spite su La7 da Lilli Gruber,
il presidente della Camera
Gianfranco Fini, dopo aver lun-
gamente manifestato l’intenzione
di ricostruire una destra moderna
ed europea, in merito all’abbat-
timento della pressione fiscale ha
espresso la seguente proposizione:
«
Bisogna mettersi in testa che le
tasse si possono abbassare solo
attraverso una efficace lotta al-
l’evasione».
Ergo, per ricollegare ciò con
il suo intendimento iniziale, per
il leader in pectore di Futuro e
Libertà la “nuova” destra do-
vrebbe richiamarsi fortemente a
quella storica sciocchezza che i
maggiori esponenti della sinistra
italiana, da Bersani a Vendola
passando per la Camusso, so-
stengono a spada tratta da de-
cenni. E la sostengono fin dai
tempi in cui la stessa pressione
fiscale era meno della metà di
quella attuale.
Eppure, nonostante lo stato
abbia raddoppiato negli ultimi
cinquant’anni la quota di risorse
direttamente controllate (oramai
siamo al 55% del Pil), anche l’ex
presidente della defunta Alleanza
nazionale si allinea ad una tesi
che, andando avanti di questo
passo, potrà essere smentita solo
quando la mano pubblica avrà
nazionalizzato l’intera ricchezza
della nazione. Con questo prece-
dendo solo di un attimo il collas-
so sistemico del paese.
È mai possibile che alla terza
carica dello Stato non passi nep-
pure per l’anticamera del cervello
l’eventualità di ridurre le tasse at-
traverso il taglio di quella colos-
sale spesa pubblica al cui interno
alberga ogni forma di sperpero?
È mai possibile che il cofondatore
pentito del Pdl voglia darci a bere
che una politica sempre più
O
orientata a cercare il proprio con-
senso attraverso l’uso indiscrimi-
nato di quote rilevanti dei quat-
trini del contribuente debba
essere semplicemente assecondata
inasprendo la caccia agli evasori?
Cosa che, in realtà, non significa
altro che aumentare la quota di
risorse controllate dalla stessa sfe-
ra politico-burocratica.
Francamente, ma forse siamo
degli illusi, noi liberali ci aspet-
tiamo una destra ben diversa da
quella vaticinata dall’onorevole
Fini. Una destra la quale, pur sen-
za promettere miracoli, si muova
nella direzione di una graduale
ma significativa riduzione del pe-
rimetro pubblico, con la conse-
guente riduzione di una spesa
pubblica sempre più fuori con-
trollo. Ma per far questo occorre
avere il coraggio di sfidare quel
sinistro mainstream composto di
frasi fatte e luoghi comuni la cui
applicazione concreta sta man-
dando in bancarotta il paese. Il
resto sono solo chiacchiere da sa-
lotto televisivo.
CLAUDIO ROMITI
di
ALAN D. BAUMANN
eri notte ci ha lasciati Shlomo
Venezia, deportato ad Aushwitz-
Birkenau che fino all’ultimo ha
trasmesso la memoria di un’om-
bra nefasta che pesa da settanta
anni.
Era l’ultimo Sondernkomman-
do in vita. Faceva parte di qul-
l’unità speciale destinata alle ope-
razioni di smaltimento e
cremazione. In parole più nude e
crude, si trattava di prendere i cor-
pi dalle camere a gas e zepparli nei
forni crematori. Fra di loro bam-
bini, vecchi, donne. Ogni giorno,
ogni ora, ogni momento iniziato
un paio di mesi dopo la sua de-
portazione nell’aprile 1944, fino
al 27 gennaio 1945 (o pochi gior-
ni prima la liberazione del campo
da parte delle truppe sovietiche).
Come ben riporta Wikipedia:
Shlomo Venezia venne arrestato
con la famiglia, composta, oltre a
lui, da sua madre, suo fratello e le
sue tre sorelle, a Salonicco nel-
l’aprile 1944 e deportato presso il
campo di sterminio di Auschwitz-
Birkenau, uno dei tre campi prin-
cipali che componevano il com-
plesso di Auschwitz. Durante la
selezione operata dai medici nazi-
sti per separare i deportati consi-
derati abili al lavoro da quelli
«
inutili», che venivano immedia-
tamente inviati alle camere a gas,
Venezia si salvò insieme al fratello,
la sorella maggiore, che rivedrà
solamente nel 1957, e due cugini.
Venezia venne successivamente
sottoposto al tipico processo su-
bito dai deportati ad Auschwitz:
rasatura, doccia, tatuazione del
numero sull’avambraccio sinistro,
vestizione con gli abiti da interna-
to. Terminate le operazioni di “in-
serimento burocratico”, Venezia
venne rinchiuso in un’apposita ed
I
isolata sezione del campo per pas-
sare il periodo di quarantena di
40
giorni, che avrebbe dovuto im-
pedire - secondo le autorità tede-
sche del campo - la diffusione di
epidemie all’interno del lager.
Dopo solo 20 giorni di quaran-
tena, Venezia fu assegnato al Son-
derkommando di uno dei grandi
crematori di Birkenau, composto
principalmente da giovani prigio-
nieri di robusta costituzione ed in
buone condizioni fisiche, a causa
dello sforzo fisico richiesto dal la-
voro: l’eliminazione delle prove di
quello che stava avvenendo.
Come scrive Grazia Di Veroli,
consigliera dell’Associazione na-
zionale ex deportati: «È in prepa-
razione il congresso dell’Associa-
zione, e veder scorrere mail in cui
le sezioni comunicano l’impossi-
bilità dei sopravvissuti di interve-
nire a questo congresso mi fa pen-
sare molto. I superstiti dei campi
di sterminio ci stanno lasciando
in un periodo in cui la negazione
è sempre più spesso evocata 0187.
Lo scorso anno in un incontro con
Gianfranco Maris, ex partigiano
ed ex deportato durante il nazifa-
scismo, membro del Consiglio su-
periore della magistratura e sena-
tore per due legislature, scaturì
questa affermazione: «Non dob-
biamo piangere quando visitiamo
un campo di sterminio: Auschwitz,
Mauthausen, Dachau, Rawen-
sbruck perché non sono cimiteri,
ma luoghi di resistenza. Gli ex de-
portati sono uomini e donne che
hanno mostrato la loro forza, la
loro voglia di combattere allora
ed oggi non dobbiamo dimenti-
carlo, anzi, dobbiamo imparare da
loro a combattere».
Con Shlomo se ne va dunque
un altro grido vivo, un altro gran-
de testimone di quel che è stato.
II
POLITICA
II
segue dalla prima
Le tre condizioni
per Montezemolo
(...)
Dei tre in campo il partito del leader
centrista è il più resistente a qualsiasi vento
di trasformazione e di modificazione. La
sua ossatura è formata dai vecchi quadri
sopravvissuti alla fine della Democrazia
Cristiana. Che, dopo essersi dimostrati ca-
paci di navigare indenni dalla Prima alla
Seconda Repubblica, non hanno alcuna in-
tenzione di correre il rischio di affogare
nei marosi di una Terza in cui rischiano di
non avere alcun ruolo. Casini, che viene
visto come il padre-padrone dell’Udc, è il
realtà il padre-servitore della propria crea-
tura ferma nel passato e per nulla disposta
a rinunciare ai posti certi dell’oggi per
qualsiasi sogno astratto del futuro. Più fa-
cile, allora, che avvengano le metamorfosi
del Pdl e del Pd. Che mai come in questo
momento appaiono a rischio di scompo-
sizione, preordinata o occasionale, il primo
e di scissione traumatica il secondo. Certo,
sembra una follia immaginare nella pros-
sima legislatura la formazione di una mag-
gioranza disposta a sostenere il Monti bis
formata da pezzi del Pdl ispirati ma non
guidati da Berlusconi, dai liberal di Matteo
Renzi, dai componenti del rassemblement
montezemoliano da centro post-democri-
stiano in posizione marginale. Una follia
augurarsi che in questo schieramento non
figurino i camaleonti di tutte le stagioni
disposti ad ogni contorsione pur di con-
servare la poltrona. Una follia, sicuramente.
Ma alle volte solo nella follia si trova un
po’ di saggezza e speranza.
ARTURO DIACONALE
Perdere tutti
i “fini” inibitori
(...)
Se gli esorcismi non saranno suffi-
cienti, tre Grandi Maestri di diverse Of-
ficine si sono offerti di dichiarare la gran-
de maledizione del Grande Architetto, di
bruciare su carboni carbonari i legni so-
spetti e di affidare la ricostruzione del tro-
no ad apprendisti e muratori apposita-
mente benedetti.
“
La perdita dei freni inibitori” è una nota
frase delle commedie all’italiana degli anni
’70.
Era pronunciata dalla figura topos del
frustrato sessuale, in genere un piccolo bor-
ghese intellettuale, davanti a prorompenti
e formose signorine che il frustrato, questa
figura da commedia dell’arte, desiderava
sessualmente senza avere il coraggio di cor-
teggiarle. Per giustificarsi il frustrato faceva
riferimento alla vergogna di perdere i freni
inibitori, indici morali, che bisognava an-
teporre alle grazie delle signorine. Ora si
scopre che fondare televisioni, costruire
aziende, creare partiti e vincere le elezioni
sia come perdere i freni inibitori. Detto da
chi non ha mai fondato alcunché, ha ere-
ditato partiti, riducendoli al minimo, usa
poteri istituzionali per comiziare davanti a
giornaliste di carriera dc, divenute da vec-
chie radicalchic e soprattutto denunciare
capi di stato esteri in diretta. E tutto per
distruggere, sé e la propria parte politica.
Cosa vuol dire perdere i fini inibitori...
GIUSEPPE MELE
Triste addio a ShlomoVenezia
sopravvissutodiAuschwitz
Fini, gli evasori
e gli sprechi di stato
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Shlomo VENEZIA
L’OPINIONE delle Libertà
MARTEDÌ 2 OTTOBRE 2012
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