di
CLAUDIO ROMITI
opo la sua scontata prevalen-
za nel ballottaggio contro
Renzi, il segretario del Pd, Pierluigi
Bersani, contrariamente alle com-
moventi e sincere dichiarazioni del
giovane sconfitto, ha pronunciato
un lungo e soporifero discorso del-
la vittoria.
Rinverdendo i fasti del grigiu-
me comunista - ricordo a tale pro-
posito gli interventi fiume degli
antichi leader del centralismo de-
mocratico, capaci di parlare per
ore senza dire sostanzialmente
nulla - il neo-candidato premier
del centro-sinistra ha riempito i
cuori della sua platea di sostenitori
con la solita, lunga elencazione di
generici intenti con al primo po-
sto, tanto per cambiare, il “lavo-
ro”.
Come se quest’ultimo, secondo
una immarcescibile tradizione sta-
talista, potesse scaturire da un atto
deliberato della sfera politico-bu-
rocratica.
Eppure anche il buon Bersani
dovrebbe aver capito che l’unico
modo che ha la mano pubblica
per aumentare l’occupazione è
quello di regalare stipendi, restrin-
gendo ulteriormente lo spazio eco-
nomico della società spontanea,
ovvero il principale motore dello
sviluppo.
Ma a parte la classica fuffa de-
D
stinata alle tante anime belle del
suo schieramento, almeno in un
punto Bersani ha espresso un con-
cetto assolutamente condivisibile.
Dicendo di voler vincere le pros-
sime politiche «senza raccontare
favole al popolo», il capo dei de-
mocratici mi ha trovato totalmen-
te d’accordo.
Il problema per lui, però, nasce
proprio dalla composizione del
suo eterogeneo schieramento, in
cui attraverso una ridicola carta
d’intenti si dovrebbe riuscire a
priori a bloccare ogni forma di
dissenso nell’ambito di un futuro
governo. Come si fa, infatti, a evi-
tare di raccontare favole quando
si accetta una alleanza con una si-
nistra radicale che vorrebbe uscire
dalla crisi attraverso una ricetta
improponibile?
In particolare, oltre al partito
di Vendola, c’è una forte compo-
nente pure dentro il Pd che si
aspetta di restare in Europa e
nell’euro inasprendo ulteriormente
la ricetta politica che, in verità, un
po’ tutti hanno applicato negli ul-
timi decenni: più stato, più spesa
e più tasse, magari facendo finta
di colpire solo i ricchi.
Ma proprio se non si vuole
continuare a raccontare la favola
della botte piena e della moglie
ubriaca, Bersani non può pensare
di illudere chi spera di avere un si-
stema pubblico che dia maggior
protezione, creando magari altri
milioni di posti di lavoro inventati,
restando dentro i vincoli finanziari
dell’euro.
Da questo punto di vista, o si
dichiara default, si torna alla lira
e si riprende la vecchia, catastro-
fica propensione inflazionistica di
una politica che distribuisce a pie-
ne mani carta straccia e povertà,
oppure si spiega al popolo che sul
piano dell’intervento pubblico nel
suo complesso il sistema è già an-
dato oltre ogni ragionevole limite,
se intendiamo restare all’interno
della moneta unica.
Tertium non
datur
,
caro Bersani.
II
POLITICA
II
A sinistra c’è ancora chi vuole
raccontare favole agli italiani
Libertà di stampa,
l’ultimo oltraggio
K
Bandiere del PD
abato scorso, a guardare il vi-
deo che immortalava la Digos
“
prelevare” Alessandro Sallusti
dalla redazione del
Giornale
,
di
certo qualcuno avrà esultato. Ci
immaginiamo, ad esempio, che a
Roma, in Via Valadier 42 (sede del
Fatto Quotidiano
)
Travaglio e Bar-
bacetto abbiano dato vita ad un
trenino in stile carioca mentre, ma-
gari, Bruno Tinti era al telefono
con il «giudice innominato ed in-
nominabile» (quello non citato
nell’articolo alla base di tutta que-
sta vergognosa circostanza e che
ci si guarda bene dal menzionare
in questa sede) ed insieme rievo-
cavano le tappe di questo indegno
(
almeno per una democrazia) per-
corso giudiziario. E chissà cosa
avranno pensato, guardando quel
filmato, quegli “intellettualmente
pezzenti” che si sono affannati, nei
giorni scorsi, a dissertare più sulle
caratteristiche dell’abitazione del-
l’onorevole Santanché (laddove,
cioè, è destinato a scontare la pena
Sallusti) anziché porsi il vero, in-
quietante quesito: i 14 mesi di de-
tenzione comminati a Sallusti co-
stituiscono una pena giusta per un
omesso controllo? O, ancora, si è
forse in presenza di una sorta di
vendetta nei confronti del direttore
della testata di Paolo Berlusconi?
Ancora. Ci permettiamo di
chiedere l’autorevole parere, su
questa vicenda, di tutti quei “gen-
S
tiluomini” che, fino a qualche tem-
po fa, si dilettavano a dimostrare
imbavagliati a favore della libertà
di stampa, di quelli che venivano
definiti “popolo viola” o di quelli
che avevano fatto del giallo post-
it quasi una ragione di vita. Sten-
diamo un pietoso velo di silenzio
poi sull’assenza (sotto tutti i punti
di vista) della Fnsi e dell’Ordine
dei giornalisti. Di tangibile si han-
no, purtroppo, anche giudizi come
quello di quel collaboratore di
Re-
pubblica
ha fatto sapere via twitter
che per lui «possono pure perdere
le chiavi di quella cella». Ma che
volete, quel giornalista è “di de-
stra” e per lui tutte le pippe sulla
libertà di stampa e di espressione
evidentemente non valgono.
La questione collegata all’arre-
sto di Sallusti è invece più preoc-
cupante e va ben al di là della me-
ra vicenda giudiziaria del direttore
del quotidiano di via Negri. Per
dirla con Paolo Guzzanti, «sarebbe
una cosa utile se tutti i cittadini e
tutti i giornalisti prendessero atto
che sabato non è stata violata la
sede del Giornale, ma tutte le re-
dazioni italiane, tutti i luoghi in
cui si fa informazione e commento,
in cui si suona la corda tesa della
discussione e della lite. Se qualcuno
ancora non capisce che questo è il
tema, questo l’oltraggio, che pos-
siamo dire? Peggio per lui».
GIANLUCA PERRICONE
Era omosessuale?
Negare, negare
ggi si va a caccia della verità.
Si vuole accertare chi o che
cosa abbia spinto il giovane Andrea
a impiccarsi con una sciarpa in casa
sua, probabilmente esasperato da
una “mobbizzazione” di stampo
“
bullistico” di cui era divenuto vit-
tima a scuola, in strada e sui
social
network
.
Una caccia che dovrebbe
essere esigenza e diritto di capire il
perché di quel gesto. In gran parte
così non è.
Ricerca della verità. Non sarà
facile. Ci hanno provato finora i
veri amici, gli insegnanti più sensi-
bili, i parenti. La magistratura ha
temporeggiato. Diceva di non ca-
pire il gesto del 15enne del liceo
Cavour di Roma. Ieri si è decisa e
ha cambiato il fascicolo dell’inchie-
sta: «Istigazione al suicidio», anche
se continuano a non esserci inda-
gati. Sullo sfondo della vicenda, una
presunta omofobia di un giovane
«
particolare», «originale», «in cerca
di una sua identità». Uno scivoloso
arrampicarsi sugli specchi che evi-
denzia quanto questo Paese – che
comunque è ancora «privo di una
legge contro l’omofobia e che, in-
vece, tollera il bullismo omofobo
nelle scuole», come ha detto il pre-
sidente di Assotuleta, Michel Emi
Maritato – è ben lungi dall’affron-
tare questo argomento senza dare
l’impressione di avere a che fare
con una stramba condizione, per-
sonale o naturale che essa sia.
O
Quindi non solo un ragazzo preso
in giro e umiliato, come accade in
tantissimi altri casi. Preso in giro e
umiliato perché certamente/forse
gay.
Si impone una riflessione. Due
schieramenti: da una parte gli omo-
fobi “battutari”, pecializzati nel
massacrare e clinici nell’escludere
una persona indifesa; dall’altra fa-
miliari e amici, increduli, disperati
e indignati ma non solo perché ad
Andrea è stato fatto molto male,
bensì perché questo male era con-
seguenza della famosa, presunta
omosessualità. C’è una perplessità,
non tanto per i persecutori del ra-
gazzo – in questo caso la condanna
è scontata - quanto più verso chi
gli voleva bene, il papà, la mamma,
il nonno. Tutti indaffarati a convin-
cerci che Andrea non fosse gay: le
unghie se le smaltava per non man-
giarsele, i pantaloni rosa li indos-
sava perché quel colore gli piaceva,
quella foto su Facebook in cui lo si
vede vestito da donna era solo un
travestimento carnascialesco.
Una fatica immane a lanciare
un messaggio che si può così rias-
sumere: «Che cosa vi credete? Il
nostro Andrea non era omosessua-
le, era assolutamente normale!».
Omosessuale? Normale? Signore e
signori che lo avete amato, limita-
tevi a pretendere di capire il perché
Andrea si sia stufato di vivere.
STEFANO MARZETTI
omani a Torino, presso il di-
stributore “Tamoil” in Cor-
so Svizzera 184, dalle ore 10 del-
la mattina, il Tea Party Piemonte
e la sua giovanissima coordina-
trice Giulia Bonaudi - in colla-
borazione con l’associazione “In-
sieme è domani” - ha deciso, «in
segno di protesta nei confronti
di questo governo, di non far pa-
gare agli automobilisti le accise
sul carburante».
Il Tea Party, dunque, grazie al-
la generosità di uno sponsor
dell’iniziativa (“Industrie Gaida-
no”), restituirà agli automobilisti
il corrispettivo delle accise. L’ini-
ziativa simbolica è finalizzata a
dare un segnale a questo governo
che non perde mai occasione per
alzare le accise sulla benzina (or-
mai giunte ad un intollerabile 60
per cento) ogni qual volta si ha
D
necessità di far cassa, invece di
tagliare le spese e gli sprechi.
Le accise sulla benzina sono
per la maggior parte inutili oltre
che dannose: usate dai passati
governi ad ogni “emergenza na-
zionale” dalla guerra in Abissinia
al disastro del Vajont, dovevano
essere sempre provvisorie ma so-
no rimaste parte integrante del
prezzo dei carburanti.
La giornata di oggi ha anche
uno scopo di sensibilizzazione
nei confronti dei cittadini-auto-
mobilisti, troppo spesso aneste-
tizzati dalle troppe tasse: sveglia-
re le coscienze rendendo tutti
consapevoli di quanta parte del
nostro portafoglio se ne va allo
Stato. Un obiettivo che il Tea
Party persegue sin dalla sua fon-
dazione.
Il movimento Tea Party Italia
nasce dall’esperienza e dall’esem-
pio del Tea Party Movement sta-
tunitense che riunisce, sotto le
bandiere della lotta al
big gover-
nment
e alla socializzazione della
società, milioni di persone ogni
anno. Come si legge nel suo sta-
tuto, «il movimento Tea Party
Italia mira a fare aderire alla sua
battaglia tutte le anime della ga-
lassia liberale, libertaria e con-
servatrice italiana».
Si tratta, insomma, di un
«
movimento apartitico ma aper-
to anche a tutti quei rappresen-
tanti delle istituzioni, locali e na-
zionali, che vogliano dimostrare
pubblicamente, con la loro ade-
sione, un impegno concreto nel
promuovere le nostre idee e nel
lottare a favore delle istanze di
cui la protesta si fa carico».
(
f.nar.)
Tea Party Piemonte: iniziativa
contro le accise sulla benzina
L’OPINIONE delle Libertà
MARTEDÌ 4 DICEMBRE 2012
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