II
POLITICA
II
Il raccontodell’exambasciatoreUsa suMani Pulite
di
GIUSEPPE TALARICO
econdo la migliore storiografia,
per avere una chiara e completa
conoscenza dei fatti e degli eventi
accaduti in passato, soprattutto di
quelli che hanno segnato la fine di
una epoca politica e storica come
l’inchiesta mani pulita dei giudici di
Milano, che all’inizio degli anni ot-
tanta travolse i partiti della prima
Repubblica, è necessaria la distanza
temporale dagli accadimenti.
Recentemente è apparsa sulle co-
lonne de
la Stampa
un’nteressante
intervista rilasciata al corrispondente
dagli Usa, Maurizio Molinari, dal-
l’ex ambasciatore americano in Ita-
lia, Reginald Bartholomew. L’inter-
vista è importante sul piano storico,
sia perché contiene i giudizi espressi
dall’ex ambasciatore sulla stagione
di mani pulite, di cui fu un attento
testimone da una posizione privile-
giata che gli consentiva l’accesso a
informazioni riservate, sia perché è
stata rilasciata un mese prima della
sua morte, provocata da un cancro
che lo ha ucciso all’età di 76 anni.
Bartolomew, che in passato è
stato sottosegretario agli armamenti
e ambasciatore a Beirut e Madrid,
agli inizi degli anni novanta ricopri-
va il ruolo di ambasciatore presso
la Nato. Bill Clinton, contravvenen-
do ad una consolidata prassi istitu-
zionale che imponeva di nominare
ambasciatore in Italia una persona-
lità tra quelle che avevano sostenuto
la sua campagna presidenziale, de-
cise di sceglierlo, nominandolo am-
basciatore del governo Usa in Italia
per i suoi meriti e la esperienza ma-
turata nel Foreign Service.
L’ex ambasciatore, con accenti
di sincerità e onestà intellettuale,
nella intervista rilasciata a Molinari
ha rievocato il contesto della politica
Italiana agli inizi degli anni ‘90. A
causa del discredito seguito all’in-
chiesta di mani pulite, che aveva
svelato la corruzione dilagante nella
vita politica ed economica del paese,
i partiti politici sembravano con-
S
dannati alla decomposizione e alla
dissoluzione. Bartolhomew ricorda
che vi era la preoccupazione legit-
tima dell’amministrazione america-
na che l’inchiesta Mani Pulite, di-
struggendo i partiti su cui si era retta
e fondata la vita democratica dal
dopoguerra, potesse creare una gra-
ve crisi politica nel cuore del Medi-
terraneo, vista la posizione geogra-
fica dell’Italia. Inoltre, e questa è la
affermazione più rilevante che ri-
propone i dubbi che alcuni hanno
nutrito sulla natura e l’origine della
inchiesta Mani Pulite, secondo Bar-
thoilomew, quando l’ambasciatore
degli Usa a Roma era Peter Secchia,
si era instaurato un rapporto troppo
stretto e di grande ed innaturale col-
laborazione tra il Consolato ameri-
cano di Milano, all’epoca guidato
da Peter Semler, ed alcuni giudici di
Mani Pulite.
Bartholomew ha ammesso che
appena si insediò nella ambasciata
di via Veneto, a Roma, decise di se-
guire di persona le attività promosse
e svolte dal Consolato di Milano.
Inoltre, visto il modo con cui pro-
seguiva l’inchiesta di Mani Pulite,
in più occasioni ebbe modo di con-
statare che vi era un abuso dei ma-
gistrati milanesi nel ricorso alla de-
tenzione preventiva per ottenere la
confessione degli imputati ed una
palese violazione dei diritti della di-
fesa, per gli americani considerati
un cardine ed un fondamento im-
prescindibile della democrazia libe-
rale. Per questo motivo, Barthlomew
si rivolse al giudice della corte su-
prema degli Usa, Antonio Scalia.
L’ambasciatore fece incontrare il
giudice statunitense a villa Taverna
con i giudici della inchiesta milane-
se, ed in quella occasione venne sot-
tolineata la grave anomalia italiana
riguardante l’uso scriteriato della
carcerazione preventiva e la viola-
zione dei diritti della difesa, consi-
derazione critica, questa espressa da
Scalia, dinanzi alla quale i magistrati
milanesi non seppero cosa rispon-
dere.
L’ex ambasciatore ricorda che
iniziò, visto che i partiti della prima
repubblica erano destinati ad essere
distrutti, a tessere una rete di rap-
porti e di relazioni politiche con i
nuovi leader emergenti. Per questa
ragione incontrò prima D’Alema,
al quale rinnovò la volontà della
amministrazione americana di man-
tenere l’alleanza con l’Italia, ed in
seguito Gianfranco Fini, in procinto
di trasformare il Msi in Alleanza
Nazionale con la svolta di Fiuggi.
Bartholomew nella intervista ha rie-
vocato l’incontro avuto con il Silvio
Berlusconi, accompagnato in quella
occasione da Gianni Letta, e di ave-
re compreso subito che si trattava
di un leader in grado di raccogliere
ed ottenere un grande consenso tra
i cittadini italiani, subendo per que-
sta sua opinione personale una cri-
tica ed una censura da parte di Eu-
genio Scalfari, per il quale
l’ambasciatore non poteva capire la
complessità della politica Italiana.
L’episodio più grave accade
quando al vertice del G7 del 1994
a Napoli, nel periodo in cui Bartho-
lomew fu ambasciatore in Italia, l’al-
lora presidente del consiglio Silvio
Berlusconi ricevette un avviso di ga-
ranzia alla presenza del presidente
Bill Clinton, una offesa inaccettabile
e gravissima, secondo le parole del-
l’ex ambasciatore, arrecata alla in-
tera comunità internazionale ed agli
Usa dai magistrati milanesi. Secondo
le riflessioni politiche dell’ex amba-
sciatore, questo episodio fu deplo-
revole ed inquietante, perché dimo-
strava che la seconda Repubblica in
Italia non aveva i suoi protagonisti
negli uomini politici scelti dai citta-
dini, ma nei magistrati, investiti di
una funzione di supplenza per rivi-
talizzare il sistema politico secondo
i loro orientamenti culturali.
Intervistato, sempre su
La Stam-
pa
da Maurizio Molinari, l’ex Con-
sole di Milano, Peter Semler, ha
confermato di avere intrattenuto
rapporti con i magistrati di Milano,
e di avere informato all’inizio degli
anni novanta Peter Secchia, prede-
cessore di Bartholomew alla am-
basciata Usa di via Veneto, che era
imminente una inchiesta giudizia-
ria, che avrebbe travolto tutti i
maggiori partiti della prima Repub-
blica. Peter Selmer ricorda di avere
chiesto alla sua ambasciata di in-
vitare negli Usa Antonio Di Pietro,
fatto in seguito avvenuto. Infatti il
dipartimento di Stato ospitò agli
inizi degli anni novanta Di Pietro
negli Usa, per ammissione dello
stesso ex magistrato.
Queste riflessioni dell’ex amba-
sciatore sono importanti, poiché in-
dicano che, proprio mentre la prima
Repubblica capitolava e si dissolve-
va, si sono generate le gravi patolo-
gie che affliggono il nostro sistema
politico, al di la degli aspetti oscuri
legati alla origine della inchiesta ma-
ni pulite. Sia l’antipolitica che il po-
pulismo giustizialista, i due vizi di
origine della seconda Repubblica,
nacquero in quegli anni e spiegano
la espansione del potere giudiziario
a danno della democrazia rappre-
sentativa e dei poteri dell’esecutivo,
in violazione dell’equilibrio dei po-
teri dello Stato di diritto.
Queste due interviste meritano
di essere valutate sul paino politico
e storico con molta attenzione, an-
che perché forniscono elementi
preziosi per capire in quale dire-
zione deve procedere la politica ita-
liana, perché possa rinnovarsi e ri-
stabilire un rapporto di fiducia con
i cittadini.
Bartholomew constatò
l’abuso dei magistrati
della detenzione
preventiva per ottenere
la confessione
degli imputati
ed una violazione
dei diritti di difesa
K
R. BARTHOLOMEW
L’episodio più grave
accade al G7 del ‘94,
quando Berlusconi
ricevette un avviso
di garanzia alla presenza
del presidente Bill
Clinton. Una offesa
gravissima per gli Usa
segue dalla prima
Colle in trappola
(...) E, se ci dovessero riuscire, per diventare
la forza destinata a condizionare pesante-
mente l’intera sinistra. I post-comunisti si
giocano la partita della vita. Bersani e l’at-
tuale gruppo dirigente del Pd sanno bene
che se non si sbarazzano del cosiddetto bloc-
co di potere formato da Di Pietro, da
Il Fatto
e da certi magistrati militanti (blocco a cui
si aggiunge naturalmente Grillo), sono de-
stinati ad essere travolti e rottamati in ma-
niera definitiva dai Renzi di turno della gio-
vane generazione del Pd.
Napolitano, dunque, è solo un pretesto,
la miccia inconsapevole di un così grande
incendio. Una miccia così grande ed auto-
revole da impedire che l’esplosione possa di-
ventare un fuocherello da smorzare con
qualche semplice secchiata di vecchio spirito
unitario. Ci si può stupire che un personag-
gio dell’esperienza del Capo dello Stato pos-
sa essere caduto in questa trappolone pro-
vocatorio. Ma tant’è. Forse non poteva fare
altrimenti, forse c’è caduto consapevolmente
per innescare la resa dei conti definitiva den-
tro la sinistra.
In ogni caso il tema dominante della
campagna elettorale sarà questo. E la spe-
ranza che i due contendenti si facciano tal-
mente male reciprocamente da creare final-
mente le condizioni per fare della Repubblica
Italia una autentica democrazia liberale.
ARTURO DIACONALE
Mitt e Clint
(...) Allora essere americano voleva dire dar
per scontato che ogni cosa fosse possibile.
Quando il presidente Kennedy promise che
gli americani sarebbero andati sulla Luna,
la domanda non era se vi fossimo riusciti,
ma quando. La suola degli scarponi di Neil
Armstrong sulla Luna hanno impresso una
profonda impronta nelle nostre anime e nella
nostra psiche nazionale».
Proprio sull’ottimismo, parte la stoccata,
inevitabile, a Barack Obama: «Hope e
Change erano due parole che esercitavano
un’attrazione irresistibile. Ma questa sera
vi chiedo una semplice domanda: se avete
provato una grande emozione votando per
Obama, la provate ancora oggi dopo quat-
tro anni di presidenza Obama?». Come di
consueto, Romney si è presentato al pub-
blico come un imprenditore, che si è co-
struito la carriera con le sue mani. Cita le
difficoltà che ha incontrato da giovane,
quando la Bain Capital (la sua società di
investimenti) era ancora piccola e gli inve-
stitori la ignoravano. Poi elenca tutti gli
esempi di successo di aziende e attività fi-
lantropiche nate e cresciute grazie alla sua
attività di “squalo” della finanza. «Ecco, è
proprio questo che il presidente sembra
non voler capire. Fare affari e creare posti
di lavoro implica un’assunzione di rischi,
la possibilità di fallire, la possibilità di avere
successo, ma sempre lottando. Vuol dire es-
sere dei sognatori. E spesso i tuoi affari non
vanno esattamente come li avevi immagi-
nato. Steve Jobs era stato licenziato dalla
Apple. È tornato e ha cambiato il mondo.
È questo il genio del sistema americano di
libera impresa: lasciar libera la straordinaria
creatività, il talento e la laboriosità degli
americani, in un sistema che crea la pro-
sperità del domani, invece che cercare di
redistribuire la ricchezza di oggi». E se qual-
che politico si mette di traverso, ostacolan-
do la libera impresa e la ricerca della felicità
degli americani, meglio cacciarlo, come ri-
corda Clint Eastwood. Ma su questo è av-
vertito anche lo stesso Mitt Romney. Non
solo il presidente uscente Barack Obama.
Romney si è dato, a questo punto, un chia-
ro mandato: liberare gli americani dallo
statalismo. Non può più tirarsi indietro.
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K
Antonio DI PIETRO
L’OPINIONE delle Libertà
SABATO 1 SETTEMBRE 2012
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