II
ESTERI
II
Israele condannato...e stiamoparlando solodi case
di
STEFANO MAGNI
na singola dichiarazione del
governo israeliano sta provo-
cando un’improvvisa escalation di
reazioni diplomatiche. «(La deci-
sione dell’esecutivo Netanyahu,
ndr) rappresenterebbe un colpo
fatale alle rimanti chance di una
soluzione di due Stati per due po-
poli», stando alle parole del segre-
tario generale dell’Onu Ban Ki-
moon. Ma in cosa consiste questa
decisione, capace di ammazzare
sul colpo un processo di pace?
Esaminare il terreno per la costru-
zione di 3000 case in Cisgiorda-
nia. Sì, stiamo parlando di case,
abitazioni civili, più le loro neces-
sarie infrastrutture di luce, gas, te-
lefono, strade e fogne. Non stiamo
parlando di razzi lanciati, nemme-
no di missili puntati contro un ne-
mico, o di un’invasione del suo
territorio, né tantomeno di un ge-
nocidio o di una pulizia etnica.
Ma di: nuove case.
Eppure la reazione internazio-
nale è pari a quella che seguirebbe
lo scoppio di un conflitto. Il mini-
stro degli Esteri britannico ha mi-
nacciato l’ambasciatore israeliano
di “dure reazioni” nel caso il piano
di costruzioni dovesse andare
avanti. «Deploriamo la decisione
del governo israeliano – si legge
nella nota del Foreign Office di
Londra – di costruire 3000 nuove
case e di sbloccare il piano di svi-
luppo della zona E1. Questo pro-
getto ostacola la soluzione che mi-
ra alla costituzione di due Stati».
U
A Parigi l’ambasciatore israeliano
è stato convocato al Ministero de-
gli Esteri per subire una lavata di
capo da un alto funzionario. Sia
Parigi che Londra hanno avvertito
Gerusalemme che, se il piano do-
vesse procedere, ritirerebbero i lo-
ro ambasciatori. E stiamo parlan-
do di un piano di costruzione di
nuove case, è bene ricordarlo.
Francia e Gran Bretagna sono
membri permanenti del Consiglio
di Sicurezza dell’Onu. Così come
lo è la Russia, che sul sito del Mi-
nistero degli Esteri ha pubblicato
una nota ufficiale contraria al pia-
no israeliano. Che, come recita la
nota stessa, potrebbe avere «un
impatto molto dannoso per la pa-
ce». La costruzione di 3000 nuove
case, dunque, suscita grandi pre-
occupazioni a Mosca. Gli stessi
uomini che difendono il dittatore
Bashar al Assad, anche a fronte di
un massacro che ammonta ormai
a più di 30mila morti (fatti a po-
che decine di km da Gerusalem-
me), sono preoccupati per il fatto
che nuovi villaggi abitati da ebrei
possano danneggiare la quiete di
quella regione.
Stevie Wonder, nel suo piccolo,
per protesta contro la decisione di
Netanyahu, ha annullato il suo
prossimo concerto in Israele. «Da-
ta l’attuale delicata situazione nel
Medio Oriente e con un cuore che
ha sempre pulsato per l’unità del
mondo, io non suonerò», recita il
suo laconico comunicato.
È la conferma che il doppiope-
sismo, che ha sempre caratteriz-
zato la narrativa della guerra me-
diorientale, ormai caratterizza
anche la diplomazia ufficiale delle
democrazie occidentali. E si perde
completamente il senso delle mi-
sure. Qualche esempio? Si attri-
buisce ad una passeggiata di Sha-
ron (per di più, autorizzata dalle
autorità religiose musulmane) nel-
la spianata delle Moschee di Ge-
rusalemme l’inizio di una guerri-
glia e di un’intera stagione del
terrorismo, la II Intifadah. Durata
cinque anni. Quando l’esercito
israeliano ha costruito una barrie-
ra per impedire ai terroristi di en-
trare nelle città israeliane e farsi
esplodere in bar, ristoranti, disco-
teche, autobus, televisioni e dele-
gazioni politiche sono accorse sul
terreno con i righelli per misurare
e condannare ogni singola, centi-
metrica, violazione del futuro ter-
ritorio palestinese, ogni strada
bloccata, ogni villaggio tagliato
fuori, ogni singolo uliveto attra-
versato dal muro, ogni ulivo ab-
battuto. Ciascuno di questi detta-
gli si è trasformato in un caso
mondiale. Contrariamente alle mi-
gliaia di vittime israeliane del ter-
rorismo che, per i più, restano
anonime.
Il furore suscitato da un an-
nuncio israeliano sulla costruzione
di nuovi insediamenti, muove dal-
lo stesso doppiopesismo. Israele
ha appena subito una pioggia di
razzi da Gaza, sul proprio territo-
rio. Ma in quel caso sono state più
numerose, in sede Onu, le proteste
contro la reazione militare israe-
liana che non contro l’attacco che
stava subendo. Una settimana do-
po la tregua, tuttora fragile, l’Onu
è stata prontissima a votare una
promozione di status dell’Autorità
Nazionale Palestinese, senza ga-
ranzie per la sicurezza di Israele
(
né sul tracciato stesso dei confini
stessi), senza tener conto del pro-
cesso di pace iniziato ad Oslo e
boicottato, in tutti questi anni, dai
palestinesi. L’annuncio del governo
Netanyahu è una risposta a questa
mancanza di garanzie sul futuro
dei confini e della loro sicurezza.
Costruendo nella zona E1, a Est
di Gerusalemme, il governo Neta-
nyahu lancia due segnali ben pre-
cisi: garantire l’unità della capitale
di Israele (che i palestinesi vorreb-
bero dividere, per trasformare la
zona Est nella loro capitale) e as-
sicurare i 500mila ebrei, che già
vivono in Cisgiordania, che non
verranno abbandonati nell’even-
tuale nuovo Stato palestinese.
Tra l’altro quello del governo
Netanyahu sulle nuove case è solo
l’annuncio di un progetto: i can-
tieri non sono ancora aperti. I la-
vori inizieranno solo se i palesti-
nesi non torneranno seriamente al
tavolo negoziale.
Ma, anche nel caso i cantieri si
dovessero aprire realmente e le
3000
case dovessero essere com-
pletate, esse non danneggerebbero
neppure i palestinesi. Non mine-
rebbero la continuità territoriale
del loro nuovo Stato, nemmeno in
caso di partizione di Gerusalem-
me: i quartieri orientali della città
potrebbero comunque essere col-
legati al resto della Palestina con
almeno due corridoi, a Sud e a
Nord dei nuovi insediamenti. Solo
calandoci in un’ottica nazionalista
araba potremmo vedere questa
mossa israeliana come un affron-
to: un ostacolo alla nascita di una
nazione palestinese senza enclave
ebraiche, senza case ebraiche…
senza ebrei. Più o meno consape-
volmente, il resto del mondo, da
Ban Ki-moon a Stevie Wonder,
sposa questo progetto puramente
razzista.
Onu, Russia, Gran Bretagna e
Francia (solo per nominare i più
autorevoli) protestano, ora, contro
Israele come se avesse commesso
un crimine di guerra inaccettabile.
E dimenticano che si sta parlando
solo di case.
Costruire abitazioni civili
non è un crimine.
Ma se lo annuncia
il governo israeliano...
Provocazione?
Gli insediamenti
in cantiere non minano
l’integrità palestinese
L’OPINIONE delle Libertà
MARTEDÌ 4 DICEMBRE 2012
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