II
POLITICA
II
La sindrome dell’azzeccagarbugli contagia i pm
di
VALERIO SPIGARELLI*
rano quasi due secoli che gli av-
vocati di tutte le latitudini spe-
ravano di scrollarsi di dosso la “sin-
drome
dell’azzeccagarbugli”,
quell’accusa letteraria lanciata da
Manzoni che aveva identificato la
professione forense con la predispo-
sizione a complicare i fatti per po-
terci sopravvivere. Finalmente in
questi giorni la cosa si è risolta, ora
ci sono i procuratori delle Repub-
blica, e qualche vassallo giornalistico
a pretendere a gran voce il titolo, e
senza vergogna. Negli ultimi giorni,
infatti, alcuni procuratori, tra cui
l’onnipresente Ingroia che ancora
non si è imbarcato per il Guatemala,
si sono chiesti tartufescamente cosa
ci fosse dietro le illazioni che un pe-
riodico Mondadori ha avanzato a
proposito del contenuto delle con-
versazioni intercettate del presidente
della Repubblica. Avanzato il que-
sito, gli stessi pm hanno tosto indi-
viduato l’esistenza di “menti raffi-
natissime” che da dietro le quinte
ordiscono l’attacco al Capo dello
stato, e hanno poggiato il loro ra-
gionamento su di un ingenuo e pa-
radossale lapsus, mirabilmente illu-
strato dal procuratore Messineo, che
più o meno suona così: «Se lo scoop
lo fa
Panorama
noi non c’entriamo
nulla, quindi c’è del marcio in Da-
nimarca!». Il che, se le parole hanno
un senso, intanto dimostra quello
che noi poveri mortali dell’Unione
delle Camere penali sosteniamo da
un bel po’, e cioè che esistono dei
circuiti informati (e dunque dei gior-
nalisti e delle testate) con cui le pro-
cure hanno rapporti privilegiati, al
punto che a dimostrazione della
propria estraneità ad un certo fatto
il procuratore può ben dire: «Oc-
chio, non è dei nostri». Insomma,
basta vedere chi fa gli scoop per ca-
pire chi glieli ha passati. Nella fat-
tispecie, però, il ragionamento è sui-
cida per chi lo fa, non solo perché
la prima illazione sul contenuto l’ha
avanzata Di Pietro, ma anche perché
E
mette in ombra tutto ciò che avven-
ne al momento della “fuoriuscita”.
E qui c’è poco da chiarire: quando
“fuoriuscì” la faccenda, la circostan-
za non era nota ad altri se non agli
investigatori. E non poteva esserlo,
se non altro per il fatto che quelle
conversazioni erano contenute in un
fascicolo rimasto in indagine, e non
in quello depositato ai 12 indagati
di cui si chiedeva il rinvio a giudizio.
Ciò senza dimenticare che, per il ve-
ro, a confermare l’esistenza di quegli
atti, anche se con la sottolineatura
della loro assoluta irrilevanza, fu
proprio la Procura di Palermo, che
anzi ci tenne a sottolineare di averli
attentamente valutati per stabilirne
il peso processuale. Insomma, visto
che era dentro un fascicolo che ma-
gari non sarà mai depositato, come
mirabilmente illustrato da Michele
Ainis sul
Corriere della Sera
, la no-
tizia, clamorosa per la “storia” ma
ininfluente per le indagini, ben po-
teva rimanere segreta. E se ciò non
è avvenuto, la responsabilità è di chi
doveva custodirla, altroché! Non
contento di questo primo rimesco-
lamento delle carte il procuratore di
Palermo però ha anche posto un
problema, per così dire, “tecnico”.
A dimostrazione della perfetta buo-
na fede di chi indaga egli ha infatti
chiamato in causa la tecnologia, che
come noto è sempre l’ultima spiag-
gia di chi vuole confondere le acque.
«Tutti sanno, o dovrebbero sapere,
che le intercettazioni nel terzo mil-
lennio non si fanno più con il poli-
ziotto con le cuffie in testa, ma av-
vengono in automatico, con una
registrazione digitale che poi viene
riascoltata in seguito; ergo era im-
possibile interrompere l’ascolto» ha
argomentato il Procuratore di Pa-
lermo con l’aria di chi deve spiegare
l’ovvio a studenti un po’ indietro
con il programma. In questo caso ci
permettiamo di correggere l’illustre
magistrato. Intanto diciamo che or-
dinariamente il poliziotto c’è e come.
E ha le canoniche cuffie in testa, an-
che perché spesso le intercettazioni
sono coordinate con servizi di pedi-
namento e osservazione che non si
ascoltano un mese dopo. Sostenere
il contrario è una enormità. In ogni
caso, visto che oramai si campa di
illazioni, ne avanziamo una noi: vi-
sto che si intercettava un ex vicepre-
sidente del Csm il poliziotto c’era,
e sicuramente ha compreso quale
fosse l’interlocutore, e altrettanto si-
curamente ne ha informato imme-
diatamente i pm. Ma anche se così
non fosse stato, anche se davvero le
intercettazioni fossero state effet-
tuate nel modo in cui le racconta il
Procuratore, il problema è ancor più
grave. Tutto ciò dimostra che le pro-
cure intercettano con modalità tali
da presupporre, per definizione, che
solo a cose fatte sia possibile stabi-
lire se per caso si è registrata una
conversazione tra soggetti che go-
dono di una speciale immunità (co-
me un avvocato che parla con il suo
cliente, come il Capo dello stato).
Questa prassi non consente di ri-
spettare la legge, che impone di in-
terrompere l’intercettazione quando
la conversazione è tra il difensore e
l’assistito ovvero quando uno dei
due interlocutori non è intercetta-
bile. Dunque è illegittima. E se la
Corte di Cassazione la avalla è per-
ché non difende il contenuto precet-
tivo di alcune regole in tema di in-
tercettazioni che sono poste a
presidio dell’articolo 15 della Co-
stituzione, perciò siamo al punto in
cui siamo. Invocare questa prassi
per affermare che non è possibile
non intercettare anche se la legge lo
vieta, equivale a rivendicare il man-
cato rispetto della legge e rimarca
l’illegittimità della prassi stessa. Que-
sto argomento, contrario a ogni lo-
gica, in realtà è perfettamente in li-
nea con la pretesa, anch’essa
contraria alla legge, di intercettare
qualsiasi conversazione, ascoltarla,
dichiarare alla stampa se ci sono ele-
menti penalmente rilevanti o no e
infine renderne comunque pubblica
l’esistenza – se non i contenuti –
senza neppure accollarsene la re-
sponsabilità. Da Palermo è
(fuori)uscita la notizia che c’erano
delle conversazioni di Napolitano;
da Palermo è venuta la conferma uf-
ficiale della notizia assieme alla ri-
vendicazione della ascoltabilità delle
conversazioni del presidente; da Pa-
lermo si è posto il problema della
loro eventuale divulgabilità. Questi
sono fatti, non illazioni. E sono tutti
fatti che si potevano evitare, dal pri-
mo all’ultimo, applicando la legge.
È inutile tentare di capovolgere la
realtà con acrobazie logiche. Altro
che menti raffinatissime: azzecca-
garbugli.
*Presidente Unione
delle Camere Penali Italiane
I procuratori di Palermo
si sono domandati
cosa nascondessero
le illazioni che Panorama
ha fatto sul contenuto
delle intercettazioni
che riguarderebbero
il presidente Napolitano
La prassi delle procure
lascia intuire
che solo a cose fatte
sia possibile stabilire
se si è registrata
una conversazione
tra soggetti che godono
di una speciale immunità
segue dalla prima
Martini e il passo
indietro dei cattolici
(...) Chi vive in una crisi profonda che
non sa in alcun modo risolvere, non ha
alcun titolo per rivendicare il diritto a gui-
dare un paese che vive una crisi apparen-
temente senza uscita di cui, oltre tutto, si
è in gran parte corresponsabile. E la ra-
gione non è solo che i cattolici riportati
alla guida del paese aggiungerebbero crisi
alla crisi.
Ma, soprattutto, inserirebbero nel calde-
rone delle immani difficoltà italiane, uno
spirito che proprio le particolari celebra-
zioni apologetiche del Cardinale Martini
hanno portato prepotentemente alla luce.
Quello di una intolleranza e di un odio
per motivi religiosi che nella nostra so-
cietà secolarizzata sembrava (ma non era
assolutamente vero) una sorta di reperto
archeologico.
Se questo è il frutto dei contrasti in atto
nella Chiesa i cattolici si preoccupino del-
la sua composizione prima di dedicarsi
alle questioni politiche nazionali. Gli ita-
liani hanno già dato. Anche troppo!
ARTURO DIACONALE
I meriti di Togliatti,
Michelini e il Cav
(...) e di vanificare così pulsioni massima-
liste ed eversive. Analisi assolutamente
condivisibile che però induce a due rifles-
sioni. La prima riguarda Arturo Michelini,
segretario del Msi lo stesso anno della
morte di De Gasperi, nel 1954, e che ten-
ne le redini di quel partito fino alla sua
morte nel 1969. Nella sua lunghissima
esperienza da leader del Movimento so-
ciale, Michelini si sarebbe sempre opposto
alle correnti più radicali, estremiste e an-
tisistemiche del partito, che si rifiutavano
di accettare le regole della democrazia
“borghese”, e tentò un avvicinamento alle
forze moderate e alla Democrazia cristia-
na.
Ebbene, ci domandiamo allora se sia ra-
gionevole non concedere a Michelini quel
che si vuole invece e giustamente conce-
dere a Togliatti, vale a dire di avere isolato
le ali più estreme all’interno della propria
area politica.
Di più. Ci domandiamo, e veniamo così
alla seconda suggestione, se sia del tutto
implausibile ipotizzare che lo studioso di
domani inserisca anche Berlusconi nel
Pantheon dei Padri della Nazione, in base
alla constatazione che la sua discesa in
politica nei primi anni Novanta prosciugò
in gran parte i consensi elettorali della
Lega, forza antinazionale per eccellenza,
e l’intesa elettorale con quest’ultima ne
depotenziò gravemente le minacce scis-
sioniste.
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MARTEDÌ 4 SETTEMBRE 2012
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