di
CLAUDIO ROMITI
l di là degli insulti e delle accuse reci-
proche puramente strumentali, la dia-
triba tra Beppe Grillo ed il segretario del Pd
Pierluigi Bersani si presta ad una particolare
riflessione. In particolare, il comico genovese,
ponendo anche gli eredi della famosa diver-
sità comunista nel mucchio della politica
“cattiva”, sembra aver scosso molto dura-
mente la suscettibilità di un partito che con-
tinua a fare dell’onestà e della moralità au-
tocertificata uno de suoi fondamenti
principali.
Ed il fatto che proprio l’attuale campio-
ne del cosiddetto partito degli uomini co-
muni onesti non abbia fatto distinzioni tra
il Pd e le altre forze parlamentari proprio
non riesce ad essere di-
gerito da Bersani &
company. Da qui la sua
scomposta reazione alle
grandguignolesche pro-
vocazioni del leader ab-
bastanza indiscusso del
Movimento 5 stelle.
D’altro canto, sotto
un certo profilo, tutto ciò
costituisce una sorta di contrappasso proprio
nei confronti di quella cultura politica che,
più di altre, ha interpretato e continua ad
interpretare le illusioni collettiviste. Soprat-
tutto l’aver da sempre sostenuto l’idea, tra-
sformata in vera e propria credenza, che at-
traverso l’azione politica si potesse risolvere
qualsiasi problema, venendo incontro ad
ogni bisogno individuale e collettivo, alla
lunga non può che trasformarsi in un boo-
A
merang micidiale, allorchè la collettività ne
sperimenta i continui fallimenti.
Su questo piano, pur offrendo una ri-
sposta inaccettabile per la cultura liberale,
le parole di Grillo tendono a smascherare
chi per decenni ha ricercato il consenso
promettendo la rapida realizzazione di un
mondo perfetto. Tutto questo, soprattutto
nelle componenti meno evolute e respon-
sabili della società, ha creato una serie di
crescenti aspettative il cui mancato appa-
gamento, in un periodo di crisi nera, tende
a scatenare la vorace aggressività di chi
ha prestato fede a simili illusioni. Vorace
aggressività che, per l’appunto, un mae-
stro di demagogia come Grillo non ha al-
cuna difficoltà a canalizzare sui principali
artefici delle medesime illusioni.
Forse sarebbe il caso,
giunti ad un passo dal
collasso economico e fi-
nanziario del Paese, di
smetterla di rincorrere il
consenso promettendo
mari e monti ed aprendo
in tal modo una autostra-
da agli avventurieri del
populismo di piazza e di
palcoscenico. Solo cominciando a parlare
al popolo in maniera realistica, facendo leva
su quel senso della responsabilità individuale
che le sinistra storica ha sempre avversato,
il Pd di Bersani potrà contenere la sua per-
dita di consensi a favore del M5S. Ma se
questo partito continuerà nella trita retorica
che ne ha finora caratterizzato l’azione, il
rischio di un sorpasso grillesco si prospet-
terebbe in tutta la sua sinistra eventualità.
II
POLITICA
II
È la rincorsa al consenso
a foraggiare il populismo
Bergamini: «CaosColle?
Il governodeve agire»
Tutti solidali con il Capo dello stato.A parole
on c’è questione politica, le-
gislativa, sociale, economica,
ambientale nella quale l’Anm, il
partito unico dei magistrati, non
dica la sua. Forse chiederanno i
rimborsi elettorali per le campagne
di sensibilizzazione e di informa-
zione ai cittadini destinatari delle
loro opinioni non richieste, anzi
inopportune.
Un progetto o un disegno di
legge, una iniziativa politica, eco-
nomica, una riforma, loro lo boc-
ciano, decapitano il proponente,
scrivono la controriforma. L’Italia
è governata dalla dittatura delle
procure, senza se e senza ma, men-
tre lamentano di essere delegitti-
mati, di trovarsi in solitudine.
Qualcuno vuole rivolgersi legitti-
mamente alla Corte Costituzionale
e loro ne giudicano l’opportunità,
qualche altro ha l’ardire di criticare
l’operato dei magistrati e loro lo
etichettano come il nemico dello
Stato, come l’ostacolo all’accerta-
mento delle verità.
Hanno attaccato il Capo dello
Stato? No, hanno semplicemente
applicato la legge. Qualcuno si
vuole difendere? È di ostacolo al-
l’azione del Magistrato. Da oltre
40 anni l’oligarchia delle procure
deliberatamente deborda dal terri-
torio di competenza per occupare
spazi di altri poteri, violandone
l’indipendenza. Dettato i tempi e i
modi della azione politica, condi-
zionano l’agenda del governo del
paese a suon di avvisi di garanzia.
Come da copione, la stella polare
delle sinistra progressista, il Presi-
N
dente emerito della Consulta, Gu-
stavo Zagrebelsky, prontamente se-
guito dall’Anm, ha emesso il ver-
detto contro la richiesta, avanzata
alla Corte Costituzionale dal Qui-
rinale per conflitto di attribuzione
nei confronti della Procura della
Repubblica di Palermo (nell’ambito
dell’inchiesta sulla trattativa tra
Stato e mafia, magistrati titolari del
fascicolo il procuratore aggiunto
Antonio Ingroia, e i sostituti Lia
Sava, Nino Di Matteo, e Palermo
Guido) per le decisioni che questa
ha assunte su intercettazioni di
conversazioni telefoniche del Capo
dello Stato.
Ci ha deliziato con un dotto in-
tervento il Presidente Zagrebelsky,
parlandoci di eterogenesi dei fini.
Sfugge al monumento vivente della
sinistra pensante l’elevata poten-
zialità distruttiva delle decisioni
della Procura della Repubblica di
Palermo, che ha assunto sulle in-
tercettazioni delle conversazioni te-
lefoniche del Capo dello Stato, i
cui protagonisti hanno marcato,
senza limiti, lo scopo personale di
apparire, ammantandosi da eroi
senza macchia e senza paura per il
bene dei cittadini, ci quali però
hanno dei magistrati una conside-
razione vicina allo zero (16%).
Un poco edificante déjà vu. In-
tegerrimi magistrati poi tracimati
in politica, verso la quale hanno
vomitato il più alto disprezzo. Ma-
gistrati che esercitano la funzione
giudiziaria con arroganza, con
punte di megalomania, terrorizzan-
do i difensori, forti del potere di
decidere. Impartiscono lezioni cal-
pestando la reputazione e l’onore
degli altri operatori del diritto. Af-
fermare l’isolamento morale e l’in-
timidazione dei magistrati è una
impertinente falsità. Dissimula
l’Uomo Colto che i simulacri del-
l’indipendenza della Magistratura
e della obbligatorietà dell’azione
penale possono tradursi in un forte
potere discrezionale, che esercitato
da qualche ben intenzionato gio-
vanotto/a, preso dal furore dell’on-
nipotenza, lo spinga a commettere
veri e propri abusi.
Non dice che magistrati di spic-
co, facendo finta di essere integer-
rimi, con operazioni ad alta riso-
nanza, utilizzando visibilità a basso
costo, cercano un successo pur che
sia, deciso dai titoli dei giornali,
per poi sedersi in parlamento, nel
governo, negli enti locali. Omette
di segnalare che sono pendenti 10
milioni di processi e 20 milioni di
cittadini della Repubblica attendo-
no una risposta e quando giunge è
fuori tempo massimo. Tralascia di
evidenziare che non tutti i magi-
strati sono eccellenti, saggi, colti,
equilibrati, preparati. Che forse
non sono molti coloro che hanno
radicato il senso della Giustizia,
che sono portatori sani della cul-
tura della tolleranza, che sono
consapevoli della inadeguatezza
degli strumenti di accertamento
della verità.
Cela che i magistrati si giudica-
no da soli: controllori e controllati
sono sempre magistrati. Oblia che
i magistrati non sono immuni da
responsabilità, che come in tutte le
categorie esistono aspetti e situa-
zioni poco nobili e che se l’ammi-
nistrazione della giustizia è al ca-
polinea forse qualche responsabi-
lità debba essere ascritta anche ai
magistrati. Non dice che i magi-
strati non sono impegnati a rimuo-
vere il volto opaco della Giustizia,
a ristabilire la fiducia dei cittadini
in una Giustizia sfigurata, polve-
rizzata, azzerata da decenni di fal-
limenti, di inutili convegni, dibat-
titi,
relazioni,
documenti,
programmi.
Tace sulla illegittima pretesa dei
magistrati di scrivere le leggi della
Repubblica, oltre che applicarle.
Sorvola su tutto questo ed anche
che la lotta alla mafia è ricca di
tante belle parole, di singole azioni
silenziose di coraggiosi servitori
della Patria e di squillanti attori
che poco raccolgono sul versante
della contrapposizione al fenomeno
mafioso e molto sul versante della
visibilità e del clamore. Mai nessu-
no ha ostacolato le inchieste della
magistratura, salvo i criminali, uc-
cidendo eroici inquirenti. I magi-
strati sono il vero potere: i politici
ne hanno paura, i cittadini tremano
quando un fascicolo va in mano
ad un magistrato. Si delegittimano
da soli, assumendo comportamenti
non esemplari, con l’alibi di colle-
ghi morti per mano della mafia.
Dopo aver causato un danno ir-
reparabile alla più alta istituzione
della Repubblica italiana, dichia-
rare la solidarietà è una operazione
di falsa retorica, di millantato ri-
spetto, di penosa ipocrisia.
CARLO PRIOLO
eborah Bergamini, quando parla di
intercettazioni, sa bene a cosa ci si ri-
ferisce. Nel 2007
Repubblica
pubblicò una
serie di intercettazioni riferite ad un’in-
chiesta di due anni prima. Trascrizioni che
furono ritenute penalmente irrilevanti dal-
la magistratura, ma che non vennero mai
distrutte. L’allora responsabile del marke-
ting della Rai fu travolta da una bufera
mediatica: venne ritenuta tra i responsabili
di una fantomatica struttura, la “Delta”,
che avrebbe manipolato l’informazione
pubblica, passando informazioni riservate
ai concorrenti di Mediaset. Il tutto si con-
cluse in una bolla di sapone, ma fu suffi-
ciente a far sporcare la giacca di onesti
professionisti.
Oggi Bergamini è deputato del Pdl, e
sulle presunte rivelazioni di Panorama uti-
lizza estrema cautela: «Quando ci si trova
di fronte ad un giornalismo che usa il con-
dizionale è molto difficile fare valutazioni.
Quel che è certo – prosegue – è che ancora
una volta su un fascicolo di intercettazioni
si costruisce una trama gigantesca». Per
l’onorevole azzurra «l’abuso delle inter-
cettazioni costituisce un’enorme inciviltà
nel tessuto politico e sociale del nostro
paese, che determina aberrazioni come
quelle che stanno toccando il Quirinale».
Il problema non lo si deve individuare
nel mezzo in sé, ma nel fatto che si è as-
sistito nel recente passato «ad un processo
di smantellamento delle regole e di caduta
delle garanzie dell’imputato». Una tenden-
za sorta per i «presunti benefici politici»
che ne vorrebbero trarre «alcuni attori
della scena pubblica». Una fabbrica del
D
fango venutasi a creare anni fa, che «era
prevedibile avrebbe prima o poi travolto
tutte le istituzioni, non risparmiandone
nessuna». Per Bergamini l’attacco a Gior-
gio Napolitano «ha finalmente sviscerato
quello che è con tutta evidenza un mecca-
nismo distorto», anche se «nessuno sem-
bra voler fare nulla per arginarlo».
Oggi è il momento di stringersi intorno
al Quirinale: «Mi sembra che il presidente
della Repubblica abbia tenuto su questo
tema un atteggiamento sempre corretto.
La sua unica colpa sarebbe quella di aver
parlato al telefono». La deputata azzurra
non si risparmia una puntualizzazione:
«Bisogna difendere oggi il Colle come
qualche anno fa si doveva difendere il pre-
sidente del Consiglio Silvio Berlusconi. So-
no entrambe cariche dello stato ai massimi
livelli, ed entrambi hanno subito o stanno
subendo il medesimo trattamento». Se
vengono rilevate similitudini da questo
punto di vista, nessuna novità nemmeno
sul frangente «del conflitto tra poteri dello
stato», che per Bergamini è il vero nodo
della paralisi del paese. Un nodo «mai ri-
solto dal lontano 1992, che si spera possa
essere risolto adesso che ha investito Na-
politano».
E se il ministro Andrea Riccardi ha det-
to che non spetta al governo mettere mano
al tema, per l’ex dirigente della Rai «l’ese-
cutivo dovrebbe dare il suo contributo».
Perché se è vero che ai tecnici spetta di af-
frontare i principali problemi che si pon-
gono per il futuro, «questo mi sembra stia
diventando un argomento prioritario».
PIETRO SALVATORI
Le forze politiche
devono rinunciare
al qualunquismo
per il bene del paese
L’OPINIONE delle Libertà
SABATO 1 SETTEMBRE 2012
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