Pagina 5 - Opinione del 02-9-2012

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II
POLITICA
II
La politica è cieca perché
ha rinunciato al confronto
di
ALESSANDRO DE ROSSI
e state guidando in macchina
e il passeggero è un vostro sin-
cero amico il quale vi avverte che
se non vi deciderete a cambiare
marcia finirete col fondere il mo-
tore, voi che cosa pensate? Dite a
voi stessi: a) Questo è un vero
rompiscatole, a costo di non dargli
ragione sono disposto a bruciare
valvole e testata. Oppure, in un
moto di opportuna ragionevolez-
za, potreste pensare: b) Meno ma-
le che mi ha avvertito perché
ascoltando la radio mi ero distrat-
to.
Ultimo esempio: vi trovate,
sempre con il vostro amico, in una
conversazione in cui gli mostrate
di avere un brutto neo all’angolo
inferiore del labbro. Egli, premu-
rosamente e perché vi vuole bene,
vi invita ad andare con urgenza
da un dermatologo per eliminare
ogni dubbio circa la natura beni-
gna o maligna di quella nuova for-
mazione cutanea. Che fate voi?
a1) Senza farvene accorgere lascia-
te lentamente scivolare la mano
nella tasca dei pantaloni alla ri-
cerca di migliori, apotropaiche
chiavi onde scacciare la malasor-
te? Oppure, se ragionate nel vo-
stro interesse: b1) Ringraziate l’af-
fettuoso amico che non vi ha
nascosto l’eventuale pericolo di
avere un tumore epiteliale? Anzi,
raccogliete l’invito e gli chiedete,
da buon consigliere quale si e’ mo-
strato, di accompagnarvi da un
bravo dottore.
Ho fatto questi esempi per in-
trodurre un ragionamento che ri-
guarda la non sottile differenza
esistente tra la critica costruttiva
(tipo b,b1), che in un modo o
nell’altro sussiste tra intelligenze
che collaborano nel reciproco in-
teresse e la cieca condanna (tipo
a,a1) condotta – tra insulti e priva
di argomentazioni - al solo scopo
di distruggere l’odiato “nemico”.
Tutto questo perché dalle colonne
de
L’Opinione
(non a caso, delle
Libertà), esaminando spesso temi
importanti riguardanti i cittadini
con i loro problemi, che analizza-
no la situazione della sicurezza del
territorio, del verde che brucia, dei
sistemi di trasporto pubblici effi-
cienti, dei piani di sviluppo terri-
toriali da portare a termine, delle
carceri che scoppiano, siamo por-
tati a sollecitare chi deve prendere
le opportune decisioni ad assume-
S
re risolute azioni di governo. Ad
impegnarsi attivamente per affron-
tare i più duri confronti, per pro-
cedere sulla linea dei provvedi-
menti necessari, cercando di far
dimenticare, di tanto in tanto, le
questioni correntizie a favore dei
problemi reali. I solleciti fatti e di-
stribuiti in questo periodo equa-
nimemente da una parte e dall’al-
tra dai giornali, per qualcuno
apparentemente acidi, servono ad
evitare il sonno della ragione. A
eludere il comodo rinvio delle scel-
te che, se ritenute dal potere ap-
parentemente scomode oggi, per-
ché a prima vista non convenienti
ai fini del mantenimento della sta-
bilità e del consenso (personale),
rischiano di arrivare, domani, alla
formazione di inestricabili nodi
aggravati da costi sociali molto
più alti. Da ogni parte si dice e si
scrive che questa Italia, se va bene,
e’ indietro di almeno trent’anni.
Negli anni Sessanta/Settanta ai
tempi di Guido Carli, per inten-
derci, la Lira fu premiata come la
più stabile tra le monete dell’anno.
Con il Pil di oggi ci accorgiamo
che stiamo indietro, che non stia-
mo al passo con l’economia, con
la scuola, con la ricerca scientifica,
con la necessaria semplificazione
che i mercati e la società in conti-
nua trasformazione richiedono an-
che alla burocrazia. Negli anni ses-
santa i principali tronchi
autostradali furono realizzati in
quattro, cinque anni. Oggi questa
tempistica è appena sufficiente alla
politica, alla burocrazia, agli ap-
parati e alle lobby per decidere il
da farsi. Forse anche a causa di un
falso modo di intendere la sussi-
diarietà, essendo ormai lo stato
italiano da troppo tempo impan-
tanato tra regioni, province, co-
munità montane, comuni, muni-
cipi, circoscrizioni, tavoli tecnici
e tante, tante poltrone...
Scrivere o ricordare questo, per
qualcuno, significa essere il “ne-
mico” per definizione: colui il qua-
le politicamente si è definitivamen-
te schierato dall’altra parte,
assumendo il ruolo di traditore in
quanto ha ricordato a chi guida
che è tempo di cambiare marcia
se non vuole fondere il motore o
peggio ancora andare a sbattere,
non arrivando alla meta prescelta.
Scrivere o ricordare questo alla
politica oggi significa di fatto es-
sersi autoiscritti alla cosiddetta
“antipolitica”. A mio parere, ter-
mine doppiamente errato e male
usato sulla cui spiegazione dove-
rosamente risparmio il lettore. A
tal punto la gestione del potere og-
gi si è così tanto automarginaliz-
zata, avendo perso i riferimenti di
fondo, quelli cioè che dovrebbero
vedere la Politica svolta come ser-
vizio (possibilmente a tempo limi-
tato e non come autocrazia da
praticare a tempo indeterminato),
da non sapere più riconoscere la
necessità dell’apporto critico, del
confronto, del contributo di idee
che possono aiutarla a riflettere di
più su se stessa. La reazione coatta
dell’autocrazia (la politica con la
“p” minuscola, per intenderci), che
fa emergere la paura di perdere il
consenso come riflesso condizio-
nato suscitato dalla critica, e’ quel-
la della autodifesa immediata ai
fini della propria preservazione.
Livida chiusura a riccio, con la
conseguente isterica negazione di
quella “ragione” che viene esposta
invece come analisi e diretta ov-
viamente al tentativo di risoluzio-
ne di problemi. Le cause che ge-
nerano questa reattività negativa,
da riflesso condizionato di pavlo-
viana memoria, a mio parere so-
no molte. Il motivo principale pe-
rò dipende dal fatto che oggi i
sedicenti partiti non sono più tali.
Nel senso che non sono più quei
luoghi (fisici e ideali) ove si discu-
teva veramente di contenuti, ove
ci si confrontava con competenza
sulle tematiche e sulle eventuali
loro possibili soluzioni. Così come
pensati dalla Costituzione, essi
erano luoghi ove coloro che rico-
privano pro tempore incarichi di
governo potevano esporre i loro
programmi, ascoltare le osserva-
zioni, prenderne eventualmente at-
to registrando le posizioni di par-
tenza e poi, democraticamente
(cioè per delega) operare le oppor-
tune decisioni. Assumendone la
conseguente diretta responsabilità.
Oggi, salvo rarissime eccezioni
da numeri di dita di una sola ma-
no (gravemente mutilata per effet-
to di una esplosione di bomba), i
partiti si sono trasformati in “con-
venzioni” puramente nominalisti-
che, al seguito di un “capo-padro-
ne” in cui si costruiscono cordate
di potere, alleanze a sostegno del
candidato di turno, nominato in
base a convenienze transeunti,
supporto tecnico ad predestinato-
alla-funzione-gestionale, in servizio
permanente effettivo, al portatore
del maggior numero di cointeressi.
Il tutto senza che, nel necessario
esercizio governativo, ci si possa
confrontare nella cosiddetta dia-
lettica interna del partito, ove li-
beramente e senza condizionamen-
ti di sorta le idee possano essere
fatte circolare allo scopo di mi-
gliorare la stessa attività politica
dai gravami dell’errore, dagli ec-
cessi dell’uso del potere, dalla va-
cuità della propaganda e dell’uso
strumentale della demagogia. La
catena del potere gestionale all’in-
terno della “convenzione” al se-
guito di un “capo-padrone” crea
un combinato disposto in cui o si
è materialmente all’interno della
linea di comando o si è “nemici”
per definizione. Peggio ancora,
non si ha diritto all’esistenza se
non quando occorre certificare
l’assenso passivo.
Questa, a mio parere, è la ra-
gione principale della morte della
politica: avere eliminato il dibat-
tito, la discussione e l’accordo. Ma
soprattutto l’aver sacrificato l’ade-
sione ideale e operativa ad un con-
vincente disegno politico di ieri, a
favore di un cieco sostegno di una
qualsiasi cordata di potere di oggi,
partecipata a qualunque costo e
condizione. Ai fini della ripropo-
sizione coattiva dell’autocrazia co-
me mestiere, attività troppo spesso
praticata come sistema per sbar-
care il lunario in assenza di una
vera professionalità (la qual cosa
giustificherebbe i cambi di casac-
ca, di corrente e di schieramento),
la critica, la dialettica e il contri-
buto di idee debbono essere cen-
surati. Sono attrezzi pericolosi. Al-
la faccia del tanto invocato merito
anche nella politica. Il potere in
quanto tale, quando non è seguito
da autentica autorevolezza, non
ammette esame, non tollera giu-
dizi, respinge valutazioni ed opi-
nioni certificandole immediata-
mente come opposizione nemica:
oscura manovra di poteri forti, di-
segno perverso di dominio globale
demo/pluto/giudaico/massonico.
Una volta, qualcuno si arrabbiava,
e chiamandolo “disfattismo”, ti
mandava al confino.
Oggi, salvo rarissime
eccezioni, i partiti
si sono trasformati
in“convenzioni”
puramente
nominalistiche,
al seguito
di un“capo-padrone”
in cui si costruiscono
cordate di potere,
alleanze a sostegno
del candidato di turno,
nominato in base
a convenienze transeunti,
supporto tecnico
predestinato
alla funzione
gestionale, in servizio
permanente effettivo,
al portatore del maggior
numero di cointeressi.
Il tutto senza ci si possa
più confrontare
nella cosiddetta
dialettica interna
del partito dove,
liberamente e senza
condizionamenti,
le idee possono essere
fatte circolare allo scopo
di migliorare la stessa
attività politica
L’OPINIONE delle Libertà
DOMENICA 2 SETTEMBRE 2012
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