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SOCIETÀ
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GoreVidal, l’antiamericanochepiacevaalla sinistra
In occasione della morte di Gore
Vidal, ripubblichiamo un’intervista
rilasciata dieci anni fa a L’Opinio-
ne dal controverso (per utilizzare
un eufemismo) scrittore e polemi-
sta statunitense.
di
CRISTINA MISSIROLI
ratta il gentiluomo del Sud e
scopri l’Ulivista. D’oltreocea-
no, certo, ma pur sempre ulivista
nell’animo. Quelli che - per inten-
derci - “chi non la pensa come me
è un imbecille”. Non è un caso
insomma che Gore Vidal viva in
Italia gran parte dell’anno. Che
si sia trovato perfettamente a suo
agio vezzeggiato nei salotti della
cultura italiana.
Rampollo di una grande fami-
glia del Sud degli Stati Uniti, Vidal
era destinato alla carriera politica
come i suoi avi. Si è dedicato in-
vece alla scrittura. Ma senza rinun-
ciare a fare politica attraverso le
sceneggiature per Hollywood e i
romanzi in cui la vita pubblica
americana viene sviscerata negli
aspetti più nascosti e più scabrosi.
In un modo o nell’altro mette il
becco, da circa cinquant’anni, in
tutte le fasi della vita politica ame-
ricana. L’elezione di Gorge W.
Bush alla Casa Bianca è un episo-
dio che non ha ancora digerito.
Anche perché a contendere quella
poltrona c’era nientemeno che suo
cugino Al Gore. L’età e la triste
congiuntura politica di questi due
anni lo hanno, se possibile, incat-
tivito nei confronti del suo paese.
Subito dopo l’11 settembre
scrisse un libro,
La fine delle liber-
tà
, che gli editori americani si ri-
fiutarono di pubblicare. Ci pensò
un brillante e furbo editore italia-
no, Fazi. Il libro uscì prima in Ita-
lia che negli Usa. Fazi divenne un
eroe, il libro un caso letterario.
Oggi Fazi fa il bis e dà alle stampe
un altro velenoso libricino scritto
da Vidal mettendo insieme ogni
possibile dietrologia antiamerica-
na.
Non ci sono dubbi:
Le menzo-
gne dell’Impero e altri tristi verità
sarà ancora un successo. Ma Vidal
nega di odiare il suo paese. Anzi.
Si considera l’ultimo difensore del-
la repubblica americana contro
l’America imperiale.
Crede che Thomas Jefferson, se
fosse vivo, condividerebbe le sue
posizioni?
Assolutamente sì. Anche se pu-
re lui ha i suoi peccati…
Gli schiavi?
Macché, l’acquisto della Lui-
siana. Fu così che cominciò la co-
struzione dell’Impero. Malgrado
tutto, però, anche Jefferson crede-
va che Repubblica e Impero sono
due forme di governo incompati-
bili. Non siamo i primi nella storia
del mondo ad avere questo pro-
blema. È necessario che qualcuno
ne parli.
Lei usa termini molto forti per de-
scrivere l’attuale sistema america-
no. Non di rado ha parlato di to-
talitarismo. Non le sembra un po’
troppo?
Questo è quello che risulta dal-
le traduzioni. Io penso molto a
quello che scrivo e, in inglese, non
uso mai parole così pesanti. Non
è il mio stile. Parole come totali-
tarismo non le scrivo. Se non sotto
forma di provocazione. Poi le ri-
G
nei confronti dei suoi connaziona-
li…
Gli americani non sono stupidi.
Sono intrappolati. Vedono che non
c’è differenza tra un candidato e
l’altro e quindi si astengono. Non
vanno proprio a votare perché lo
considerano senza senso. Poi, fin-
chè le cose vanno abbastanza bene,
non si curano della politica. Come
in Italia. Anche voi borbottate, ma
in fondo non ve ne curate molto.
Sarebbe cambiato qualcosa se al
posto di Bush ci fosse stato suo cu-
gino?
Non sono un mago, ma ritengo
di sì. Almeno Gore è una persona
intelligente. Di certo non avremmo
avuto il taglio delle tasse a favore
dei ricchi e non staremmo impie-
gando soldi pubblici per una guer-
ra che non ci serve a nulla. E che
tra l’altro non possiamo permet-
terci. A me dà sinceramente fasti-
dio pagare le tasse per una guerra
che considero inutile.
Se ci tiene tanto a che il popolo sia
rappresentato, perché non ci prova
lei. Si candidi di nuovo…
Eh già. Io sono stato candidato
due volte. Una volta ero anche sul
punto di vincere. Ma in fondo non
è al Senato che si fa la differenza.
Oltretutto è una posizione troppo
precaria. Il mandato dura pochi
anni e durante quegli anni devi
raccattare denaro per cercare di
essere confermato. No… preferisco
influire a modo mio. Scrivere quel
che penso, andare in tv. È più ef-
ficace e non dipendo da nessuno.
Per la prima volta, l’anno passato,
non ha trovato un editore ameri-
cano per il suo libro. Un saggio
troppo pesante per essere digerito
dagli Usa ancora in lutto. E l’edi-
zione italiana ha preceduto quella
americana...
È stata una sorpresa. Non sono
mai stato censurato prima.
Se i mezzi d’informazione non le
danno spazio, lei rimane muto. E
da quel che vedo non ha grande fi-
ducia neppure nella stampa indi-
pendente…
L’informazione non è libera, in-
fatti. Appartiene alle compagnie
petrolifere. Proprio come Bush.
Se il sistema americano proprio
non funziona, che modello propor-
rebbe ai governanti?
Be’ i piccoli paesi hanno mi-
gliori istituzioni democratiche. La
Svizzera è meglio degli Usa. Noi
ormai siamo troppo grandi. Chi
fondò gli Stati Uniti pensava ad
Atene, alla città stato. Non si può
più tornare indietro. Pericle disse
agli ateniesi: siamo stati criticati
perché scegliemmo di essere un im-
pero e anche per come l’abbiamo
ottenuto. Non mi occupo di come
l’abbiamo ottenuto. Dico solo che
una volta costruito un impero, è
pericoloso sfaldarlo. Noi siamo ar-
rivati a questo punto. Ma senza
Pericle.
Non sarà che lei ormai recita que-
sto ruolo perché è molto divertente
stuzzicare gli americani su questi
argomenti?
Non c’è proprio nulla di diver-
tente.
È davvero pessimista!
Sì. Mi avverta quando troverà
qualche motivo per essere ottimi-
sta. E dato il trionfo di Bush alle
elezioni di metà mandato, non cre-
do sia il caso si farsi vivi con Vidal
tanto presto.
Pubblichiamo l’intervista
rilasciata a“L’Opinione”
nel 2002 da Gore Vidal:
«Gli Stati Uniti non sono
mai stati una
democrazia. La nostra
Costituzione permette
semplicemente ai
proprietari bianchi
di fare in pace i loro
affari.Ma la gente
non è rappresentata.
Neppure l’informazione
è libera, ma appartiene
alle compagnie
petrolifere. Proprio
come GeorgeW. Bush»
trovo tradotte e lanciate in pasto
al pubblico come pesanti maci-
gni.Ma io non sono né un politico
né un giornalista: non appartengo
alla categoria di persone che ama-
no far clamore utilizzando parole
forti.
Lei sta dicendo che le traduzioni
dall’inglese che noi leggiamo esa-
sperano il suo pensiero. Non si
sente strumentalizzato da chi ado-
ra sentire un americano che spara
a zero sul suo paese?
L’inglese è una lingua compli-
cata. Difficile da tradurre, soprat-
tutto nelle lingue latine. Spesso la
scelta è tra il risultare banale o ec-
cessivo.
Spesso lei distingue nettamente tra
i cittadini americani (buoni) e il
governo (cattivo). Ma il governo
cattivo è scelto dai cittadini buoni.
Non sarà che a loro piace Bush
anche se lei lo disprezza?
Non è vero che i cittadini ab-
biano scelto. Due anni fa mio cu-
gino Al Gore vinse le elezioni, ma
la Corte capovolse il verdetto a fa-
vore dello sconfitto. Non fu una
bella pagina.
Non sarà che, in fondo, lei non
crede nella democrazia?
Quale democrazia? Gli Stati
Uniti non sono mai stati una de-
mocrazia. Ne abbiamo parlato a
lungo, perché sarebbe un bel siste-
ma. Ma noi siamo governati da
un’oligarchia. La nostra Costitu-
zione (che è tra l’altro una buona
costituzione) permette semplice-
mente ai proprietari bianchi di fare
in pace i loro affari. Ma la gente
non è rappresentata.
Le sfugge il particolare che in Usa
la gente ha diritto di voto?
Ma per favore... Le elezioni so-
no solo uno show. Per partecipare
alle elezioni i candidati devono ra-
cimolare denaro. Per raccattare
soldi si legano a qualche potente
lobby. Ed è quella che andranno a
rappresentare. Non la gente. Bush
non è stato eletto dal popolo, ma
dalle compagnie petrolifere.
Lei sostiene che è facile ingannare
gli americani. Basta qualche spot
e loro eleggono un burattino qua-
lunque. Una posizione ingenerosa
L’OPINIONE delle Libertà
GIOVEDÌ 2 AGOSTO 2012
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