II
ESTERI
II
Impasse in Siria, adesso
l’Onu si condanna da sola
di
STEFANO MAGNI
a guerra in Siria continua, l’as-
sedio di Aleppo da parte delle
forze governative è al suo ottavo
giorno. La speranza per una solu-
zione “politica” di compromesso
è oltre l’orizzonte. E in tutto que-
sto l’Onu ammette la sua sconfitta.
Condannando se stesso. Invece di
formulare una nuova risoluzione
di condanna al regime di Dama-
sco, l’Assemblea Generale ne ha
introdotta una contro il Consiglio
di Sicurezza, reo di non essere riu-
scito a porre fine al bagno di san-
gue.
La mossa dell’Assemblea giun-
ge dopo le dimissioni di Kofi An-
nan, ex segretario generale del-
l’Onu e (fino all’altro ieri) inviato
speciale delle Nazioni Unite in Si-
ria. Ha constatato che il suo piano
di pace, proposto lo scorso aprile,
non aveva più alcun senso. Da
quando il documento era stato
formalmente accettato da Bashar
al Assad in poi, i massacri si sono
succeduti uno dopo l’altro. A lu-
glio Annan mostrava ancora otti-
mismo, dopo aver ottenuto nuove
promesse di cessate-il-fuoco da As-
sad. Ma poi sono arrivati i giorni
di sangue a Hama, Damasco e
adesso Aleppo. Ed è stato vera-
mente troppo. Annan punta il dito
contro i cinque membri permanen-
ti del Consiglio di Sicurezza. Ac-
L
cusa sia il regime di Assad che gli
insorti per l’assoluta mancanza di
volontà di giungere ad un accordo.
In una sorta di articolo-testamento
pubblicato sul Financial Times,
prega Russia, Cina e Iran (gli al-
leati di Damasco) di «assumere
sforzi comuni per persuadere la
leadership siriana di cambiare cor-
so e abbracciare la transizione po-
litica», anche nel caso che Assad
lasci il potere. Poi invita le potenze
occidentali (Usa, Regno Unito e
Francia), i sauditi e il Qatar a «far
pressione sulle opposizioni, perché
percorrano un processo politico
onnicomprensivo, che includano
comunità e istituzioni che attual-
mente sono associate con il gover-
no». Come il Papa, Annan non
può far altro che pregare e sperare
nella pace.
E intanto l’Onu si lacera. Il se-
gretario generale Ban Ki-moon
chiede ai membri permanenti del
Consiglio di Sicurezza di metter
da parte le loro «rivalità». Ed è
contro di essi che si rivolge, ap-
punto, la nuova risoluzione del-
l’Assemblea Generale. È stata re-
datta su iniziativa dell’Arabia
Saudita (da sempre schierata dalla
parte degli insorti, che sono pre-
valentemente sunniti), condanna
l’uso di armi pesanti da parte del
governo di Damasco, la sua man-
cata promessa di ritirare le truppe
dai centri urbani e di liberare i pri-
gionieri politici. Ma, soprattutto,
condanna il Consiglio di Sicurezza,
per non aver posto fine alle vio-
lenze. Onu contro Onu, insomma.
I responsabili di questo stallo,
chiaramente, sono individuati negli
alleati di Assad, Russia e Cina, che
hanno più di una volta esercitato
il loro diritto di veto per bloccare
ogni risoluzione. Un documento
dell’Assemblea Generale non ha
un valore legale vincolante. Non
vi saranno sanzioni contro Mosca
o Pechino. Ma è comunque un no-
tevole danno di immagine per
l’Onu. Dopo un ventennio di po-
lemiche sulla sua inefficacia nella
risoluzione delle crisi in Ruanda,
Bosnia, Kosovo, Iraq, l’Onu pas-
serà ancora alla storia per non es-
ser riuscito a muovere un dito per
porre fine al massacro in Siria.
Putin: niente pene dure per le Pussy Riots
K
Vladimir Putin, intervenendo sul processo alle “Pussy Riots”
(accusate di vandalismo, per una perfomance nella cattedrale di
Mosca) ritiene che «non debbano ricevere una condanna troppo dura»
L’umiliante caso
dei marò in India
Dopo le dimissioni
di KofiAnnan,
l’Assemblea vota
una risoluzione contro
il Consiglio di Sicurezza
per non aver posto fine
al massacro commesso
dal regime di Assad
Alessandro Spadotto è libero
Rapire un italiano è un affare
ue cittadini italiani in unifor-
me, i marò Massimiliano La-
torre e Salvatore Girone, sono tut-
tora prigionieri in India, anche se
le accuse nei loro confronti (omi-
cidio dei pescatori del St. Antony)
poggiano su prove molto fragili.
Anche considerando che il pesche-
reccio al centro del caso, il St. An-
tony, è... affondato. Le prove che
conteneva (i proiettili) avrebbero
probabilmente scagionato i militari
italiani. I periti indiani che hanno
esaminato l’imbarcazione sono
convinti di aver trovato tracce di
armi italiane, dopo, però, aver
escluso i periti italiani da gran par-
te dei loro esami balistici e aver la-
sciato trapelare alla stampa notizie
contradditorie. Il caso spetterebbe
chiaramente alla magistratura ita-
liana (la sparatoria è avvenuta in
acque internazionali, a bordo di
D
una nave italiana) il processo con-
tinuerà in India. Ed è stato nuova-
mente rimandato all’8 agosto. Ieri,
il Comitato Interministeriale per
la sicurezza della Repubblica, dopo
aver passato in rassegna tutti i casi
degli italiani sequestrati o impri-
gionati all’estero, ha dedicato buo-
na parte della sua attenzione pro-
prio al caso di Latorre e Girone. Il
comunicato del governo riferisce
che «Il Ministro degli Esteri ha ri-
percorso l’intensa attività diplo-
matica condotta in questi mesi, an-
che ai massimi livelli istituzionali,
sia verso le autorità indiane sia in
tutti i più importanti fori e Orga-
nizzazioni internazionali (Onu, G8,
Ue, Asean) e con i principali par-
tner dell’Italia per l’affermazione
dell’esclusiva giurisdizione italiana.
Il Ministro della Difesa ha aggior-
nato il Comitato sui più recenti
sviluppi di entrambi i procedimenti
in corso (quello penale riguardante
i due marò e quello sulla giurisdi-
zione di competenza, ndr) e sulle
condizioni dei nostri militari che
sono direttamente assistiti dal per-
sonale della Difesa. Il Presidente
del Consiglio ha preso favorevol-
mente atto degli sforzi profusi per
ottenere il rientro in Patria dei due
marò ed ha approvato le ulteriori
iniziative che vedono un conver-
gente e continuo impegno di tutte
le Amministrazioni interessate».
MARIA FORNAROLI
l carabiniere Alessandro Spa-
dotto è tornato ad essere un uo-
mo libero. E da ieri è tornato in
Italia. Sequestrato a Sanaa, capi-
tale dello Yemen, il 29 luglio scor-
so, proprio di fronte all’ambascia-
ta italiana dove era in servizio, è
stato tenuto prigioniero per quat-
tro giorni dalla milizia tribale gui-
data da Alì Naser Huraikdan.
Questi è un leader locale, prece-
dentemente arrestato per aver uc-
ciso quattro poliziotti. I suoi uo-
mini avevano rapito un ostaggio
norvegese e in cambio della sua
liberazione hanno ottenuto la
scarcerazione del loro capo. Il se-
questro di Spadotto, nell’ottica di
Huraikdan, era un’altra ricca
“merce di scambio”: gli serviva
per chiedere la restituzione dei
soldi che la polizia gli aveva ru-
bato (mentre era in carcere), i
suoi beni di famiglia (congelati
dal governo yemenita) e la libertà
di espatrio (che il governo gli ave-
va finora negato).
Il carabiniere ha potuto fare
una telefonata durante il seque-
stro, poi ritrasmessa dalla Tv sa-
tellitare Al Arabiya. Ha detto di
essere in buona salute, ma anche
di essere stato maltrattato duran-
te il rapimento. Huraikdan, suc-
cessivamente, ha smentito, affer-
mando che il suo prigioniero
potesse disporre dell’accesso a In-
ternet, televisione, telefono e
I
«ogni tipo di svago, meglio che
in Italia». Spetta al carabiniere,
ora libero, raccontare realmente
come è andata. Mercoledì scorso
era stata tentata una mediazione
inter-tribale. Fallita perché Hu-
raikdan chiedeva troppo. I soldi
erano al centro dei desideri del
leader tribale, stando alla stessa
telefonata di Spadotto che solle-
citava il pagamento del riscatto
richiesto.
Ventiquattr’ore dopo il falli-
mento della mediazione tribale, il
nostro connazionale è stato libe-
rato. Non c’è stato alcun blitz ar-
mato. Il governo yemenita aveva
promesso al ministro degli Esteri
Giulio Terzi di poter risolvere pa-
cificamente la questione. E così è
stato. La soddisfazione per il ri-
lascio di un connazionale (vivo e
in buona salute) è troppa per por-
si alcune imbarazzanti domande.
Ma è lecito porsele ugualmente.
Le richieste di Huraikdan sono
state soddisfatte? Se sì, chi ha pa-
gato, il contribuente italiano o ye-
menita? E quanto è stato pagato?
Le domande sono lecite, dal
momento che, stando agli stessi
sequestratori (la Farnesina non
ha mai confermato queste noti-
zie), avremmo versato 11,7 mi-
lioni di dollari nelle casse dei pi-
rati somali per la liberazione della
petroliera Savina Caylyn. Più re-
centemente, avremmo pagato 15
milioni di euro ad una milizia vi-
cina ad Al Qaeda nel Maghreb
Islamico per il rilascio di Rossella
Urru. Per Francesco Azzarà, il
cooperante di Emergency cattu-
rato nel Darfur, Sudan, era stata
chiesta una cifra più esigua:
180mila dollari. Non è tuttora
chiaro se siano stati pagati. In
ogni caso Azzarà è tornato in li-
bertà, senza alcun blitz militare.
Rapire un italiano sta diventando
un business? Pare proprio di sì, a
giudicare dalla frequenza dei se-
questri. Rossella Urru era libera
da appena due settimane e un si-
gnore della guerra yemenita, per
ottenere i patrimoni perduti, chi
va a rapire? Un italiano. Meglio
cambiare passaporto, quando si
viaggia in zone a rischio.
GIORGIO BASTIANI
L’OPINIONE delle Libertà
SABATO 4 AGOSTO 2012
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