutti un po’ in ritardo.
*Corrado Ocone si occupa di fi-
losofia e teoria politica. Scrive
su Reset e Mondoperaio di cui è
anche in redazione. Lavora alla
Luiss Guido Carli, ove ha rico-
perto negli anni vari incarichi di
direzione. I suoi ultimi libri sono
Profili riformisti e Liberali d’Italia
(con Dario Antiseri). Questo arti-
colo è pubblicato per gentile
concessione della rivista riformi-
sta online QdRmagazine.it diret-
ta da Antonio Funiciello.
Dobbiamo prendere atto
del fatto che ogni tipo
di “filosofia della storia”,
anche la più sottintesa
o implicita, non è oggi
proponibile. Il tempo
degli intellettuali organici
è finito per sempre.
E per fortuna.
Né i filosofi possono
dare“ricette”
da“applicare”ai politici.
La filosofia
non ha alcuna primazia:
sarebbe presuntuoso
e poco filosofico già solo
pensarlo. Se un senso
può avere la filosofia
per la politica è quello
richiamare sempre
alla complessità
delle situazioni,
alla necessità di uscire
dalla crisi
non con irrealistiche
“scosse”
o con la semplificazione
e la demagogia
populistiche.
Se il “ritorno
alla politica”deve avere
un senso, non può
non essere che questo.
Bisognerebbe dire
con più coraggio
che la politica
democratica è basata
sulla mediazione
e sui passi lenti.
La parola riformismo
è out solo per i modaioli,
non può esserlo
per chi pratica
con intensità
l’arte del pensiero.
L’impressione,
di cui il Pd
e il suo segretario
non hanno alcuna
responsabilità,
è che i filosofi di area
siano tutti
un po’ in ritardo
L’OPINIONE delle Libertà
MARTEDÌ 7 AGOSTO 2012
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