sabato 12 luglio 2025
Domani il Live Aid compie quarant’anni. Lo storico evento musicale nasce allo scopo di ricavare fondi per alleviare la carestia che colpisce l’Etiopia all’inizio degli anni Ottanta. La kermesse irripetibile, costruita anche con qualcosa di più di un pizzico di follia, che ha raccolto 150 milioni di dollari, ha distrutto la carriera del suo ideatore, Bob Geldof. Nel 1985 i cd sono usciti sul mercato da tre anni e per capire che tipo di difficoltà tecnica sia stata affrontata basta guardare la forma e le dimensioni delle telecamere di quegli anni. All’epoca Geldof è ancora il leader dei Boomtown Rats, una band irlandese che nei primi anni della New Wave ha avuto un buon successo. Dopo Live Aid la carriera musicale di Geldof si esaurisce. Per chi avesse voglia di riascoltarli saranno il 16 luglio a Pordenone. Nel frattempo però Geldof per i meriti raccolti nell’ambito della beneficenza è diventato Sir.
A Live Aid, che in 16 ore di diretta allestita utilizzando 16 satelliti (40 anni fa i satelliti sono costosissimi e hanno orari limitati ma non dipendono) è seguito da 2 miliardi di persone, divisi tra il palco dello stadio Wembley a Londra e quello del JFK Stadium di Philadelphia. Partecipano: Paul McCartney, Bob Dylan, gli U2, i Led Zeppelin, Madonna, Ozzy Osbourne e i Black Sabbath, Elton John, Crosby, Stills, Nash & Young, Mick Jagger e Tina Turner. Musicalmente i trionfatori sono naturalmente i Queen che suonano Radio Ga Ga di pomeriggio a Londra: il Premio Stakanov lo vince Phil Collins che si esibisce, a Londra poi prende il Concorde, arriva a Philadelphia dove canta prendendo una stecca clamorosa al pianoforte Against All Odds e poi fa una pessima figura suonando la batteria con i Led Zeppelin. La performance va così male che Jimmy Page non solo non concede la liberatoria per la pubblicazione sul disco e il Dvd ma poi parla malissimo della prestazione di Collins che ancora oggi ha segnato Page al primo posto della lista dei suoi nemici del rock.
Ma il premio per la performance più sgangherata e improbabile è andato a Bob Dylan con Ron Wood e Keith Richards. Saliti sul palco con livelli che avrebbero fuso un alcolock. Racconta Ronnie Wood che lui viene chiamato da Dylan per “un concerto di beneficenza” e poi convincono Richards che commenta: “Speriamo che non si tratti di una…”. Provano molti brani del repertorio del Premio Nobel. A Philadelphia, dopo un viaggio improbabile, sul palco Dylan decide di suonare Blowin’ In The Wind che non hanno provato. Come se non bastasse a Dylan si rompe una corda della chitarra, Ronnie Wood gli passa la sua e rimane senza strumento mimando le mosse (si chiama Air Guitar). Poi dal backstage gli passano una chitarra, completamente scordata. Paul McCartney invece per i primi due minuti di Let It Be si ritrova col microfono staccato e nessuno, né allo stadio né a casa sente una nota: nell’edizione di vent’anni dopo in Dvd la traccia del microfono e del pianoforte sono state rimasterizzate utilizzando quelle originali inizialmente poco udibili ma passate per il mixer.
Tra le stecche più famose figura anche quella dello specialista Simon LeBon con i Duran Duran. Naturalmente il Live Aid non è stato solo stecche e contrattempi, ma un evento epocale che ha dimostrato in modo clamoroso il potere di mobilitazione e coinvolgimento della musica, una forza oggi non immaginabile. Soprattutto se si considera che all’origine del Live Aid c’è il singolo, Do They Know It’s Christmas che vede tutte le più grandi star del rock e del pop inglese in sala di incisione per raccogliere fondi proprio le vittime della carestia in Etiopia su iniziativa di Bob Geldof e Midge Ure e che, per emulazione, mette in moto We Are The World, il singolo realizzato dalla premiata ditta Lionel Ritchie-Quincy Jones con la benedizione di Michael Jackson che è il soggetto di uno dei più strepitosi documentari musicali degli ultimi anni e che porta in studio in una notte alcune delle leggende della musica americana.
di Lia Faldini